24 Aprile 2024 - 9.43

Overtourism: quando il turismo è troppo

Umberto Baldo

Vi confesso che fino alla scorsa Pasqua “Overtourism” era un termine che mi capitava di leggere ogni tanto, che sentivo citare in certi servizi televisivi, ma senza che rappresentasse qualcosa che facesse parte della mia esperienza.

Appunto fino a Pasqua, quando per rivedere le mie nipotine spagnole in vacanza a Roma, sono giocoforza dovuto andare nella nostra capitale.

Per motivi di lavoro io Roma l’ho sempre frequentata, ma mai mi era capitato di soggiornarci in un periodo di “picco turistico”.

Allucinante!  Non trovo altra parola per descrivere quello che ho visto.

Non c’era un posto del centro storico della città che non fosse sommerso da una folla enorme,  strabocchevole, al punto che era difficile persino il semplice camminare.

E guardate che non parlo solo del Colosseo, del Pantheon, dei Fori, di Piazza di Spagna, tanto per citare qualche monumento; in realtà non c’era una piazza, una strada che non fosse invasa da torme di turisti con lo smartphone in mano.

Il massimo l’ho visto alla Fontana di Trevi, dove c’era una folla tale che ho pensato che se avessi gettato in aria una monetina non sarebbe certamente caduta a terra (altro che gettarla nella vasca come da tradizione!).

Da domani inizierà un ponte lunghissimo, di quelli che prendendoti tre giorni di ferie puoi stare a casa, o in giro, per una settimana piena.

Non ho alcun dubbio che la situazione che ho visto a Roma si ripeterà per ogni località turistica del nostro Belpaese.

Al di là del termine, Overtourism appunto, inventato dal Magazine Skift nel 2016, non a caso parlando dell’esplosione del turismo di massa in Islanda, stiamo parlando di una problematica che non è poi del tutto nuova. 

In realtà se ne parla sin dagli anni 60, dall’avvento di modelli basati sui numeri di visitatori e sulla di capacità di carico delle località turistiche, fino alle più recenti valutazioni che considerano anche il comportamento dei visitatori, dimensioni temporali, e fenomeni di concentrazione di persone in determinate zone.

Credo sia del tutto inutile rivangare i motivi che hanno portato all’Overtourism, che vanno dalla sempre maggiore facilità di spostarsi anche a prezzi compatitivi grazie ai voli low cost,  al fatto che le destinazioni diventano famose in breve tempo, grazie alla televisione, ai film (cineturismo) e ai social media (si parla proprio di “luoghi istagrammabili“), attraendo un tipo di turista mordi e fuggi, interessato a scattare qualche foto e un selfie, per segnare l’ennesima “spunta” sul mappamondo.

Osservando certi comportamenti io ho veramente l’impressione che si viaggi sempre più per “apparire” sui social, invece che per una esigenza dello spirito o per il piacere di conoscere nuove realtà.  

Guardate che io non ho una mentalità elitaria, e non sono certo convinto che debbano viaggiare solo i ricchi, come accadeva in altri tempi. 

Ma a fronte di due miliardi di persone che ogni anno si spostano per turismo, non posso non chiedermi, come se lo stanno chiedendo in molti, se tutto ciò sia sostenibile.

E qualche segnale “concreto” la stiamo già cominciando a vedere, come ad esempio alle Canarie, dove  più di 50mila persone nei giorni scorsi hanno affollato le vie di Tenerife per protestare contro la recente decisione del parlamento spagnolo di avallare la costruzione di un nuovo hotel e di un eco-resort, Cuna del Alma. 

Sui cartelloni ai cortei si leggevano slogan e messaggi come “Le Canarie non si vendono”, “Siamo stranieri nella nostra terra”, “Le Canarie hanno un limite”, “Come faccio a vivere di turismo se non ho una casa?”.

Il problema inutile nasconderlo c’è; e per quanto il turismo generi un terzo del Pil dell’Arcipelago, con una popolazione residente di 2,2 milioni di abitanti, l’anno scorso sono “sbarcati” quasi 14 milioni di visitatori.

