14 Maggio 2024 - 10.38

La “separazione delle carriere” dei Magistrati, raccontata in parole povere.

Erasmus

La separazione delle carriere dei Magistrati (fra i Pm che fanno le indagini, ed i Giudici che emettono le sentenze) è una questione controversa, che ritorna ciclicamente, e viene a galla da decenni ogni  qual volta  si parla di “riforma della giustizia”.

Trattandosi di una tematica piuttosto “tecnica”, oserei dire da addetti ai lavori, immagino che  la maggior parte dei cittadini o non sappia di cosa veramente si parli, oppure ne abbia un’idea piuttosto vaga.

Senza avere nessuna pretesa o certezza di riuscire a fornire una spiegazione esauriente, cercherò per quanto possibile di offrire qualche indicazione affinché anche il Sior Bepi e la Siora Maria riescano a capirci qualcosa di più.

Non è facile neppure trovare l’incipit perché, nonostante al tema siano state dedicate intere biblioteche giuridiche, la problematica è venuta ad assumere nel corso dei decenni una valenza sempre più “politica”.

Chi è sufficientemente “agée” ricorderà che fino all’inchiesta denominata “Mani Pulite”, che spazzò via l’intera classe politica della prima Repubblica, il tema della separazione delle carriere era forse oggetto di qualche tesi di laurea.

Furono i PM di Milano, e poi di tutte le Procure d’Italia a scoperchiare il fenomeno di “Tangentopoli”, palesando così sia il malaffare diffuso, sia la debolezza della Politica nei confronti della Magistratura (capisco che messa così è un po’ una semplificazione, ma è per spiegarmi meglio).

Fu da quel momento che il tema della separazione delle carriere divenne oggetto di dibattito politico, e Berlusconi ne fu il primo tenace sostenitore.

Detto questo, credo ci si debba calare maggiormente nel tema, chiedendoci cosa si intenda per separazione delle carriere.

In Italia Magistrati requirenti o inquirenti (Pubblici ministeri, quelli che fanno le indagini) e Magistrati giudicanti (giudici di Tribunale e Corti) appartengono alla stessa carriera, nel senso che sono selezionati con un unico concorso, e dei loro trasferimenti, e dei loro procedimenti disciplinari, si occupa un unico Consiglio Superiore della Magistratura. 

La Costituzione stabilisce, fra l’altro, che la Magistratura è un Ordine autonomo e indipendente ed è soggetta soltanto alla legge; e inoltre che i Magistrati si distinguono tra loro soltanto per “diversità di funzioni”.

I Partiti che chiedono la “Separazione delle carriere” vorrebbero imporre a coloro che intendano accedere alla Magistratura una scelta iniziale, di fatto definitiva, fra una funzione e l’altra.

Detta in altre parole uno dovrebbe decidere fin dall’inizio se fare il Pubblico Ministero oppure il Giudice, senza possibilità di successivi ripensamenti e cambi di funzione.

C’è comunque da dire che nel corso del tempo le due funzioni (inquirente e giudicante) sono state sempre più rigidamente separate (Riforma Castelli del 2006), e da ultimo con la riforma Cartabia (2022), che ha ridotto le possibilità di passaggio da quattro a una sola volta in carriera, nei primi dieci anni.

Quali sono le ragioni di questa contesa?

In estrema sintesi chi chiede la separazione delle carriere (di fatto delle funzioni) sostiene che l’ordinamento attuale renderebbe meno paritarie le parti del processo (Pm e Avvocato difensore) davanti al giudice.   In altre parole costoro nutrirebbero il sospetto che l’appartenere alla stessa carriera faccia sì che il Giudice sia meglio disposto verso il Pm che verso l’avvocato difensore, e di conseguenza la difesa non avrebbe le stesse opportunità dell’accusa.

Chi al contrario vorrebbe non si cambiasse nulla, sostiene che   in Italia il Pm non è un “Avvocato dell’accusa”, in quanto non ha il dovere di portare a casa la condanna (come invece l’Avvocato difensore ha il dovere di fare il possibile per ottenere la sentenza più favorevole al suo cliente), ma ha l’obbligo di indagare per la verità, cioè cercando anche le prove a favore dell’indagato.  E qualora  ce ne fossero, tanto da convincersi che l’indagato sia innocente, deve chiedere l’archiviazione in Udienza preliminare e, parimenti, se al termine del dibattimento dovesse convincersi che la prova che si è formata davanti al Giudice non confermi l’ipotesi della Pubblica accusa, deve chiedere l’assoluzione dell’imputato.  

Ne consegue, per i sostenitori di questa tesi, che queste maggiori garanzie per l’imputato verrebbero meno se le carriere dei Magistrati fossero separate, ed il Pm diventasse così solo l’ “Avvocato dell’accusa”.

