Destra, sinistra, per me pari sono!
di Umberto Baldo
Io sono sicuramente un “estroverso”, secondo alcuni un chiacchierone, che da sempre sente il bisogno di comunicare, di parlare con chiunque gli arrivi a tiro (comunque non è che fermi la gente per la strada eh!)
Qualche giorno fa stavo sorbendo un caffè comodamente seduto in un bar, e nel tavolino vicino c’erano un ragazzo ed una ragazza (ai miei occhi adolescenti) chiaramente due “moroseti”, con i quali ho attaccato discorso.
Appreso che erano due liceali, freschi maggiorenni, gli ho chiesto a bruciapelo se avevano intenzione di votare alle prossime europee.
Confesso che mi hanno guardato un po’ come fossi un marziano, e mi hanno detto che non ci avevano ancora pensato.
A quel punto, non so cosa mi sia saltato in mente, ho proseguito domandandogli se in linea teorica si consideravano “di destra” o “di sinistra”.
Dalle loro risposte, fra l’imbarazzato e l’evanescente, ha capito che non avevano idee precise al riguardo, per cui gli ho chiesto brutalmente: sapreste dirmi in poche parole la differenza fra destra e sinistra?
Vi risparmio la scena muta, per cui, forse peccando di presunzione, ma fidando sui capelli e sulla barba bianca che mi ritrovo, mi sono lanciato in una spiegazione storica sulle origini di questa distinzione.
E così gli ho detto che tutto nasce con la Rivoluzione francese, perché è da quel momento che ebbe origine l’uso dei termini «destra» e «sinistra», metafore spaziali che acquisirono subito senso politico per indicare «posizionamenti» e relativi valori.
Infatti nell’Assemblea nazionale che seguì la Rivoluzione, i «conservatori» sedevano casualmente a destra, mentre i «progressisti», altrettanto casualmente, a sinistra.
Per duecento anni questa divisione ha tenuto perfettamente: ogni essere umano nella propria coscienza politica si siede idealmente in un punto – più o meno a destra, a sinistra, o al centro – di quell’Assemblea che ha fatto da matrice.
A fronte di questo mio “sfoggio” di cultura storica vedevo i due ragazzi guardarsi negli occhi, con la bocca accennata ad un sorriso, per cui temendo che stessero pensando che fossi fuggito da un posto dove si gira con gli scolapasta in testa, ho cercato di calarmi di più nella realtà dell’oggi.
Non è che le cose siano cambiate di molto, perché è risultato evidente che i ragazzi, pur conoscendo (sia pure con qualche indecisione) i nomi dei leader dei Partiti Italiani, non avevano ben chiare le loro proposte politiche, e di conseguenza la differenza fra politiche di destra e politiche di sinistra era del tutto estranea ai loro interessi.
Li ho quindi salutati, raccomandando loro di andare a votare, magari cercando di scegliere il Partito che più si avvicina alla propria visione del mondo.
Onestamente non posso affermare che questo sia il sentiment e la base storico-culturale di tutti millennials che l’8 il 9 giugno varcheranno per la prima volta la soglia di un seggio elettorale; anzi in verità mi auguro di aver trovato due eccezioni.
Ma continuando a ragionare sulla questione che avevo posto ai due “moroseti”, mi sono reso conto che la differenza fra destra e sinistra in questa nostra Italia è sempre meno netta.
Non c’è dubbio che nella maggior parte dei Paesi del mondo (specie in quelli occidentali), lo spettro politico è solitamente ancora definito sull’asse destra-sinistra, più un centro sempre più fantomatico.
Ma questo spettro va guardato a mio avviso in due differenti prospettive: la destra contrapposta alla sinistra da un lato, e gli estremi contrapposti alla parte centrale dello spettro dall’altro.
