12 Aprile 2024 - 9.32

Donne musulmane chiuse nei recinti… e le femministe zitte

Umberto Baldo

Mercoledì mattina mi è capitato per caso di andare al supermercato all’ora di apertura dello stesso. 

Forse sarà capitato un po’ a tutti voi, ma ho capito subito che non si trattava di un giorno “normale”.

Infatti c’era un insolito movimento di donne, bambini e ragazzi, tutti in tunica, bianca i minori maschi, rigorosamente nera, e con il velo a coprire interamente il capo le donne. 

C’erano poi gli uomini, anch’essi con capi di abbigliamento inconsueti, quasi sempre in linea con i canoni della loro tradizione.

Non mi ci è voluto molto a fare mente locale, e ricordare che il 10 aprile era il giorno di Eid-al-Fitr, la fine del mese di Ramadan.

Inutile girarci attorno, la crescente presenza nel nostro Paese di popolazione di cultura e  fede islamica, ci pone inevitabilmente di fronte a tradizioni e festività diverse dalle nostre, e quindi a problematiche del tutto nuove.

Lo abbiamo visto a Pioltello, dove la chiusura per il “fine Ramadan”, decisa dal Consiglio dell’Istituto  Iqbal Masih, ha acceso un  vivace dibattito a livello nazionale, con tanto di strascico  istituzionale, visto che  il Governo starebbe lavorando su nuove norme per evitare che le scuole autorizzino assenze legate a feste in assenza di accordi fra Stato e Confessione religiosa.

Ma che il problema ci sia, e cominci ad essere sentito anche a livello di realtà produttive, lo abbiamo toccato con mano anche nel nostro Veneto, dove nei giorni scorsi è apparso sui cancelli di tre sedi del calzaturificio  Tre Zeta Group di Fossò nel Veneziano, Vigonza e Arzergrande nel Padovano,  il cartello: “Chiuso per festa di fine Ramadan”.

Cartello che i proprietari hanno giustificato affermando che  il 30% dei dipendenti è di religione musulmana, e quindi si è trattato di  un valido motivo per chiudere gli impianti in occasione della festa di fine digiuno.

Fin qui niente da dire.

Fare finta di non vedere che il 4,9% della popolazione residente nel nostro Paese, circa 2,7 milioni, sono fedeli islamici, arrivati a questo punto non alcun senso, e giocoforza dovremo non solo abituarci alle “tenute” da fine Ramadan, ma anche a tener conto delle loro festività.

Certo non sarà facile, e sicuramente ci vorrà del tempo, ma credo si tratti di un percorso inevitabile.

Ovviamente perché si attui quella che viene comunemente chiamata “integrazione” (termine che scalda i cuori soprattutto della nostra gente di sinistra) è necessario che ci sia la voglia di integrarsi da entrambe le parti (mentre finora sembrerebbe che ad integrarci si debba essere noi, e non loro).

E così mentre da parte nostra sarà necessario diventare più tolleranti verso culti che non fanno certo parte della tradizione giudaico-cristiana, dall’altro i credenti in Allah devono rendersi conto che non si trovano più nei propri Paesi di origine, dove sono normali e consentite certe pratiche, certi atteggiamenti, certi comportamenti, che qui da noi cozzano inevitabilmente con le nostre regole,  sia giuridiche che  del vivere civile. 

Senza tanti giri di parole, mi riferisco a foto circolate su stampa e social, relative ai festeggiamenti di fine Ramadan a Roma, in piazza dei Mirti, nel Quartiere di Centocelle.

Foto che non potevano che gettare benzina sul fuoco perché mostrano gli uomini che pregano rivolti ad Est, verso La Mecca, e le loro donne chiuse dentro un recinto, separate dai maschi, che durante la preghiera non possono essere distratti dalle tentazioni della carne, nascoste agli occhi del mondo, come se il solo fatto di esistere come donna fosse una colpa.

Hai voglia a dire che il credo musulmano prevede che gli uomini stiano avanti, e le donne dietro, perché così disse il Profeta:  che l’essere femminile non è degno di stare in mezzo agli uomini, perché rischia costantemente di contaminarli con la sua impurità, e per questo è messo in una stanza a parte.

Nessuno vuole certo intromettersi in questione di fede, ma rinchiudere le donne nei recinti, come fossero bestie, forse andrà bene nei Paesi islamici, ma non può essere assolutamente tollerato nel paese della “Costituzione più bella del mondo” (non  pensoassolutamente che sia così, ma la nostra Carta è vista a gauche come il Talmud).

E su queste tematiche, mi dispiace rimarcarlo ancora una volta, si nota l’assordante silenzio del nostro mondo femminista, che come non si è certo distinto nelle proteste contro le impiccagioni delle ragazze iraniane che non vogliono portare il velo (simbolo di sottomissione), o contro le fustigazioni pubbliche di giovani afgane, così resta zitto di fronte alle foto delle “donne recintate” di Centocelle.

E non può essere che il mondo progressista e femminista si nasconda dietro la classica spiegazione della donna islamica che volontariamente si abbandona alla sopraffazione dell’uomo, in nome di una sua cultura. 

Ma quale donna vorrebbe essere recintata, rinchiusa in casa, coperta da un velo, e parificata ad un oggetto?

Ma dove sono finiti i mesi di giusta lotta delle femministe nostrane contro il “patriarcato”, e che ha trovato un momento molto alto dopo l’assassinio di Giulia Cecchettin?

Non si accorgono queste femministe che certa cultura islamica (generalizzare è sempre sbagliato) è ancora oggi la più forte esportatrice del modello patriarcale nel mondo?

Una cultura che accetta che le donne siano rinchiuse in un recinto e discriminate, che non possano non solo condividere la preghiera, ma neppure guardare gli uomini chini verso la Mecca, che siano celate al mondo con una rete oscurante da pollaio perché  “esseri inferiori”.

Il che, comunque la si veda, alla fine sposta il problema anche sul piano strettamente giuridico.

Infatti se in casa propria, al di fuori degli occhi del mondo, una donna in qualche modo accetta di essere trattata come un essere inferiore, non si può fare molto, ma il problema si pone inevitabilmente se una pratica del genere avviene in una piazza, sul suolo pubblico della Repubblica Italiana dove, proprio sulla base della “Costituzione più bella del  mondo”,a nessuno dovrebbe essere consentito di recludere fisicamente un’altra persona, solo in quanto donna, cancellando o riducendo i suoi diritti primari. 

E’ legale tutto ciò?

Qui inizia il mistero… perché non si trova una sola donna di sinistra, non dico una femminista, che s’indigni e protesti quando si tratta dei diritti calpestati e violati delle donne musulmane, sia che ciò avvenga nei Paesi islamici, che nel nostro Occidente. 

Ma in fondo è una sorta di blocco “culturale”, una contraddizione costantemente presente un po’ in tutta la galassia cosiddetta progressista, che allo stesso tempo sostiene i diritti della comunità Lgbtq ed inneggia ad Hamas, dimenticando che a Gaza i gay vengono fucilati o buttati dalle finestre, e che molti di loro trovano la salvezza, pensate un po’, in Israele. Umberto Baldo

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