La Spagna dei “Pueblos blancos”
Quando leggo o sento dire che l’Andalusia è la Regione che meglio racchiude l’anima della Spagna, resto in verità un po’ perplesso.
Il perché è presto detto. E vi rispondo non a caso con una domanda: rappresentano di più l’Italia la Toscana o la Lombardia, il Piemonte o la Sicilia, il Lazio o il Veneto?
Capite bene che questi paragoni, queste “iperboli”, lasciano il tempo che trovano, per non dire che non hanno alcun senso.
E così è vero che le verdi e piovose Galizia e Cantabria sembrano avere poco a che spartire con l’assolata Extremadura, o appunto con l’Andalusia, ma sempre di Spagna si tratta, con le peculiarità tipiche di ogni diversa Regione o Comunidad iberica.
Detto questo non c’è dubbio che l’Andalusia, e tutto il sud della Spagna, terra e luogo di confine, è da vivere e assaporare fra natura, arte, storia, buona cucina, musica.
Non a caso la si definisce anche “la Spagna araba” o “Al Andalus”, e proprio l’architettura islamica ne costituisce la caratteristica più visibile.
Le culture arabe e mozarabe costituiscono il richiamo evocatore di narrazioni lontane nel tempo, e assieme al fascino del flamenco e alla passione che ne promana, alle corride, alla buona cucina, al sole, sono ingredienti che si combinano con il bianco delle case, lo scintillio dei campanili e dei minareti, il sapore di una terra mediterranea che si fa ponte di dialogo e incontro fra culture.
Ovviamente non stupisce che Cordoba con la sua magnifica Mezquida (la grande moschea), Granada con l’Alhambra, e Sevilla, siano le location più note, e quindi le più “gettonate” dal turismo di massa.
Ma come vi ho accennato all’inizio di questi pezzi, il mio obiettivo è quello di segnalarvi itinerari e località sicuramente meno noti, ma non per questo meno affascinanti.
E fra le meraviglie di questa terra andalusa ci sono sicuramente i cosiddetti “Pueblos Blancos”.
Di cosa si tratta?
Si tratta di splendide località sparse nell’entroterra andaluso, prevalentemente nelle province di Malaga e Cadice, una terra selvaggia ed incontaminata.
In effetti, visitare questi splendidi villaggi equivale a fare un viaggio attraverso il tempo e lo spazio.
Se si decide di seguire l’itinerario per i pueblos blancos, occorre dimenticarsi di tecnologia, social network e internet.
Ovviamente questo vale se si sceglie un certo modo di percorrere la “Ruta de los Pueblos Blancos”, lo stesso modo di compiere ad esempio il “Camino de Santiago”, vale a dire a piedi.
Tuttavia, è bene ricordare che questi villaggi non si trovano in posizioni favorevoli. Per raggiungerli occorre spesso percorrere stradine di montagna o strade sterrate. Insomma, si tratta di un viaggio consigliato per coloro che sono amanti dell’avventura, o esperti non abituati a confort o agi.
Tranquilli ragazzi, nessuno vuole costringervi a scarpinate cui non siete portati!
Siamo pur sempre nel XXI secolo, e queste località sono comunque raggiungibili in auto, come ho fatto io, che non sono certo votato all’avventura.
Una cosa però mi sento di suggerirvela qualora sceglieste l’automobile.
Evitate, se potete, di raggiungere “al volante” le sommità dei “pueblos blancos”, perché potreste trovarvi, come è capitato a me, in una situazione piuttosto preoccupante.
Mi spiego meglio.
Questi paesini, vecchi di secoli, non sono certo stati edificati pensando alle auto, e quindi le strade sono non “strette”, ma “di più”.
Parlo di vicoli racchiusi dalle abitazioni, larghi in certi punti non più di due metri (con passaggi anche più stretti, tanto da dover chiudere gli specchietti retrovisori), ovviamente sempre in salita o in discesa, con la possibilità di trovare anche veicoli in senso contrario.
L’impressione, vi assicuro, è di quelle da incubo (ci si chiede in continuazione “ma ci passo?”) e una volta raggiunto il “mirador”, la piazza panoramica al culmine del pueblo, non si riesce neppure a gustare la splendida vista sulla campagna andalusa, perché il pensiero corre sempre al percorso di ritorno al piano.
Ricordo che la discesa io e mia moglie la facemmo in assoluto silenzio, con i nervi tesi per la paura di incrociare qualche altro veicolo, e con un urlo liberatorio finale appena raggiunta la “pianura”.
Ovviamente questo “errore” lo abbiamo fatto solo la prima volta, e visitando i Pueblos successivi l’auto l’abbiamo lasciata nei parcheggi dedicati ai piedi dell’abitato.
Anche se dovere mettere in conto che, essendo tutti in cima ad alture, richiedono comunque una certa scarpinata per raggiungere il “mirador”.
Venendo ai “Pueblos” c’è da dire che la Ruta è un percorso che si immerge in una natura a tratti brulla, a tratti anche rigogliosa.
Si tratta di borghi immersi nel verde, cui fa da contraltare il bianco intenso delle case dipinte a calce. Un espediente, questo, reso necessario per isolare dalle altissime temperature estive andaluse, che non raramente raggiungono anche i 50 gradi.
Questo “trattamento” bianco, serviva anche a disinfettare. Le precipitazioni scarse non permettevano infatti di lavare strade e costruzioni; quindi la calce viva era molto utile in passato.
Inutile che vi illustri le caratteristiche di ogni singolo borgo; basta riportarne i nomi dei principali: Atajate, Olvera, Setenil de las Bodegas, Benaoján, Gaucín, Arcos de la Frontera, Benadalid, Serrania de Ronda, Vejer de la Frontera, El Bosque, Casares, Frigiliana, Benalauría, Medina-Sidonia, Grazalema, Jimena de la Frontera, Zahara de la Sierra, Algatocín, Castellar de la Frontera, Ojén.
Tre bacini idrici, un parco naturale: un vero imbarazzo della scelta per un itinerario che dà il meglio di sé se percorso almeno in due giorni.
Orgogliose rappresentanti dell’architettura popolare andalusa che dominano il territorio da colline, pendii e avvallamenti, le città bianche punteggiano un territorio dove iberici, romani, visigoti, arabi e cristiani hanno contribuito ciascuno con il loro “granello di sabbia”.
Le città bianche raccontano un passato di difesa dei confini (avrete certamente notato che alcuni borghi hanno la desinenza “de la Frontera”), castelli e fortezze in cui la presenza musulmana ha modellato tracciati pieni di strade, passaggi e cortili ripidi, stretti e tortuosi, dove oggi passeggiare sotto balconi traboccanti di fiori diventa un’esperienza irripetibile.
Si visitano semplicemente camminando tra i vicoli, dove il bianco accecante è interrotto solo dai portoni in legno e dalle finestre rifinite dalle classiche grate in ferro battuto, spesso decorate da rigogliose bouganville fiorite e dalle piante grasse.
Concludendo, i “Pueblos Blancos” sono un’espressione dell’amore degli andalusi per la loro terra, perché a mio avviso l’arte di mantenere le case perfettamente bianche, la passione per le tradizioni storiche e per le altre usanze tipiche di questi villaggi, sono ancora vive principalmente per il loro attaccamento verso le proprie origini, e per la voglia di tramandarle alle generazioni future.
Umberto Baldo