SALUTE – Amiloidosi cardiaca, triplicati i casi dal 2019. I clinici: «Non è una malattia così rara”
Un accumulo scorretto di proteina amiloide all’interno di numerosi organi e tessuti può essere la causa dell’insorgenza di un gruppo eterogeneo di malattie chiamate amiloidosi. Uno degli organi principalmente coinvolti è il cuore, provocando una condizione nota come “amiloidosi cardiaca”. Questa malattia si manifesta con una varietà di quadri di presentazione che includono aritmie e scompenso cardiaco, ma che può celarsi anche dietro a condizioni comuni come la stenosi aortica e l’ipertensione arteriosa. Se non curata, l’amiloidosi cardiaca può essere mortale, anche in breve tempo. Le forme più frequenti e significative sono l’amiloidosi AL (a catene leggere) e l’amiloidosi ATTR (da transtiretina), quest’ultima presente in una forma ereditaria (hATTR) o acquisita (wild-type ATTR). Dal punto di vista epidemiologico, l’amiloidosi cardiaca wtATTR, che interessa soprattutto gli uomini sopra i 70 anni, non sembra essere “una malattia così rara”, avendo registrato una vera e propria esplosione di casi, non solo in Italia, ma in tutto il mondo.
Nonostante l’attenzione sulla patologia si sia recentemente accesa grazie alla disponibilità di terapie innovative efficaci in grado di prevenire, arrestare o riassorbire il deposito della sostanza amiloide, la sottodiagnosi e i costi elevati dei nuovi farmaci restano un problema aperto. Secondo gli esperti, considerando tutti i sottogruppi dell’amiloidosi cardiaca, il tempo medio tra il rilevamento dei sintomi e la diagnosi varia tra 6 e 30 mesi, per quanto riguarda la ATTR, meno del 50% dei pazienti riceve la diagnosi entro i 6 mesi dall’esordio, e visto il numero elevato dei casi l’accesso alle terapie deve essere garantito a tutti i pazienti. A Padova si è fatto il punto con gli esperti nell’incontro organizzato da Motore Sanità dal titolo “Amiloidosi cardiaca in Regione Veneto. Innovazione terapeutica che spinge all’innovazione organizzativa, come omogeneizzare i percorsi?”, con il patrocinio dell’Associazione Amiloidosi italiana.
“Dal 2019-2020 si è registrato un aumento significativo dei pazienti in termini di prevalenza e di incidenza di amiloidosi cardiaca – ha spiegato il professore Alberto Cipriani del Dipartimento di Scienze Cardiologiche, Toraciche e Vascolari dell’AOU di Padova -: i casi sono triplicati, un fatto che mette in discussione che si tratti di una malattia rara. Presso il Centro di Riferimento dell’AOU di Padova prima del 2019 i pazienti in carico con amiloidosi cardiaca da transtiretina erano una ventina, attualmente sono oltre 200. Un aumento che va imputato all’avanzamento delle metodiche diagnostiche, molto più accessibili e non invasive, e alle nuove terapie che si sono rivelate efficaci nel rallentare la progressione della malattia e a ridurre la mortalità e le ospedalizzazioni. Il loro prezzo, però, è altissimo. Le cardiologie del Veneto sono in rete per assicurare il miglior percorso diagnostico; si auspica la nascita di una rete efficace anche tra le medicine interne, le geriatrie e la medicina generale, per combattere il sommerso, la sottodiagnosi e per sottolineare che l’amiloidosi cardiaca non è affatto una condizione rara”.
Snocciolando i numeri, Paola Facchin, Coordinatore Tavolo Interregionale delle Malattie rare, ha presentato l’epidemiologia dell’amiloidosi cardiaca senile tipo wild-type, spiegando che essa è, in modo impressionante, collegata alla disponibilità e diffusione dell’unico farmaco in indicazione finora esistente per trattare tale patologia. “La distribuzione dell’amiloidosi wild-type – ha spiegato la professoressa Facchin – ha un picco oltre i 75 anni e una distribuzione consistente di casi nel corso degli 80 anni e oltre. Le cardiopatie e gli scompensi cardiaci ad esso legati si sono confusi per molto tempo con una patologia multi-eziologica estremamente frequente nell’anziano e nel grande anziano. La patologia non era nota per molto tempo, è diagnosticabile con un percorso di conferma diagnostica complesso, indaginoso e invasivo. Per tutti questi motivi, la diagnosi di amiloidosi wild-type nell’anziano era del tutto episodica fino agli ultimi mesi del 2021 anche nella nostra Regione”.
