Cosa cambierà con l’Autonomia differenziata? Quasi niente. I cambi di bandiera ipocriti contro la legge e l’assurda posizione di Sardegna e Sicilia che sono già autonome
Umberto Baldo
Giovedì scorso, navigando sui social, si respirava un clima da guerra di secessione americana.
Toni aspri, accuse, lamentazioni. Continuando a leggere, uno quasi si sarebbe aspettato di trovare citate invece che la Calabria o la Puglia, il Mississippi od il Kentucki, e magari invece dei nomi dei Presidenti Roberto Occhiuto o Vincenzo De Luca quelli dei Generali Ulysses Grant o Robert Lee.
E così si andava dalla riesumazione della bandiera borbonica e del Regno delle Due Sicilie, all’invito al boicottaggio dei prodotti del Nord, all’accusa di “razzismo ferroviario”, alla santificazione di De Luca quale paladino del Sud.
In attesa della Gettysburg italiana, magari sul Volturno, vale la pena di fare qualche ragionamento sul tema dell’Autonomia differenziata, che secondo alcuni leoni da tastiera equivale alla storica secessione degli Stati della Confederazione sudista.
Innanzi tutto, se doveste chiedermi cosa succederà nell’immediato in questo Paese dopo l’approvazione di questa riforma vi rispondo subito: come per la maggior parte delle riforme italiane, tante chiacchiere, tante discussioni, ma di fatto un bel NIENTE, o ad essere ottimisti “quasi niente”.
Il perché lo capirete più avanti.
Ma per capire di cosa stiamo parlando credo valga la pena di partire della genesi della riforma, percepita al Sud “come la secessione del Nord ricco”.
La riforma dell’Autonomia differenziata non introduce nulla di nuovo, perché il principio era già fissato dall’art. 116 della Costituzione, che già oggi consente a qualunque Regione di chiedere maggiore autonomia al Governo.
La modifica del predetto articolo venne introdotta con la legge Costituzionale 18 ottobre 2001, all’epoca dei Governi Prodi e Amato, non certo dei campioni della destra.
Quindi è una chiara forzatura presentare la legge approvata come il frutto di un nuovo “fascismo”, tanto è vero che nel 2018 la Regione Emilia Romagna, guidata all’epoca dall’attuale Presidente Stefano Bonaccini (e dall’attuale Segretaria del Partito Democratico Elly Schlein, che nel 2019 ne divenne la Vice), chiese sia al Governo Conte 2, che al Governo Draghi, l’attuazione dell’autonomia con una legge quadro (come la chiese anche il Veneto ad esempio, nonché qualche regione del Sud).
Capisco che non faccia piacere a nessuno che si ricordi che qualche anno fa si trovava su posizioni diverse, se non opposte, rispetto a quelle sostenute oggi, ma è innegabile che su questa tematica nel 2018 Elly Schlein sembrava pensarla diversamente.
Quella approvata mercoledì è una legge ordinaria (non serve una legge Costituzionale appunto perché non modifica la Costituzione vigente, ma la applica), una legge cosiddetta “cornice”, che si occuperà di fare quello che il Centro sinistra ha sempre chiesto di fare per attuare l’art. 116 della Carta.
Certo non è uno scandalo se uno cambia idea, o è contrario de sempre alla normativa, ma deve essere chiaro che la legge quadro, o “cornice”, non è l’epifenomeno dall’Autonomia differenziata, proprio perché la stessa è già prevista dalla Costituzione da oltre vent’anni.
La legge Calderoli, in altre parole, introduce se mai un passaggio in più per attuare la Costituzione.
In definitiva viene da chiedersi: ma di cosa stanno parlando?
Perché agitare divisioni che andavano bene in epoca risorgimentale, dando la stura all’odio, o al risentimento nei cittadini del Sud?
Perché, e mi riferisco alle opposizioni, assumere atteggiamenti e toni “apocalittici”, parlando di “battaglia per difendere l’unità del Paese”, o rilasciando dichiarazioni “a caldo” come questa di Elly Schlein: “i leghisti volevano brandire lo scalpo del Sud prima dei ballottaggi”?
Perché mettere in scena siparietti ridicoli sventolando il tricolore nell’Aula della Camera, mentre dai banchi della Lega veniva mostrato il vessillo della “Serenissima” Repubblica di Venezia”?
Perché annunciare da subito, senza aspettare come questa normativa verrà attuata, la mobilitazione i cittadini, con la speranza che si formi «un ampio comitato promotore per la raccolta di firme che porti al referendum per l’abrogazione della Legge Calderoli?
