Elezioni venezuelane. Maduro, Putin, Xu Jinping, Khamenei. La multinazionale delle dittature
Umberto Baldo
E così Nicolàs Maduro è stato riconfermato alla Presidenza del Venezuela, e a meno di qualche “incidente di percorso”, mai da escludere in America del Sud, resterà in carica fino al 2031 ( è già al potere da 11 anni).
Avevate qualche dubbio al riguardo?
Avevate creduto alla possibilità che l’opposizione potesse sconfiggere il dittatore erede di Hugo Chavez?
Per quanto mi riguarda io non ho mai avuto alcuna incertezza sulla vittoria, e caso mai mi ha stupito la percentuale non eclatante annunciata da Maduro (54,2%)
Evidentemente il regime ha capito che accreditare un consenso troppo alto avrebbe aggiunto provocazione a provocazione.
Si fosse trattato di uno dei tanti staterelli del Centro America, queste elezioni sarebbero sicuramente passate “in cavalleria”, nel senso che non avrebbero interessato nessuno; ma il Venezuela è altra cosa, per due ordini di fattori.
Innanzi tutto si tratta di uno Stato importante, ricchissimo in materie prime (ha le più grandi riserve di petrolio del mondo); e poi perché dopo la “rivoluzione chavista” è diventato un simbolo di certa sinistra del mondo; quella appunto che vede nella Repubblica venezuelana il modello del “Socialismo del XXI secolo”.
Ma il “socialismo” venezuelano rappresenta anche una sorta di caso di scuola, perché la crisi innescata dal chavismo (e perpetuata da Maduro) è senza precedenti nell’ultimo mezzo secolo: numeri da Paese in guerra per un Paese in pace.
L’America latina è dalla fine della colonizzazione terra di “sogni rivoluzionari” e di “colpi di stato autoritari”, e forse nelle fantasie e nei disegni di Hugo Chavez c’era il trasformare la terra che fu di Simon Bolivar in un modello di stampo socialista per le altre democrazie sud americane.
Alla resa dei conti, mi sembra di poter affermare senza ombra di dubbio che, al contrario, l’esperienza venezuelana dimostra ancora una volta in modo inequivocabile che il marxismo, con il suo corollario di socialismo reale, è un modello in grado di mettere alle corde qualsiasi società e qualsiasi economia.
Basti dire che agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso il Venezuela aveva di gran lunga il Pil pro capite più alto del Sud America.
Dopo qualche decennio di “socialismo chavista e maduriano” ora è il più basso.
Nei primi anni dopo la sua conquista del potere (con libere elezioni eh, non con un colpo di stato) Chavez poté contare sulla decuplicazione del prezzo del barile di petrolio (passato da 10 a 100 dollari), che inondò le casse del Paese, consentendogli così di distribuire un po’ di ricchezza agli strati più bassi della popolazione.
I guru della sinistra, soprattutto europea, pensarono che il successo di Chavez fosse dovuto alle sue politiche di nazionalizzazioni e redistribuzione; ma in realtà non c’era nulla di più che un notevole aumento del prezzo delle materie prime sui mercati internazionali (in altre parole tanti soldi ottenuti senza fare nulla).
E le spese allegre si dimostrarono ben presto devastanti anche per il ricco Venezuela.
In fondo si trattava di un fenomeno già visto in altri casi di paesi sudamericani negli anni ’70-’80, che alla fine del ciclo si ritrovarono in recessione e con un’iperinflazione.
Al riguardo i numeri del Venezuela parlano da soli; nel 2013, alla morte di Chavez, i salari reali erano del 21% inferiori rispetto al 1999; nel 2017-2108 il Pil crollava ad un ritmo del 15% l’anno, il deficit di bilancio aveva superato il 30% e l’inflazione il 130.000% (si avete letto bene).
Badate bene che in certi momenti in Venezuela anche avendo soldi non c’era nulla da comprare nei negozi; ed al riguardo emblematico è rimasto il caso della carta igienica, il cui costo della materia prima (appunto la carta) era superiore a quello delle banconote con l’effigie di Simon Bolivar.
Inutile dire che le medicine erano introvabili, tanto che ne erano sprovvisti persino gli ospedali.
Tanto per dare qualche altro numero, nel 2021 la povertà si è estesa al 95% della popolazione (di cui il 75% in povertà estrema); due terzi della popolazione è sotto peso di 10 chili, le disuguaglianze sono esplose, e ben 7,7 milioni di venezuelani sono emigrati all’estero (praticamente dimezzata la popolazione giovanile).
E’ chiaro che con un’economia in queste condizioni, per tenere il potere è quasi obbligatorio ricorrere alla soppressione delle libertà civili e politiche.
E così infatti ha fatto Maduro, anno dopo anno.
Credo sia intuitivo che, fra le code dei cittadini per avere i pochi prodotti contingentati, e le limitazioni personali, il “socialismo del XXI secolo” non è poi molto diverso dal “socialismo di stampo sovietico”.
Come sempre succede in questi casi, la geopolitica si è inserita pesantemente in queste elezioni giudicate dai più una farsa.
Chi pensate abbia riconosciuto come validi i risultati?
Nicaragua, Cuba, Bolivia e Honduras sono gli unici governi regionali di sinistra autoritaria, castrista o chiavista, o comunque massimalista, che si sono subito congratulati con Maduro per la «storica vittoria».
Ma a questi si sono aggiunti Stati ben più importanti; Russia, Cina, Iran.
Tutti Stati questi ultimi in cui le elezioni sono notoriamente trasparenti e democratiche (sic!).
Ma io credo che il dato veramente importante stia nel fatto che la denuncia della non credibilità del risultato, unitamente alla richiesta di puntuali verifiche, sia condivisa da un gran numero di governi e di leader, e soprattutto che su questo punto si stia accentuando una frattura sempre più vistosa tra Maduro e le altre sinistre latino-americane di governo (pensate, quelle che Maduro ha più volte definito “sinistre codarde”).
Parliamo fra gli altri di netti distinguo da parte del presidente cileno Gabriel Boric («Il regime di Maduro deve capire che i risultati che pubblica sono difficili da credere»), del colombiano Gustavo Petro, altro presidente di sinistra, del brasiliano Lula che ha addirittura mandato l’esercito ai confini, e del Presidente del Messico.
Dopo l’annuncio del risultato, ci sono state manifestazioni di piazze in Venezuela, con un paio di morti, e molti arresti e feriti.
Si tratterà di vedere per quanto tempo Maduro potrà ancora reggere il ruolo di “paria” dell’America latina, nonché la rabbia sempre più evidente di molti venezuelani.
In questa fase si sta valutando attentamente anche il ruolo dell’esercito.
Molti si chiedevano se le forze armate avrebbero sostenuto una frode del chavismo, se fosse avvenuta.
Per ora, la leadership delle forze armate sembra dimostrare lealtà nei confronti del ministro della Difesa, Vladimir Padrino López, ma si sa che i militari spesso sono insondabili, ed altrettanto spesso in America latina cambiano idea (ma tenete presente che Brasile e Usa non vogliono una guerra civile in Venezuela).
Resta la triste realtà di un Venezuela che poteva essere l’Arabia Saudita dei Caraibi, e che dopo anni di scellerata politica nazional populista in salsa “bolivariana” arranca fra inflazione, disoccupazione e sottosviluppo.
Umberto Baldo