In quell’anno, come ha spiegato la professoressa Facchin, si sono diagnosticati in tutto 8 nuovi casi. Al 31 dicembre 2023 i casi diagnosticati e certificati erano saliti a 227 con un picco di oltre 100 casi nuovamente diagnosticati nel primo semestre 2022, in concomitanza dell’immissione in commercio del farmaco specifico. Di contro, la forma di amiloidosi ereditaria da transtiretina, di gran lunga prevalente fino al 2021, è rimasta sostanzialmente stabile negli anni, nonostante la presenza di farmaci specifici in indicazione. I casi nel Veneto nel 2021 erano 21 e al dicembre 2023 sono 29. “Un andamento rilevante della diagnosi di forme wild-type sarebbe positivo se si aprissero realmente nuovi scenari terapeutici che possano migliorare la sopravvivenza e la qualità di vita del paziente – ha proseguito Paola Facchin -. Il farmaco è utilizzabile in pazienti che non abbiano una compromissione già estremamente grave del cuore, quindi non in tutti i pazienti. Inoltre, la conoscenza dell’efficacia nel grande anziano è ancora molto labile. È quindi essenziale che ci sia, dopo la diagnosi, una corretta valutazione clinica complessiva del singolo paziente, per selezionare quelli in cui la terapia può costituire davvero una speranza di cambiamento rilevante dell’evoluzione della malattia. Valutando le percentuali dei pazienti che, una volta diagnosticati, sono stati immessi nella terapia, essi fluttuano da circa il 50% dei casi in alcuni Centri fino al 100% in altri. In linea di massima, più il Centro ha una casistica robusta, sia internamente alla Regione che esternamente ad essa, più la selezione dei pazienti da immettere nel trattamento è stretta. L’impatto nelle risorse del sistema sanitario che tale trattamento, molto costoso, induce, è già ora rilevante e tende naturalmente a crescere nel tempo, man mano che aumentano le nuove diagnosi e si stratificano i pazienti presenti. Si pone quindi un problema serio nel trovare un corretto bilanciamento tra il reale vantaggio clinico che l’utilizzo di questo farmaco dà nel grande anziano e le risorse che questo trattamento richiede, sottraendole ad altre necessità, anche espresse dallo stesso gruppo di popolazione. Monitoraggi di popolazione, come quelli in corso in Regione Veneto, potranno nel tempo aiutare a definire questo punto di equilibrio”.
Sui nuovi farmaci, la formazione degli specialisti e la creazione di team multidisciplinari, è intervenuto Giampaolo Pasquetto, Direttore dell’UOC di Cardiologia Cittadella (PD) e presidente dell’Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri (ANMCO) del Veneto: “La recente disponibilità di farmaci per la terapia di questa cardiomiopatia, fino ad oggi considerata rara ed incurabile, ha modificato la storia naturale della malattia e migliorato la sopravvivenza dei pazienti affetti. È importante una linea guida regionale per evitare disparità e garantire un accesso equo ai trattamenti. Questo anche in considerazione del fatto che, ad inizio novembre 2024, l’unico farmaco che ad oggi ha l’indicazione per il trattamento dell’amiloidosi cardiaca wild-type, non sarà più rimborsato dal fondo nazionale farmaci innovativi. Inoltre, considerato l’ampio spettro di segni, sintomi ed alterazioni degli esami strumentali di primo livello che sono comuni ad altre numerose patologie, occorre che i cardiologi, gli internisti, i geriatri, in particolare quelli che agiscono sul territorio lontani dai centri di riferimento, siano adeguatamente formati per sospettare la presenza di questa condizione, a riconoscerne i segni ed i sintomi precocemente ed avviare gli opportuni processi diagnostici e di presa in carico. Oltre alla formazione ed alla costituzione di team multidisciplinari, ANMCO Veneto sta favorendo, come per altre cardiopatie rare, la collaborazione tra centri spoke e centri Hub per garantire un omogeneo trattamento per tutti i pazienti colpiti dalla malattia”.
Sul ruolo della diagnosi tempestiva è intervenuta Paola Martire, Dirigente medico della Cardiologia di Treviso dell’ULSS 2 Marca Trevigiana: “Per trattare il paziente adeguatamente è necessaria una diagnosi specifica, precisa, eppure ancora oggi capita che i pazienti arrivano in ambulatorio senza avere fatto esami cruciali. Servono più formazione e incontri fra cardiologi ambulatoriali del territorio e i medici di base che potranno aiutare a costruire attorno al paziente un iter diagnostico più specifico e precoce possibile, in modo da trattare il paziente nei tempi e nelle modalità più corrette”.
Nel disegnare il percorso diagnostico e di cura più appropriato per il paziente, il medico di medicina generale potrebbe avere il ruolo “sentinella” sul territorio. “Laddove fosse possibile – ha spiegato Fabiola Talato, Medico di Medicina Generale di Padova -, il medico di famiglia ha la possibilità di estrarre dal suo software i pazienti a rischio per poi proporre loro analisi di laboratorio di primo livello; qualora i risultati degli esami fossero suggestivi di sospetta amiloidosi cardiaca, inviarli nei centri dedicati”.