Non pensiate che non lo sappia il perché, e lo sapete anche voi: “è la politica bellezza”, utilizzata da questi nostri Demostene non per spiegare chiaramente ai cittadini come stanne le cose, ma per suscitare divisioni, addirittura richiamando “fascismi” e “comunismi”, al solo scopo di accaparrarsi un po’ di consenso, fra l’altro in questa fase storica sempre più effimero.
Ciò non toglie che comprenda bene che dalle parti di Forza Italia e di Fratelli d’Italia non se la sentano proprio di partecipare alla festa degli alleati leghisti per l’approvazione dell’Autonomia differenziata.
D’altro canto sappiamo tutti che il partito di Antonio Tajani ha il suo più ampio bacino elettorale nelle Regioni del Sud, dove la legge Calderoli viene guardata con sospetto, mentre FdI ha sempre fatto del centralismo uno dei propri pilastri, tanto che la stessa Giorgia Meloni nel 2014 dichiarava apertamente di voler “cancellare” le Regioni per dare maggior peso allo Stato centrale.
Anche se, a dirla tutta, mi è proprio incomprensibile la contrarietà della classe politica siciliana e sarda, visto che Sicilia e Sardegna sono da sempre Regioni a Statuto Speciale, e godono di particolari autonomie (tanto per parlare di “schei”, nel 2019, anno in cui ogni lombardo ha versato in media quasi 19 mila euro di tasse, e ne ha avuti indietro meno di 14 mila, un sardo ne versava 9 mila e 900, e ne aveva indietro 13 mila e 600).
Non date retta al polverone, perché anche Elly Schlein e compagnia di giro sanno bene che prima che l’Italia possa essere spaccata in due su sanità, istruzione e trasporti, come denunciano, occorrerà attendere la definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep), e ci vorranno minimo due anni, dopodiché su questo occorrerà trovare l’accordo di tutte le Regioni, e infine, cosa non scontata, le risorse per finanziarli (e qui sorgono i ben noti vincoli di bilancio).
Per non dire che, con una delle tante clausole chieste in particolare da FdI, e accettate dalla Lega per non rischiare di interrompere il cammino della riforma, prima di trasferire una funzione ad una Regione sarà indispensabile finanziarne i livelli essenziali anche per tutte le altre.
E qui, com’è evidente, inizieranno i problemi, perché con i chiari di luna che si prospettano per le finanze pubbliche nei prossimi anni, la vedo dura trovare i soldi necessari.
Se poi per soprammercato i Lep dovessero fare la fine dei Lea (Livelli Essenziali dell’Assistenza, fissati per legge dal 2017), che alla prova dei fatti fin qui sono serviti solo a misurare in termini numerici le distanze enormi fra i servizi sanitari del Centro-Nord e quelli del Sud, capite bene perché mi sento di affermare che, al di là della bandierina piantata dalla Lega, per il cittadino non cambierà praticamente NIENTE.
Guardate, io non ho paura ad affermare che sono federalista da sempre, perché vengo appunto da una cultura politica “federalista”, che esisteva ben prima di Umberto Bossi e della Lega, e sono quindi fra coloro che credono che l’Autonomia non farà certo miracoli, ma potrebbe servire a mettere in evidenza le difficoltà, le carenze, le inadeguatezze, della classe politica delle regioni del Sud, mettendola di fronte alle proprie responsabilità, che vengono da lontano.
Infatti sono convinto che le difficoltà del Sud non sono dovute a carenze di risorse, ma da un’incapacità cronica di spender bene quelle che ci sono, e purtroppo dalle infiltrazioni di una criminalità che tiene in ostaggio milioni di persone, condizionandone la vita.
Lo dicono i dati della Banca d’Italia che da decenni si riversano sul Sud montagne di denaro senza che le distanze con il Nord si colmino o si riducano: non è denaro investito, è denaro buttato là.
Criticare l’autonomia differenziata, come fa Elly Schlein, senza proporre qualcosa di alternativo, in nome di un “centralismo napoleonico targato Bella Ciao”, significa quindi difendere lo scialo più comodo e infruttuoso.
In altre parole se, come sembra, ci si muoverà solo per ricorsi, manifestazioni, appelli, richieste di referendum, di fatto si lavorerà solo per mantenere l’attuale pessimo status quo, che fa crescere l’insofferenza del Nord, mentre condanna il Sud ad un sotto sviluppo assistito, con il rischio di jacqueries populiste e vandeane.
In conclusione ribadisco che il problema, così come è stato posto, resta squisitamente politico, e francamente trovo forse eccessiva la soddisfazione manifestata da Luca Zaia, pronto a chiedere la trattativa sulle 9 materie per cui non servono i Lep (siate certi che lo faranno penare anche per quelle competenze).
Ma dopo anni e anni di attesa, capisco che per il Governatore del Veneto “piuttosto che niente è meglio piuttosto”.
Umberto Baldo