I canti irriverenti e “pecorecci” dei Goliardi (si consiglia la lettura a persone adulte)
Umberto Baldo
Che cos’è la Goliardia?
Immediatamente il pensiero corre ai mantelli colorati, agli “Ordini”, ai Tribuni, alle feluche con il colore delle varie Facoltà piene di simboli e ninnoli, agli stemmi, alle placche, a certi riti di iniziazione, agli scherzi a volte veramente geniali, alle bevute fino quasi al limite del coma etilico, alla questua agli incroci per raggranellare i soldi per le cene comuni.
In realtà a mio avviso la Goliardia era l’espressione dello spirito studentesco comune a tutti gli universitari, dove si intrecciavano interesse per lo studio e desiderio di trasgressione, il piacere della compagnia, del divertimento e delle novità.
Non è sparita del tutto, ma credetemi che dopo gli anni che seguirono il ’68, dopo che la politica è entrata pesantemente nelle Università, lo spirito goliardico a poco a poco ha perso il “fascino” di un tempo.
Se volete (fatemelo sapere), potremmo anche approfondire il tema, ma oggi voglio limitarmi solo ai canti, alle canzoni che venivano intonate dagli studenti, e che avevano la caratteristica di essere un po’ tutte sopra le righe, nel senso che usavano un linguaggio sboccato, con allusioni chiare e provocatorie a temi “pecorecci”, con l’irriverenza a volte ai limiti della blasfemia, ed il gusto di scioccare tipici dell’età giovanile.
Non ho certo l’intenzione di lanciarmi nell’ermeneutica di questi testi, anche perché francamente non ce n’è bisogno; mi limito a riportarvene solo alcuni a mia scelta, con l’avvertenza che l’elenco non è certamente esaustivo (ce ne sono moltissimi), e che in ogni caso ho evitato quelli in latino (compreso il notissimo Gaudeamus Igitur, considerato l’inno internazionale della Goliardia).
Ecco i testi, partendo da quel “Dotòre, dotòre, dotòre del buso del cul, vaffancul, vaffancul” che ancor oggi accoglie il neo laureato una volta discussa la tesi, e proclamato appunto “dottore”.
Bimbe belle.
La vispa Teresa avea tra l’erbetta
a volo sorpresa gentil fartalletta
e tutta giuliva gridava a distesa:
l’ho presa, l’ho presa, l’ho presa nel cul !
Fate largo, che passano i giovani
i seguaci di Bacco e di Venere,
coi cappelli color d’ogni genere
e la tega rivolta all’insù!
Cosa Importa se voi professori
siete vecchi, barbosi e tiranni?
i Goliardi hanno sempre vent’anni
anche quando ne hanno di più!
Bimbe belle, facciamo l’amore
che è la cosa più bella del mondo:
chi non chiava nel tempo giocondo
quand’è vecchio lo prende nel cul!
Lo punteremo contro il muro
e scopriremo chi l’ha più duro;
lo punteremo sul soffitto
e scopriremo chi l’ha più dritto;
lo metteremo tra due porte
e scopriremo chi l’ha più forte;
lo getteremo dentro a un fosso
scopriremo chi l’ha più grosso
La Contessa di Castiglione
La contessa di Castiglione
dava il culo a Napoleone;
la contessa di Castiglione
dava il culo a Napoleon.
Ed a Torino rimasto Camillo
in barba degli amanti
si trastullava il billo.
E il prode Nigra faceva il ruffiano
mentre l’imperatrice
glielo prendeva in mano.
Ed il re, e il re, Vittorio Emanuele,
durante, durante, durante Solferino,
vedendo, vedendo, vedendo un contadino
gli chiese, gli chiese, gli chiese un gran favor:
« A tua moglie, per piacere,
voglio metterlo nel sedere;
a tua moglie, per piacere,
voglio metterlo nel seder! »
E il re borbone, fuggendo a dirotto,
messa una man sul culo
gridò: « Me l’hanno rotto! ».
E Garibaldi, rivolto a Mazzini,
disse: «To’ ma’ puttana,
m’hai rotto il pistolin!».
Cosí, cosi, l’Italia la fu fatta,
fu fatta, fu fatta, fu fatta a stivaletto;
tra ‘na, tra ‘na, tra ‘na chiavata e un letto
e mille, e mille, e mille trovatel
É morto un bischero
E’ morto un bischero
tapim-tapum,
all’ospedale;
tapim-tapum
senza le bale,
tapim-tapum
senza le bale;
tapim-tapum
é morto un bischero,
tapim-tapum
all’ospedale,
tapim-tapum
senza le bale,
tapim-tapum
senza i coglion!
tapim-tapum
É morto un bischero,
tapim-tapum
all’ospedale;
aveva male
tapim-tapum
ad un coglion.
tapim-tapum
L’accompagnarono
tapim-tapum
al cimitero
tapim-tapum
quattro puttane
tapim-tapum
ed un culaton.
tapim-tapum
E sulla lapide
tapim-tapum
ghe gera scritto
tapim-tapum
qui giace un bischero
tapim-tapum
senza coglion
tapim-tapum
Cent’anni dopo
tapiro-tapum
lo scoperchiarono
tapim-tapùm
e vi trovarono
tapim-tapum
solo un coglion
tapim-tapum.
