Con l’islam stiamo calando le brache: dagli imam all’Università a Dante non insegnato nelle scuole
Oriana
Leggendo le cronache dall’Italia viene da chiedersi: quando affideremo la compilazione dei programmi delle nostre scuole, dalle elementari all’Università, al Ministro della Cultura dell’Iran, o dell’Afghanistan, o del Pakistan?
Ma Ministri candidati a questo ruolo di “programmatori della nostra cultura” si possono trovare in ogni parte del Medio Oriente, e di altri Paesi di cultura islamica.
Il problema è che ormai si ha qualcosa di più di un’impressione che l’Occidente stia arrendendosi all’Islam.
La nostra civiltà, figlia della Rivoluzione Francese, e della Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino, si basa sul rispetto nei riguardi di ciò che è diverso, ed il nostro Ordinamento costituzionale non a caso stabilisce che nessuno può essere discriminato per il genere, la religione, la razza, le idee politiche, eccetera.
Essere rispettosi significa accettare tali differenze culturali o religiose.
Ma il rispetto non implica, tuttavia, la rinuncia alle proprie tradizioni, allo scopo di non offendere in qualche modo coloro che coltivano altre usanze.
Il rispetto non comporta un adeguamento remissivo alla cultura altrui.
In termini volgari rispetto non vuol dire “calarsi le braghe”!
E questo concetto, che dovrebbe una volta per tutte essere affermato con vigore e chiarezza, sembra lo stiamo dimenticando giorno dopo giorno.
La percezione, ma ormai è molto più di una percezione, è che il “politicamente corretto” stia annientando le radici delle nostre civiltà.
Se così non è, e molti non sono d’accordo lo so bene, mi si spieghi cosa c’entra un Imam all’interno di una nostra Università.
È accaduto venerdì scorso a Palazzo Nuovo, sede delle facoltà umanistiche dell’Università di Torino, da vari giorni occupato da collettivi e studenti Pro-Palestina, dove l’Imam Brahim Baya ha guidato una preghiera, dicendo fra l’altro: “Abbiamo visto in questi ultimi sette mesi che i palestinesi sono un popolo orgoglioso. Uomini, anziani, giovani, bambini hanno resistito di fronte a questa furia omicida, a questa furia genocida uscita dalla peggiore e della peggiore barbarie della storia che non tiene in considerazione nessuna umanità, nessun diritto umano”.
Al di là dei contenuti, sempre rispettabili ma sempre discutibili mi auguro, credo sia un dato innegabile che lo scorso venerdì il grande androne del Palazzo universitario si è trasformato in una moschea, con tanto di preghiere e benedizioni in arabo, sermone in italiano, e intervento in inglese di un giovane arabo.
Si è parlato di jihad compiuto da donne, uomini e bambini, ognuno secondo le sue capacità, si è parlato di “lotta di liberazione che sarebbe cominciata dal primo momento in cui i sionisti hanno calpestato quella terra Benedetta”.
Comunque la si pensi, credo che a Torino si stia violando palesemente il principio della laicità della cultura, della libertà del pensiero Universitario, perché la presenza stessa di un Iman a guidare la preghiera del venerdì calpesta questi principi.
Ma il fenomeno è sempre più diffuso in tutto il Paese.
Lo abbiamo visto, nel tempo, con la cancellazione di qualunque simbolo cristiano dalle aule, con l’abolizione del Presepio, con il tentativo di trasformare il Natale nella festa dell’inverno.
E noi come pecore ad arrabbiarci magari, ma a non fare nulla per far valere i nostri valori e i nostri diritti, perché fino a prova contraria siamo noi a casa nostra, e quegli altri no.
Un altro esempio eclatante è avvenuto a Treviso, dove due famiglie musulmane hanno chiesto di esentare i loro figli dallo studio della Divina Commedia.
Ma il problema non sta nella richiesta, bensì nel fatto che la Professoressa ed il Preside hanno accettato, sostituendo lo studio di Dante con quello di Boccaccio.
Ma quel che colpisce è l’apprendere che la Professoressa, prima di iniziare con le opere del Sommo Poeta che tutto il mondo ci invidia, ha pensato bene di chiedere alle famiglie se avevano qualcosa in contrario a che i loro figli intraprendessero lo studio delle Divina Commedia.
Se non è acquiescenza questa, ditemi cos’è!
Oltre a tutto mi chiedo se quei genitori, che evidentemente non vogliono che i loro figli leggano di Inferno, Purgatorio Paradiso, conoscano le opere di Boccaccio, notoriamente di contenuto piuttosto licenzioso.
Di questo passo però non mi stupirei se prima o poi qualcuno chiedesse di escludere persino i Promessi Sposi, visto che Manzoni indulge sul concetto di Divina Providenza, e sceglie come personaggi anche preti, suore e monaci.
E perché no magari anche i nostri manuali di storia visto che si parla anche di Crociate.
Io mi chiedo come possano, in nome di un malinteso politicamente corretto, un insegnante ed un preside, accettare che venga tolto dal programma di studio un autore come Dante, in cui si somma tutta la cultura conosciuta nel ‘300.
Credo sia bene pensarci attentamente, per non arrivare come in Olanda e Belgio, dove la Divina Commedia è stata ritradotta, eliminando ogni riferimento che possa urtare la popolazione musulmana.
O come in alcuni Paesi islamici dove i versi dedicati a Maometto sono stati cassati, oppure si è più drasticamente deciso di vietare la pubblicazione della “Commedia”.
Il parossismo lo si è aggiunto con la Ong Gherush92, che si occupa di diritti umani, che, appoggiata da alcuni membri del Consiglio Economico Sociale dell’Onu, è arrivata a chiedere la cancellazione della ”Divina Commedia” da tutti i programmi scolastici.
Non so ce ne rendiamo conto, ma qui stiamo tornando passo passo verso l’ “Indice dei Libri proibiti”.
Io credo che, al di là delle polemiche, al di là della situazione politica contingente, qui sia giunto il momento di ribadire alcuni concetti di fondo.
Partendo dal fatto che ogni popolo ha il diritto di coltivare e mantenere le proprie tradizioni, e che nessuno può cercare di limitare questo diritto.
Di conseguenza, coloro che arrivano nel nostro Paese per poter godere di condizioni economiche sicuramente migliori di quelle dei loro Paesi di origine, della sanità, della scuola per i loro figli, e di quant’altro, possono sicuramente pretendere il rispetto delle loro tradizioni, ma non possono assolutamente cercare di imporle e sovrapporle alle nostre.
E non si tratta né di colonialismo né di razzismo, bensì del principio che quando si entra in casa d’altri, per usare un eufemismo, ci si toglie il cappello e anche le scarpe.
E se proprio non ci si riesce ad adattare, e non si vuole che i propri ragazzi leggano la “Divina Commedia”, si può sempre tornare a casa propria a studiare altre cose.
Oriana