Ma fenomeni di conflittualità fra ospiti e residenti sono scoppiati anche a Barcellona e a Siviglia.  Aggravati anche dalla siccità, che impone agli Amministratori scelte del tipo: annaffiare i green dei golf o riempiere le piscine degli alberghi, oppure consentire di bagnare i giardini privati e riempire le piscine dei condomini dei residenti. 

Il problema è che la popolazione locale si sente frustrata dal numero eccessivo dei turisti, e vede il proprio paese perdere autenticità, per soddisfare prima di tutto le esigenze dei viaggiatori e non quelle degli abitanti.

Ad esempio ad essere saltato, anche in Italia, è il mercato immobiliare, con i proprietari di case che hanno capito che si guadagna di più con gli Airbnb (affitti a breve ai turisti) piuttosto che con gli studenti o con i cittadini normali (il cheprovoca fra l’altro anche un aumento dei prezzi degli affitti, con la popolazione locale che tende a trasferirsi).

Credo che l’esempio più eclatante, oserei dire a livello mondiale, sia Venezia, ridotta ad una sorta di Disneyland, dove forse ci sono più b&b che abitazioni.

Ma come si può pensare che una città di 49.997 abitanti (ufficialmente il Comune conta 256mila abitanti, ma risiedono quasi tutti aMestre) possa reggere l’urto di 7,5 milioni di turisti l’anno senza uscirne sconvolta?

Onestamente io sono ancora incazzato per il fatto che, da cittadino veneto, per andare nel capoluogo della mia Regione adesso debba prenotarmi.

Molte Amministrazioni comunali, probabilmente anche per le pressioni e le lamentele dei cittadini, stanno cercando di porre un freno al fenomeno; solitamente limitando l’accesso ai turisti (numero chiuso, prenotazioni, tetti giornalieri come hanno fatto a Braies o alle Cinque Terre), per di più imponendo anche dei tickets di accesso (Venezia e Siviglia).

Noi vediamo quello che è più vicino ai nostri occhi, ma guardate che l’Overtourism sta creando problemi seri ovunque nel mondo; solo per fare due esempi dalla Tailandia costretta a chiudere Maya Bay  anche per proteggere la barriera corallina, al Nepal costretto a limitare il numero degli scalatori che vogliono salire sull’Everest (ormai le guide portano su chiunque purché paghi).

Io lo so che a questo punto qualcuno di voi starà pensando: e allora, dopo questa  esposizione di cose note, qual’è la tua soluzione?

Francamente non lo so, e a leggere tutto quello che si trova in Rete sull’ Overtourism mi sembra che oltre tante chiacchiere, e tanti auspici, non si vada.

Ad essere onesto mi sembra che, al di là di uno scenario che mi sembra difficile da invertire, soprattutto in tempi come questi, e dopo operazioni di marketing come Open to Meraviglia, (Ministero del Turismo) in cui si punta chiaramente alla banalizzazione del paesaggio e alla mercificazione del panorama, gli interventi auspicabili dovrebbero almeno cercare di  valutare la sostenibilità dell’impatto turistico, al fine di individuare, e magari far rispettare, gli indici di capacità di carico di una località turistica, per evitare la saturazione, e dunque la competizione tra ospitati ed ospitanti.

Come vi dicevo non sarà facile, perché effettivamente il turismo contribuisce notevolmente al Pil degli Stati, e poi ci sono milioni di persone che vivono spennando i visitatori, e costoro saranno sempre contrari a qualsiasi limitazione o regolamentazione dei flussi.

Come sempre sarebbe necessaria una maturazione culturale; nel senso che fino ad ora il successo del settore  si è misurato solo con l’aumento degli arrivi.

Fortunatamente, a partire soprattutto dalle località soggette all’assalto turistico, negli ultimi anni si comincia a parlare di qualità della vita come fattore importante da considerare, quindi anche quella dei residenti.

E tutto ciò per me è un bene, perché sono convinto che il benessere non si misura con i guadagni di un settore; e l’ Overtourism ne costituisce l’esempio perfetto.

Umberto Baldo

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