5 Giugno 2024 - 9.36

Europee: “ a scatola chiusa compro solo Arrigoni”

Umberto Baldo

Un vecchio spot  degli anni  ‘70 (allora si diceva réclame) di una società alimentare recitava “io a scatola chiusa compro solo Arrigoni”.

Era un altro mondo, ma credo che il messaggio di quel “Carosello” sia valido ancor oggi, anche quando si deve scegliere per chi votare.

Sgombrando il campo, chi mi legge da tempo sa bene che la mia estrazione politico-culturale è liberal democratica, per cui potete facilmente immaginare a chi andrà il mio voto, anche se voterò (qualcuno una volta disse “turandosi il naso”) ben conscio che una forza politica veramente “liberale” non c’è attualmente nel panorama politico italiano.

Ma tornando alla “scatola chiusa”, cercherò di capire assieme a voi di individuare cosa contengono le “scatole” delle forze politiche numericamente più consistenti (non parlo di schieramenti perché alle europee si vota il Partito e non una Coalizione).

E cominciamo quindi da Giorgia Meloni e dai suoi Fratelli d’Italia.

Ma considerato che i temi “interni”, di cui si è quasi esclusivamente parlato in questa campagna elettorale, abbiamo tempo per “smazzarceli” anche dopo l’8 ed il 9 giugno, mi soffermo sulla questione  delle alleanze europee del dopo voto, tema sul quale, sarà sicuramente colpa mia, non trovo molto chiara la posizione della Premier.

E non crediate che non capisca il perché di questa poca chiarezza, di queste incertezze, dovute al fatto che da un lato non vuole offrire il fianco (e voti) al suo amico Matteo Salvini che la incalza proprio sul tema delle future alleanze a Bruxelles, ma dall’altro si rende conto che restare con personaggi come Orban o Abascal isola lei e l’intera Italia dai “circoli” che contano.

Io partirei comunque da una osservazione; chiunque voglia (e questo spiega il corteggiamento della Meloni da parte della Von Der Layen) governare in Europa deve necessariamente trovare un partner solido in Italia.

Si dirà; ma nel Ppe non c’è già Tajani e Forza Italia?

Si, certamente, ma ormai l’ex Partito di Berlusconi per peso elettorale non basta a garantire al Ppe uno zoccolo duro nella nostra Italia, che resta pur sempre il terzo Paese della Ue.

In altre parole, un Presidente di Commissione Europea che voglia durare non può non avere un riferimento forte almeno nei principali cinque Paesi europei, e così, come non può prescindere dalla Francia di Macron e dalla Germania di Scholz, così non può governare avendo contro l’Italia della Meloni o la Spagna di Sanchez. 

Il problema sta tutto qui, perché volenti o nolenti Macron appartiene alla famiglia dell’Alde (Liberali e Democratici europei), e Scholz ai Socialisti Europei, che finora assieme a Ppe hanno rappresentato da sempre l’alleanza vincente in Europa.

Come accennato, sono le “frequentazioni”, chiamiamole così, della Meloni a rendere tutto più difficile.

E così la presidente della Commissione europea, che vorrebbe la riconferma, non ha potuto che sbarrare le porte all’ultradestra incarnata da Marine Le Pen, Matteo Salvini e dai tedeschi di Alternative für Deutschland (Afd), lasciando di fatto aperta solo la strada che conduce a un’intesa allargata al Partito socialista (Pse).

Posizione ribadita dal capogruppo del Ppe Manfred Weber, che ha ribadito di “non voler avere nulla a che fare con chi è amico dei russi ed è anti-europeo” (leggi Le Pen e Salvini).

Dichiarazioni che hanno costretto la nostra Premier ad annunciare “urbi et orbi” di non essere disposta  a fare maggioranza con i socialisti.

Ma se devo essere onesto, io penso che alla fin fine tutti i personaggi in commedia in qualche modo stiano bleffando.

La ragione di questo bluff secondo me è numerica, più che politica. 

A Bruxelles come a Strasburgo, in base agli ultimi sondaggi, dopo il voto del 9 giugno non ci dovrebbero essere i numeri per “esportare in Europa”, come vorrebbero Meloni & Salvini, il modello di centrodestra italiano, formando una maggioranza senza i socialisti. 

Secondo gli ultimi dati (ma ricordatevi che parliamo sempre di sondaggi), il Partito popolare (Ppe) dovrebbe avere 183 seggi, l’Ecr di Meloni 86, Identità e democrazia di Le Pen, Salvini e Afd, 84.  

Il totale fa 353 seggi, un bel numero senza dubbio, ma troppo pochi: perché la maggioranza nell’Europarlamento scatta a quota 361.

E allora, che si fa?

E’ possibile che Ursula Von Der Leyen punti ad una “non vittoria” sia della destra che della sinistra, il che rafforzerebbe la posizione di “baricentro” del suo schieramento, il Ppe appunto, rendendo pressoché obbligatoria la riedizione di una maggioranza “scolorita” come quella uscente.

Questa soluzione sarebbe favorita dal fatto che Il Parlamento europeo funziona in modo molto diverso rispetto ai Parlamenti nazionali. 

Non serve e non esiste un “accordo di coalizione”. 

Basta, come dire, un patto tecnico.

Ed è probabile che, qualora questa fosse la soluzione,  la Von Der Leyen sia convinta di poter recuperare anche Giorgia Meloni.

La quale, di fronte ad una maggioranza “tecnica” e non “politica” potrebbe anche accettare di essere della partita anche assieme ai socialisti del Pse.

E la motivazione potrebbe essere facilmente quella che “Siamo l’Italia, non possiamo restare fuori dai giochi dei nuovi vertici europei, e vogliamo incassare un commissario europeo di primo livello. Dunque…”.

Già, poiché il Presidente della Commissione viene scelto dai Capi di Stato e di Governo durante il Consiglio Ue. 

E anche se la Meloni dovesse votare a Bruxelles assieme a Scholz e Sanchez, tecnicamente nessuno potrebbe parlare di un “inciucio”, perché l’operatività dei vertici dell’Unione è un bene primario per tutti gli europei.

Certo per “votate Giorgia” non sarebbe comunque una passeggiata di salute, per il semplice motivo che quel nome scelto dai Capi di Stato e di Governo deve poi essere confermato dal voto dell’Europarlamento, e a quel punto saremmo inevitabilmente di fronte ad una scelta “politica”.

Sicuramente a quel punto Salvini alzerebbe i toni, e hai voglia a dire che non ci sarebbero conseguenze nel Governo nazionale; ma bisogna non dimenticare che la Meloni e l’Esecutivo hanno assoluto bisogno di un Commissario “di peso”, in grado di far valere le posizioni italiane in un futuro che, soprattutto sul fronte dell’economia e del debito, non ha certo il colore rosa.

Questa la situazione per come la vedo io.

Resta il fatto che, pur capendo gli “interna corporis” della politica, con i suoi tatticismi e le sue furbizie, credo sarebbe più giusto e corretto che Giorgia Meloni dicesse chiaro e tondo agli italiani, ai quali chiede il voto, come intenda muoversi nel dopo elezioni.

Mi dispiace, ma è sempre il problema della scatola chiusa, che valeva solo per “Arrigoni”.

Umberto Baldo

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