Guardate, potrei ovviamente continuare illustrandovi le numerose altre problematiche collegate; una per tutte i ventilati due Consigli Superiori, con le modalità di nomina dei Giudici, o dei Pm, negli stessi.

Ma, come accennavo all’inizio,  il tema è talmente  tecnico,  ed è così delicato valutare le possibili conseguenze della riforma,  che non è qualcosa di cui il comune cittadino possa facilmente afferrare le ricadute al di fuori degli slogan delle due “tifoserie”.

E quindi mi fermo qui, ritornando però sulla rilevanza politica della questione.

Caratterizzata da un lato dal mondo della Politica, che accusa la Magistratura di derive giustizialiste, e di “giustizia ad orologeria” ogni qual volta viene arrestato o inquisito un politico (da ultimo il caso Toti-Liguria), e dall’altro dalla Magistratura nel suo complesso che accusa la Politica di voler condizionare ed asservire  i Pm al Governo, stabilendo quali reati perseguire e quali no.

E portando come esempi Paesi (Ungheria e Turchia) che insegnano che meno è indipendente la giurisdizione, più è attratta sotto l’egida dei Governi, meno garanzie si danno al cittadino quando cade nelle maglie della giustizia.

Vi confesso che, come spesso succede in questioni complesse, non me la sento di decidere chi abbia ragione e chi torto.

E quanto questa problematica possa essere divisiva lo dimostra il fatto che ad essere a favore di una riforma che divida la Magistratura giudicante da quella Requirente sono stati, nel tempo, personaggi come Giovanni Falcone, Giovanni Conso, Sabino Cassese, Giuliano Vassalli.

Non posso però non rilevare che le cronache talvolta ci consegnano esempi di derive apparentemente giustizialiste.

Ma se le indagini sembrano quasi sempre processi, se un avviso di garanzia sembra una sentenza di condanna (e non una tutela dell’indagato come dovrebbe essere), se le misure cautelari sembrano pene definitive, tutto ciò non ha nulla a che fare con le “carriere dei giudici”, bensì con l’organizzazione degli Uffici giudiziari, con la permeabilità degli stessi rispetto alla Stampa, ed in generale con la deontologia di tutti coloro che di giustizia si occupano, giornalisti per primi.

Ne consegue a mio avviso che la separazione delle carriere magari potrebbe risolvere altri problemi, ma sicuramente non quelli sopra accennati. 

“La giustizia non è di questo mondo”, si usa dire, ma il cittadino ha il diritto di pretendere un sistema giudiziario veloce ed efficiente, che risponda alle esigenze di una società moderna, così come avviene nei paesi più civili.

Ed al riguardo credo che la Magistratura nel suo complesso, ma soprattutto la stragrande maggioranza dei Giudici e dei Pm che lavorano e fanno il proprio dovere, dovrebbe preoccuparsi dell’immagine sempre più “sfocata” offerta dall’Ordine giudiziario, percepito sempre più come una casta di strapagati intoccabili (basta scorrere social e forum per farsene un’idea).

E sicuramente ha contribuito, e di molto, anche la vicenda dall’ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Luca Palamara.

Perché quando si è arrivati alla fine della lettura del suo libro-intervista ad Alessandro Sallustri si ricava l’impressione (in realtà ben più di un’impressione) che non ci sia stato episodio rilevante, verificatosi in seno alla Magistratura, dallo sviluppo delle carriere ai trasferimenti, che non sia avvenuto in un’ottica correntizia.

Ecco perché, alla luce del principio evangelico “chi è senza peccato scagli la prima pietra”, il confronto su un’eventuale riforma (e nulla al mondo è perfetto od eterno), non può fondarsi su una volontà punitiva e di rivalsa della Politica sulla Magistratura, e di converso su un’opposizione preconcetta da parte dei Giudici.

Allo stato mi sembra che, al di là delle tante chiacchiere buone per dare aria alle bocche e riempire le pagine dei giornali, la fotografia della situazione in estrema sintesi sia questa: il Congresso della Associazione Nazionale Magistrati a Palermo ha alzato un muro contro qualsiasi ipotesi di riforma che tocchi la Costituzione; Elly Schlein e Giuseppe Conte sono anch’essi (ed era scontato) su posizioni controriformiste; il Ministro Nordio ha tranquillizzato i Magistrati facendo capire che della separazione se ne riparlerà più avanti (magari fra qualche secolo) in questo sicuramente spalleggiato dalla premier Giorgia Meloni, che non ha certo voglia di imbarcarsi in una guerra di religione (perché, per evidenti ragioni politiche, in questo si trasforma in Italia qualsiasi tentativo di cambiare l’assetto dell’Ordinamento giudiziario).

Quindi ragazzi tranquilli, nulla di nuovo sul fronte occidentale!!!

Erasmus

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