3 Maggio 2024 - 9.31

Social media e democrazia. Possono convivere?

Umberto Eco: “Con i social parola a legioni di imbecilli…..”

Umberto Baldo

Con il pezzo di ieri su Tik Tok pensavo di avere chiuso l’argomento.

Ma alcuni di voi mi hanno scritto, facendomi capire che il tema è piuttosto sentito, in particolar modo per quanto attiene la problematica del rapporto fra social media e democrazia.

Ho quindi deciso di ritornare a parlarne,  partendo dall’osservazione che mentre fino a pochi anni con il termine social-democrazia si indicava solo  un assetto politico che tentava di stemperare le rudezze del capitalismo con istanze solidaristiche, oggi  social-democrazia (o forse democrazia-social) rappresenta anche lo spazio virtuale in cui i cittadini  elaborano le proprie opinioni su temi politici, economici, culturali, con ricadute reali sui propri costumi, consumi, preferenze elettorali.

Potrebbe sembrare una mera questione linguistica, ma in realtà si tratta di qualcosa di maledettamente più serio.

Il problema di fondo è quello che Internet, intendendo con questo termine decenni di innovazione tecnologica, è stato interpretato fin dall’inizio come una sorta di “luogo della libertà”, dove chiunque poteva dire o scrivere qualsiasi cosa, e di conseguenza la Rete si è sviluppata sopra gli ordinamenti giuridici nazionali, producendo contenuti che sfuggono ad ogni controllo.

In questo modo le Società che hanno creato e gestiscono i social media più diffusi sono diventate una sorta di poteri sovranazionali (anche economici), che in qualche modo possono condizionare la vita della gente, e degli Stati.

Non credo di rivelarvi nulla di nuovo  affermando che azioni di gruppi hacker, guidati da potenze straniere, hanno messo in campo negli anni scorsi vere e proprie azioni di disturbo nella costruzione del consenso e nelle elezioni democratiche di vari Paesi, producendo sicuramente  un condizionamento della volontà popolare.

Così ponendo, in definitiva, la questione se sia lecito per i social intervenire nel dibattito democratico di un Paese.

Qualcuno di voi starà pensando: ma in fondo cosa c’è di diverso da quello che hanno sempre fatto i giornali e le televisioni?

Posso anche concordare su questo, ma solo in parte, perché sappiamo bene che da sempre esistono leggi che regolano la stampa in generale, e la televisione è in qualche modo controllata (io dico anche condizionata) dalle Istituzioni politiche.

In altre parole, da sempre i mezzi di comunicazione hanno avuto la caratteristica di essere organismi collettivi, in cui, prima della pubblicazione o della messa in onda di una notizia, una lunga catena di controllo svolgeva la funzione di filtro, e di fatto anche di verifica delle veridicità. 

Ed è vero che i media comunque condizionavano le opinioni pubbliche, tanto che una volta, come prova della veridicità di una notizia, si usava dire: “l’ho letto sul giornale” o “lo ha detto la Tv”.

Oggi non è infrequente sentire qualcuno affermare “l’ho visto su Internet”, se non che, diversamente da prima, oggi la verosimiglianza delle notizie false è tale da richiedere un grande sforzo per provarne la veridicità: e abbiamo già capito che addirittura la tecnologia (penso all’Intelligenza Artificiale) falsificherà le sembianze, la voce, il viso delle persone, in maniera tale da renderle indistinguibili dall’originale.

Alcuni regimi illiberali lo hanno ben capito, e porto un solo esempio; quello dell’Iran, dove Instagram è uno dei pochi social media consentiti dal governo degli Ayatollah. Dopo un primo periodo di uso intelligente e critico, i preti inturbantati hanno intuito la potenza del mezzo ed è iniziata la cosiddetta “sfilata degli hijab”. Di fatto il governo non ha messo al bando la piattaforma ma l’ha ritorta a suo favore, consentendo la pubblicazione solo di contenuti apolitici e di intrattenimento (e fake news), e punendo gli usi  giudicati sovversivi. 

Analogamente sia la Cina che la Russia usano troll su Internet per plasmare i social media in modo favorevole ai propri regimi, e dannosi per gli Stati Uniti e l’Occidente. 

Ma è evidente che il problema del controllo delle opinioni pubbliche, e quindi dei social media, sarà sempre più in testa all’azione dei regimi autocratici.

Scontri e discussioni ha anche sollevato non molto tempo fa la decisione dei due colossi Twitter e Facebook  di “bannare “ Donald Trump, dando vita ad un acceso dibattito sulla legittimità democratica di togliere la parola ad un personaggio di grande rilevanza. 