Nella prima prospettiva (destra-sinistra) troviamo le posizioni in campo etico e sociale: in tutte le destre noi ci aspettiamo di trovare, in modo più o meno radicale, posizioni conservatrici, patriottiche e legate alla religione, mentre a sinistra idee progressiste, internazionaliste, ed una concezione dello Stato prevalentemente laica.
Nella seconda prospettiva (estremisti-moderati), si giocano invece le posizioni sulla politica economica. E così sia gli estremisti di destra in modo meno radicale, che quelli di sinistra in modo più massimalista, dovrebbero sostenere una politica economica interventista da parte dello Stato, volta a difendere l’interesse della comunità e a mantenere la giustizia sociale, limitando il potere del mercato (protezionismo); mentre i moderati ( sia di centro-destra che di centro-sinistra) dovrebbero favorire invece il libero mercato, e quindi un minore intervento dello Stato.
Se non che le categorie politiche non sono esogene.
Nel senso che non sono state consegnate da Dio a Mosè sul Monte Sinai agli albori della civiltà, e quindi destinate a durare in eterno.
Esse sono, invero, lo specchio del tempo in cui viviamo.
Nascono da esso, e si nutrono di esso.
E in esso trovano – o non trovano più – ragion d’essere.
E quindi rimane aperta la questione se la politica di Giorgia Meloni sia squisitamente di destra, e quella di Elly Schlein di sinistra.
Non è facile rispondere, anche alla luce del fatto che a mio avviso una “destra” vera e propria, analoga a quella presente e spesso prevalente nei Paesi occidentali, non sia in fondo mai esistita nella Prima Repubblica, quanto meno nelle dimensioni (il Partito liberale italiano non ha mai raggiunto vette di consenso significative, né tale poteva essere considerato il Movimento Sociale Italiano, essendosi sempre esplicitamente (dapprima) e implicitamente (poi) richiamato all’esperienza della dittatura fascista o della Repubblica di Salò).
Sul fronte opposto la presenza del più grande partito comunista del mondo occidentale, che almeno fino a metà Anni Settanta si richiamava esplicitamente alla dittatura sovietica, ha impedito la nascita di una vera forza socialdemocratica, le cui funzioni furono di fatto svolte dalla sinistra Dc e dal Partito Socialista (e, con un consenso molto minore, dal Psdi).
Come dicevo, la distinzione fra destra e sinistra continuerà ad esistere nel sentiment degli italiani, perché rende più semplice l’autoidentificazione, ma se ci si cala un po’ in certe scelte politiche di fondo, a parte quelle squisitamente culturali ed identitarie (ad esempio l’ aborto, il gender, o il concetto di ordine), ci si rende conto ad esempio che entrambi gli schieramenti oggi sono favorevoli all’intervento pubblico in economia, che entrambi sono refrattari all’austerità di bilancio, che entrambi fanno propria la politica dei bonus e dell’assistenzialismo più deteriore.
In definitiva, sperando di non essere tacciato di qualunquismo o di cinismo, io credo che guardando alla politica italiana con occhi “meno ideologizzati”, ed in particolare alle decisioni concrete, la mia percezione è quella che chiare differenze fra destra e sinistra (al netto degli slogan “ad uso comizio” per capirci) almeno nei temi economici tendano ad essere molto più sfumate.
Anzi trovo una convergenza inquietante per un liberale come me, nella tendenza di destra e sinistra verso un “più Stato meno mercato”.
Per chiudere, non so cosa voteranno Riccardo e Virginia, questi i nomi dei due “moroseti”, alle europee, ma di fronte alle loro incertezze, e oserei anche dire smarrimento, mi è rimasto forte il dubbio che potrebbero decidere di “andare al mare” (come suggerì una volta Bettino Craxi), o di votare scheda bianca.
Scelta che non condivido, ma che capisco, perché se fossi un ragazzo della loro età, di fronte ai disastri della politica, ed alla mancanza di prospettive per il futuro dei giovani, probabilmente non voterei neanch’io.
Umberto Baldo