8 Maggio 2024 - 9.48

Luca Zaia: non voterò il generale Vannacci. I mugugni della Liga

Umberto Baldo

Luca Zaia è un uomo politico che non parla spesso di “politica”, e ciò potrebbe sembrare un paradosso ma non lo è, perché il Governatore del Veneto sembra più a proprio agio quando parla di cose che interessano e condizionano la vita dei cittadini, si tratti di una tangenziale o di un bacino di laminazione.

Quindi le rare volte che si esprime su un tema “politico” vale la pena di soppesare bene le sue parole.

Qualche giorno fa, a proposito della candidatura del “Generale” Vannacci nelle liste della Lega per le imminenti elezioni europee, sottolineando con forza come il Generale sia un candidato indipendente e non della Lega, ha detto papale papale: «Se lo voterò? Mi sentirei un traditore a non votare un veneto”.

Ed a una domanda circa il contrasto, al limite della contraddizione, con il centralismo professato da Vannacci ha risposto:  «Ribadisco che chi è contro l’autonomia è contro la Costituzione e questo vale anche per il Generale, l’autonomia è prevista nella Costituzione del 1948, e specificata con la modifica del Titolo V, tutto il resto sono divagazioni sul tema….”.

Non so se voi lo percepiate, ma a me sembra palese che queste poche parole di Luca Zaia rappresentino un sintomo di quello che cova sotto la cenere nel Partito.

E quel “Mi sentirei un traditore a non votare un veneto” esprime la volontà di difendere le natura originaria del Partito, che è il più longevo dell’attuale Parlamento, e nel bene o nel male ha rappresentato il fenomeno politico più innovativo della Seconda Repubblica.

Un partito sicuramente non “di sinistra”, nell’accezione più comune di questo termine, ma a cui non è mai stato chiesto di ripudiare il fascismo, perché nessuno ne ha mai messo in dubbio l’antifascismo.

Un Partito che nel corso della sua storia ultra trentennale ha osato sfidare, uno dopo l’altro, i più sacri principi fondanti della Repubblica italiana.

Nulla a che vedere con il Movimento 5Stelle, perché mentre la Lega Nord (quella delle origini) si affidava a dei valori, condivisibili o meno, ma comunque valori (non dimentichiamo che fra i padri nobili ci furono intellettuali come Gianfranco Miglio), il Movimento5S è stato per lo più il risultato del genio ribelle di Giuseppe Grillo, e delle sue idee giacobine che si materializzavano più che altro in iniziative tipo il “Vaffa-day”, o slogan come “apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno”.

E questa differenza di fondo è ancora più evidente nel fatto che mentre il M5S  (ora Partito di Conte) è rimasto di fatto un Sindacato del Sud, e non si è mai radicato nel territorio (non è un caso che alle elezioni amministrative prenda molti meno voti che alle politiche), la Lega conserva ancora oggi un “nocciolo identitario” che intreccia politica e società, almeno in certe parti del Nord Italia.

Forse non è superfluo ricordare che il  “Senatùr”, Umberto Bossi, seppe fare tesoro della crisi della Dc, e impose la sua “Lega Nord” come rappresentante e difensore degli interessi dei ceti produttivi e professionali, ostili alle politiche governative, e insofferenti alla pressione fiscale. 

E per fare questo oppose alla cosiddetta “questione meridionale”, tema centrale della politica del dopoguerra, la “questione settentrionale”, prendendosela con gli aiuti al Sud, frutto a suo dire “delle ricchezze  sottratte al Nord”, e soprattutto contrapponendo ai meridionali “assistiti” il produttivo popolo del Lombardo Veneto.

Contemporaneamente cominciò a dare una spallata a quello che era sempre stato un tabù dello Stato Italiano fin dalla sua nascita; vale a dire il centralismo.

Fu un crescendo, che partendo da un radicale decentramento, e passando per il federalismo, arrivò alla fine alla secessione.