Ciò dimostra che, a prescindere dai punti di vista, le due Società hanno ribadito con i fatti il loro posizionamento sovra-statale, con la possibilità di spegnere o accendere i microfoni a chiunque, in qualsiasi momento. 

Non vi nascondo che, pur facendo la dovuta tara, io il problema me lo sono posto di fronte al cosiddetto “affaire Ferragni”, che per settimane ha spopolato sulle prime pagine di giornali, televisioni e social, sollevando un polverone e dividendo l’opinione pubblica, quasi si trattasse di un affare di Stato. 

E di fronte all’evidenza che le opinioni di milioni di persone sono nelle mani di influencer sempre più potenti, il cui potere sta racchiuso in uno smartphone, dove basta un secondo per pubblicare qualsiasi cosa, mi sono chiesto:  ma cosa accadrebbe se Poteri più o meno oscuri convincessero questi soggetti a pubblicare, magari anche sotto minaccia, contenuti capaci di spostare voti o mettere a rischio la stabilità e la sicurezza di un Paese?

Capite bene che si tratta di una domanda da far tremare i polsi.

Quindi, per tornare al punto di partenza: Internet è veramente una tecnologia di liberazione? 

O  meglio; i Social media sono compatibili con la democrazia?

Non è facile dare una risposta convincente.

Io credo serva un approccio guardingo e critico nello stesso tempo.

Va sicuramente respinta l’idea che le “piazze virtuali” create dai Social network siano gli spazi della democrazia del terzo millennio; questa è solo una pia illusione.

Non può esserci democrazia in un mondo in cui i pochi soggetti privati che gestiscono i Social network esercitano un potere, di fatto, equiparabile se non superiore a quello degli Stati; un potere che però si sottrae a forme di controllo, a regole di vario tipo, pretendendo invece un controllo totale e sempre maggiore sia sui contenuti, sia sui profili degli utenti.

Guardandola così, non c’è dubbio che la “democrazia dei social” sia la più grande mistificazione che la storia conosca, perché, ribadisco, non può esserci democrazia effettiva quando c’è un soggetto che detiene il controllo del mezzo di comunicazione,  ed in qualunque momento è in condizione di selezionare persone e contenuti.

Con un rischio ulteriore secondo me.

Quello che qualcuno spacci i social come una “arena virtuale democratica”, che consente il rapporto diretto, non intermediato dai Partiti, ad esempio fra il politico e l’elettore.

Non è assolutamente così, perché non è democrazia un Far West, dove qualunque imbecille può essere scambiato per un “opinionista”. 

Insuperata rimane al riguardo la battuta di Umberto Eco, uno che di comunicazione se ne intendeva, che già molti anni addietro così definì la Rete: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”.

Io non sono così tranchant come Eco, ma è innegabile che il problema sta tutto nel fatto che quando si comincia a parlare di “regole” i “padroni miliardari” dei Social cominciano a parlare di attentato alla libertà di informazione e di manifestazione del pensiero.

Ma si tratta degli stessi soggetti che quando si parla invece di assumersi qualche responsabilità circa i contenuti postati dagli utenti, allora sostengono che i loro Social sono solo delle “autostrade” dove entra ed esce chi vuole. 

In questo momento stiamo entrando nella campagna elettorale per le elezioni europee.

Capite bene come siano obsolete, e addirittura ridicole, regole come quella della “par condicio”.

Regole che impongono ai media tradizionali di “centellinare” e “cronometrare” i tempi e gli spazi riservati ai vari Partiti, quando ciascuno di noi con un semplice account social, una mail, un WhatsApp può, teoricamente e a costo zero, contattare in tempi rapidissimi l’intera popolazione italiana, trasmettendo un particolare messaggio che a sua volta può essere fatto circolare centinaia di miliardi di volte.

Capite bene che quello del rapporto fra social e democrazia  è un problema immane, e visto che, a mio avviso, non è più possibile un passo indietro verso un modello no-social, l’unica strada da percorrere mi sembra quella di un’azione collettiva mirata a smascherare le fake news, ad imporre regole dove servano, ma soprattutto di spingere sull’educazione in particolare dei più giovani (che sono i più facilmente influenzabili) ad un uso consapevole di questi strumenti.

Forse si dovrebbe arrivare ad una rivoluzione all’incontrario; che parta cioè dall’idea che, fino a prova contraria, quello che si trova sui social per definizione “non è vero”.

Umberto Baldo

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