La confessione (Padre Formiga)
Co sta piova e co sto vento chi è che bussa a sto convento?
E’ una povera vecchierella che si vuole confessare.
Dannazione all’anima mia, mandatela via, mandatela via.
Co sta piova e co sto vento chi è che bussa a sto convento?
E’ una povera verginella che si vuole confessare.
Tentazione all’anima mia, mandatela subito in sacrestia.
Te galo tocà le gambe
Padre sì ma fin alle mudande,
Te galo tocà le tette?
Padre sì ma co le man nette!
Te galo toca’ la pansa?
Padre sì ma co creansa!
Te galo tocà la figa?
Padre sì ma co fadìga!
Se vuoi l’assoluzione ciapa’ in mano sto cordone!
Ma caro Padre, mi no so’ orba, questo xe un cazzo e no ‘na corda.
Questa è la storia di Padre Formiga, che ghe piaxeva tanto la figa.
Ho comprato
Ho comprato una sciarpa di lana,
l’ho comprata soltanto per te;
ho saputo che fai la puttana:
la sciarpa di lana la tengo per me.
Ho comprato una radio Marelli,
l’ho comprata soltanto per te;
ho saputo che lecchi gli uccelli:
la radio Marelli la tengo per me.
Ho comprato una radio Phonola,
l’ho comprata soltanto per te;
ho saputo che fai la spagnola:
la radio Phonola la tengo per me.
Ho comprato un bel vaso di vetro,
l’ho comprato soltanto per te;
ho saputo che vendi il didietro:
il vaso di vetro lo tengo per me.
Ho comprato un bel fiasco di vino,
l’ho comprato soltanto per te;
ho saputo che vai nel casino:
il fiasco di vino lo tengo per me.
Ho comprato un bel paio di guanti,
li ho comprati soltanto per te;
ho saputo che hai molti amanti:
il paio di guanti lo tengo per me.
Ho comprato le azioni Arrigoni,
le ho comprate soltanto per te;
ho saputo che lecchi i coglioni:
le azioni Arrigoni le tengo per me.
Ho comprato una moto Gilera,
l’ho comprata soltanto per te;
ho saputo che chiavi ogni sera:
la moto Gilera la tengo per me.
Ho comprato due belle calosce,
l’ho comprate soltanto per te;
ho saputo che fai gli infracosce:
le belle calosce le tengo per me.
Ho comprato un’Isotta Fraschini,
l’ho comprata soltanto per te;
ho saputo che fai dei pompini:
l’Isotta Fraschini la tengo per me.
Ho comprato una vacca ed un mulo,
li ho comprati soltanto per te;
ma da quando lo prendi nel culo
la vacca ed il mulo li tengo per me.
Ho comprato Annabella ed Amica,
le ho comprate soltanto per te;
ma da quando tu dai via la fica
Annabella ed Amica le tengo per me.
Ho comprato una mazza da polo,
l’ho comprata soltanto per te;
ma da quando mi hai dato lo scolo
la mazza da polo la tengo per me.
Ho comprato due lunghi bastoni,
li ho comprati soltanto per te;
ma da quando mi hai rotto i coglioni
i lunghi bastoni li tengo per me.
Fanfulla da Lodi
Il barone Fanfulla da Lodi
condottiero di gran rinomanza
fu condotto una sera in istanza
da una donna di facile amor.
Era nuova ai cimenti d’amore
di Fanfulla la casta alabarda
ma alla vista di tanta bernarda
pose il brando e a pompare si diè.
E cavalca, cavalca, cavalca
alla fine Fanfulla si accascia
al risveglio la turpe bagascia
“Cento scudi mi devi tu dar”
Vaffancul, vaffancul, vaffanculo le risponde Fanfulla incazzato
venti scudi già ieri ti ho dato
gli altri ottanta li pigli nel cul.
Passa un giorno, due giorni, tre giorni
e a Fanfulla gli prude l’uccello
cos’è mai questo male novello
che natura malvagia mi diè?
Fu chiamato un dottore di grido
che prescrisse all’illustre malato
che l’uccello gli venga tagliato
se lo scolo voleva evitar
Di Fanfulla l’uccello reciso
fu deposto in un’orrida bara
mille vergin facevano a gara
per cantargli codesta canzon:
«Facesti il fol, facesti il fol
chiavasti senza guanto, il guanto, il guanto
facesti il fol, facesti il fol,
chiavasti senza guanto e beccasti lo scol!»
