I Gay Pride ‘senza ebrei’ che piacciono a sinistra
Umberto Baldo
Nel vedere le immagini di Elly Schlein, affiancata dal compagno di Partito Alessandro Zan, nostro conterraneo, mentre domenica scorsa cantava e ballava su un carro al Gay Pride di Roma, confesso che mi sono vergognato per lei.
Immagino vi starete chiedendo perché.
Ma per il semplice motivo che vedere la Segretaria del maggior Partito della sinistra democratica italiana, che dovrebbe essere il portatore degli ideali di massima inclusione possibile per tutti, festeggiare nonostante l’organizzazione ebraica queer Keshet Italia avesse annunciato che non avrebbe partecipato ai Pride nazionali per il timore di aggressioni e di violenze, lo trovo, a voler essere buono, “inestetico”.
E spiace aver constatato che, al di là di alcune dichiarazioni formali di rincrescimento, come quella del portavoce del Pride di Roma, Mario Colamarino, delle coraggiose prese di posizione del senatore di Italia Viva Ivan Scalfarotto e dell’Associazione Radicale Adelaide Aglietta di Torino, ed il ritiro dell’adesione della Giunta Comunale di Bergamo, l’ accorato annuncio dell’organizzazione queer ebraica è caduto completamente nel vuoto, e non ha meritato commenti e prese di posizioni da nessuno dei Partiti e degli esponenti politici che si sono affollati sopra o sotto i carri dei Pride.
Tamquam non esset, come se Keshet avesse parlato al vento.
E la cosa è tanto più grave, così come il silenzio di Elly Schlein, quanto più i Pride da anni stanno cercando di essere gli interpreti non solo del mondo gender, ma dei diritti e dell’antidiscriminazione universali.
E’ evidente che l’unico modo per gli organizzatori di evitare le accuse di parzialità ed antisemitismo sarebbe stato quello di invitare formalmente le associazioni queer israeliane a partecipare, magari con un proprio carro su cui potesse sventolare anche la bandiera con la stella di David.
Ciò non è avvenuto, (la Schlein ha preferito ballare a cantare) e purtroppo non poteva avvenire perché nel cosiddetto popolo dei diritti, come si autodefiniscono a gauche, gli ebrei, in quanto ebrei, oggi sono considerati un corpo estraneo o un problema irrisolvibile, una presenza sgradita o una assenza necessaria, una sorta di infiltrati del colonialismo sionista nelle fila dell’intransigentismo antifascista (già, la solita parola magica con cui si copre tutto)
Si tratta di una vera e propria sconfitta per lo spirito dei Pride, divenuti ostaggio del narcisismo da social network di alcune frange, con ondate di chat e di prese di posizione estremiste, di rigurgiti di ignoranza che sovrappongono Stato di Israele e Governo Netanyahu all’ebraismo e alle persone ebree.
E di queste chat, di questo clima d’odio, aveva fornito abbondante documentazione Keshet Italia, riportando commenti tipo: “Forni ne abbiamo?“, e “Gli ebrei comandano il mondo, che schifo” e ancora “Farebbero meglio a starsene lontani gli ebrei“, postati sulla pagina Facebook del gruppo ebraico.
Tanto per non cadere in equivoci, l’associazione Keshet definisce così il proprio compito: “Keshet lavora per garantire la piena uguaglianza di tutti gli ebrei Lgbtq e delle loro famiglie nella vita ebraica. Rafforziamo le comunità ebraiche. Forniamo alle organizzazioni ebraiche le competenze e le conoscenze per creare comunità che affermano e supportano le persone Lgbtq, creando spazi in cui tutti i giovani ebrei queer si sentano visti e valorizzati, e promuoviamo i diritti Lgbtq in tutto il Paese”.
Eppure, come accennato sopra, il grido di allarme di Keshet non è servito a nulla, perché a questo punto sembra evidente che per una parte della sinistra italiana gli ebrei israeliani (anche i molti che si oppongono a Benjamin Netanyahu) sono per proprietà transitiva secondini della galera sionista, da cui liberare la Palestina “dal fiume al mare”.
E di conseguenza anche gli ebrei italiani, che pure israeliani non sono, sono percepiti come agenti stranieri di uno stato canaglia e cittadini a metà, in quanto irrimediabilmente segnati dalla doppia appartenenza.
Potrei anche sbagliare, ma mi sembrano le stesse argomentazioni e gli stessi ragionamenti che stavano alla base del pensiero fascista.
Come vi dicevo all’inizio, spiace constatare che la Segretaria del Pd abbia brillato per il suo silenzio sul chiaro antisemitismo che alleggiava sui Pride, ma alla luce del successo elettorale alle europee, evidentemente anche per la sinistra cosiddetta “moderata” il pregiudizio antisemita è un effetto collaterale della guerra in Medio Oriente, su cui non vale la pena di far saltare le mitologiche alleanze antifasciste pro-Palestina delle manifestazioni delle opposizioni.
Eppure in quel mondo o c’è tanta ignoranza, oppure si fa finta di non sapere della persecuzione cui sono sottoposti i gay a Gaza o in Iran, o in Afghanistan.
Nessuno ricorda Mahmoud Ishtiwi, uno dei principali comandanti del gruppo di Hamas che, con l’accusa di sesso gay, nel 2016 fu torturato tra atroci sofferenze dai suoi stessi compagni?
Proprio nessuno sa che a Gaza è prassi comune gettare i gay, o presunti tali, giù dai tetti?
Nessuno sa che in Afghanistan hanno di recente condannato ad un numero spaventoso di frustate 62 omosessuali, tra cui 14 donne, per “relazioni immorali e sodomia”?
Nessuno sa che solo nel Paese visto a sinistra come il male assoluto, Israele appunto, i gay possono vivere liberamente e festeggiare il proprio Pride senza essere lapidati, impiccati e buttati dai tetti, mentresecondo la legge palestinese, essere gay è un reato punibile fino a 10 anni di carcere, e a Gaza addirittura con la morte?
Nessuno conosce l’inarrestabile fuga degli omosessuali dalla Palestina di Hamas, e nessuno sa che la comunità Lgbtq palestinese continua a rifugiarsi in Israele?
Nessuno sa che lo scorso 31 maggio si è svolto regolarmente a Gerusalemme il gay Pride, anche se in un’atmosfera meno festosa del solito, e che Israele è l’unico Paese del medio Oriente dove è possibile e legittimo organizzare una manifestazione del genere?
Certo, sono il primo a dire che la politica di Netanyahu è sempre meno giustificabile, ma ciò non autorizza in alcun modo a mistificare la realtà, nascondendo il fatto inequivocabile che a Gaza e dintorni un gay rischia la vita.
Alla fine, con la copertura politica di Elly Schlein e di altri che a sinistra sono stati zitti ed acquiescenti, i Pride “judenfrei” si sono regolarmente svolti.
Non proprio un bel giorno per la democrazia, come non lo è stato neppure il 25 aprile, quando la Brigata ebraica ha dovuto sfilare a Milano protetta degli uomini del reparto mobile della polizia, per proteggerla dagli insulti, dai lanci di oggetti e dalle minacce degli “antifascisti” dei gruppi “pro Palestina”.
Umberto Baldo