Credo ricordiate tutti la mitica “Padania”, con tutti i suoi riti: Alberto da Giussano, la bandiera con il Sole delle Alpi, le camicie verdi, la Guardia Padana, il Parlamento del Nord, la raccolta dell’acqua nell’ampolla alle fonti del Po sul Monviso per versarla in Adriatico a Venezia, i raduni sul pratone di Pontida.

Bossi fu il “Pontifex Maximus” della “religione della Padania”, che a prima vista poteva sembrare puro folklore mirato a colpire le anime semplici, ma che invece contribuì a dare vita ad una sub cultura basata sulla contrapposizione dei Territori, delle Regioni, dei Popoli, al centralismo di “Roma ladrona”.

Ma anche alla nascita, come già accennato, di una coscienza del “Nord”, fatta di gente (ricordate i valligiani armati di fucile evocati da Bossi) che voleva decidere da sola il proprio destino, in un mix di liberismo, individualismo, regionalismo, secessionismo ed antipolitica. 

Dal culto dei territori alla questione “etnica” il passo era a mio avviso inevitabile.

E così oltre ai “terroni” italici, nel mirino della retorica leghista finirono gli albanesi, i musulmani, gli africani; retorica questa che non è cambiata neanche nell’era salviniana. 

Certo da allora molta acqua è passata sotto i ponti del Po.

Il Senatùr è finito in un vortice di familismo deteriore che lo ha costretto ad abbandonare la guida della Lega, e dopo il breve passaggio di Maroni, l’arrivo al vertice di Matteo Salvini ha cambiato quasi tutte le carte in tavola.

Credo sia superfluo ripercorrere questi anni di Segreteria Salvini, la cui caratteristica principale è stata il progetto di “nazionalizzazione della Lega”, operazione che sembrava riuscita nel 2019 quando alle europee il Partito prese il 34,3%.

Da allora la cosiddetta “Lega Nazionale” si è avvitata su se stessa, perdendo consensi elezione dopo elezione, e portando Matteo Salvini, incalzato sia dai Fratelli d’Italia della Meloni che dalla “rinata” Forza Italia”, a decidere per l’ingaggio appunto del generale Vannacci, il che ha acuito i dissidi interni che perdurano ormai da tempo.

Il fatto è che i “mugugni” si stanno trasformando in dissenso, e lo dimostra che contro l’inserimento nelle liste di Vannacci si sono dichiarati fra gli altri il presidente del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, che ha specificato che lui lavorerà per sostenere i tre candidati friulani. 

In Veneto, oltre al Presidente Zaia,  si sono sbilanciati l’assessore regionale allo Sviluppo economico Roberto Marcato che ha detto “Vannacci non lo voterò mai e poi mai, manco morto”, quello alla Protezione civile, Gianpaolo Bottacin, con «Vannacci non c’entra nulla con la Lega in cui sono entrato più di 30 anni fa. Fatico a capire questa scelta», e l’assessore all’Agricoltura Federico Caner con “non è un valore aggiunto per la Lega e a Nord est non ci porterà voti”.

Al di là della candidatura del Generale, che sembra essere percepita dai militanti come uno spostamento all’estrema destra, credo sia importante rilevare, tornando a Luca Zaia, come il Governatore del Veneto non solo non ha mai dato segnali di apprezzare la “nazionalizzazione”, ma è diventato sempre più l’emblema dell’autonomia differenziata.

Potrei anche sbagliarmi, ma i mugugni veneti per me sono la dimostrazione che certi nodi materiali e culturali  tipici della Lega primigenia (in Veneto Liga Veneta), pur addomesticati da anni di salvinismo, siano ancora presenti.

Che esiste cioè ancora un pezzo di Paese, e penso al Nord Est in particolare, che  non è certo diventato “centralista” o “nazionalista”,  per il quale Roma è ancora “ladrona”, e che è sempre più insofferente alle politiche ondivaghe del Capitano, ed al progressivo spostamento all’estrema destra della Lega. 

Insomma cittadini che da “secessionisti” non sono certo diventati “patrioti”. 

E “anvedi mai” che il vecchio grido  “paròni a casa nostra” in un futuro non possa ancora risuonare per le nostre contrade!

Umberto Baldo

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