La morale di questa vicenda
si riduce alla legge del Menga:
chi l’ha preso nel cul se lo tenga
ed impari ad usare il goldon!
Però oltre alla legge del Menga
ci sta pure la legge del Volga:
chi l’ha preso nel cul se lo tolga
e lo metta nel cul al vicin!
Rosina dammela
Rit, Rosina dammela ,dammela, dammela,dammela.
Rosina dammela,dammela per amor
E no,e no,e no, e no che non te la do
E no,no,no per amor non te la do
Ci narrano le istorie che Romolo Quirino
dopo fondata Roma ci aprisse un bel casino
poiché le Bolognesi non erano vicine
dovette accontentarsi di vergini sabine.
Ma tutto questo avvenne in tempo assai lontano!
adesso, in quei locali, ci han fatto il Vaticano.
E come disse Enea al figlioletto Iulo
anche questa volta ce l’hanno messo in culo.
Il prode Muzio Scevola, brandendo il suo pugnale,
trafisse nelle chiappe per sbaglio un generale,
allora Re Porsenna, per dargli una lezione
gli fece abbrustolire la fava sul carbone.
Ma il re distrattamente essendosi voltato,
si prese nel didietro quel cazzo arroventato!
Il prode Muzio Scevola guardando sul catino
le seghe d’ora in poi le spara con mancino.
I tre fratelli Orazi, recandosi a duello,
invece delle spade affilavano l’uccello,
le spese di quell’atto le fecero i Curiazi,
che furono squarciati nel culo da quei cazzi.
Richiesero a Cornelia, ragazzi molto belli,
però non eran quelli i beni più adorati:
di negri avea un serraglio dai cazzi esercitati.
La mona delle gàline
E la mona delè galine / la se magna col pàn,
indove quela dele bambine / la se leca piàn piàn!
Laaveee, laaveee, laveve ‘l cuulooo…( 2 volte)
mmmm mmmmm / mmmm mm (come sopra, ma a bocca chiusa) mmmm mmmmm / mmmm mm (idem)
Laaveee, laaveee, laveve ‘l cuulooo…(2 volte)
E la mona chachacha dele galine chachacha
la se magna chachacha col pàn
indove quela chachacha dele bambine chachacha
la se leca chachacha piàn piàn!
Laaveee, laaveee, laveve ‘l cuulooo…(2 volte)
Palle, palle, palle
Si aprono le scuole,
si accende il lampadario
si vede il signor Preside
che incula il segretario;
E il professor di Chimica
gridava come un pazzo
“con l’acido muriatico
mi son bruciato il cazzo!”;
Il Professor di Fisica
soffiando in un cannello
si rese incandescente
la punta dell’uccello,
e quel che ci rimise
fu il povero assistente
che si trovò nel culo
un cazzo incandescente!
Il professor di Storia
studiando storia antica
scoperse che i romani
leccavano la fica.
E quello di Disegno
maestro del pennello
faceva i geroglifici
sul culo del bidello.
Il professor di Lettere
spiegando geografia
aveva le palle in Africa
e il cazzo in Bulgaria
fu allor che il suo supplente
guardando sull’atlante
scoprì nel vasto oceano
un cazzo galleggiante.
E quella di Francese
in piedi sopra un banco
gridava a squarciagola
la vendo per un franco.
Si chiudono le scuole
si tira giù la tela,
si vede il signor Preside
che incula la bidèla.
Mi fermo qui.
Per ragioni di spazio vi risparmio le “Osterie” (Es: Osteria numero uno.
(paraponzi ponzi pò) al casin non c’è nessuno (paraponzi ponzi pà) ci son solo preti e frati che s’incutano beati, dammela ben, biondina,
dammela ben, biondà!…) e “I Misteri” (es, Nel primo misero lussurioso si contempla San Cirillo che col cazzo fatto a spillo
inculava i microbi… Coro: Era un fenomeno!).
Mi rendo conto che non si tratta di canzoni da cantare per addormentare i bambini la sera, ma erano parte della vita dei goliardi, e alla fin fine tutto è cultura, anche quella meno paludata, e più “orientata alla lussuria” (ed in effetti, se volete, trovate tutto in Rete o in pubblicazioni dedicate).
Mi auguro di aver suscitato magari qualche lacrima di nostalgia in coloro che questi canti li hanno cantati da universitari, ed un po’ di curiosità nei ragazzi di oggi, che magari di goliardia ne hanno solo sentito parlare, e che possono così toccare con mano che i loro padri e nonni non erano poi degli ”stinchi di Santo”.
Umberto Baldo