Mario Draghi: visionario o Cassandra?
Umberto Baldo
Non mi sono assolutamente stupito che la vicenda della “pompeiana” Maria Rosaria Boccia e dell’ex Ministro della cultura Sangiuliano abbiano trovato su stampa e media più spazio delcosiddetto “Rapporto Draghi”.
Non è un problema solo italiano, è l’intera Europa che non riesce ad avvertire il proprio declino esistenziale.
Debbo confessarvi che mi sto ancora domandando (me l’ero già chiesto al momento in cui fu commissionato) perché Ursula von der Leyen abbia invitato Mario Draghi a stilare e presentare un “Rapporto sulla competitività” del Vecchio continente.
E me lo sono chiesto perché nessuno meglio della Presidente della Commissione può toccare con mano ogni giorno le ambiguità, la carenza di visione del futuro, la ristrettezza delle idee, e la mancanza di coraggio, che sono la cifra comune delle classi dirigenti di tutti gli Stati dell’Unione.
Guardate, come al solito voglio essere onesto; io il “rapporto Draghi” non l’ho letto, ma sono assolutamente certo che buona parte di coloro che ne parlano e ne scrivono non l’hanno letto neppure loro nella sua interezza.
Già, perché ormai da anni funziona quello che io chiamo la “conoscenza da Bignami”, nel senso che ci si sente in grado di commentare, e se del caso “bocciare”, un lavoro di alto livello, sulla base dei resoconti delle Agenzie di stampa, in altre parole sulla base di titoli.
Certo sin dall’epoca di Omero si sa bene che le Cassandre non ricevono applausi, ma dato che il nocciolo della questione è il futuro dell’Europa, e data la riconosciuta autorevolezza dell’estensore, speravo che se ne discutesse magari un po’ più approfonditamente.
Non avendolo letto, non aspettatevi che vi racconti cosa contiene esattamente questo rapporto, e mi limiterò anch’io a basarmi sui report apparsi sui media.
Cosa si dice dunque in questo Rapporto?
Da quanto ho potuto capire si tratta di una analisi senza veli, di un grido di allarme, di un progetto non solo economico, che sicuramente non può piacere ai populisti, ai sovranisti, e ai demagoghi.
Chi lo ha letto riferisce che sembra di scorrere le pagine dell’Apocalisse prossima ventura; invece le 400 pagine e le 170 proposte del rapporto non sono altro che la fotografia dell’inedia con cui l’Europa ha assistito imperturbabile al proprio declino negli ultimi due decenni.
E che si tratti di vero declino lo testimoniano alcune cifre.
In 20 anni, tra il 2002 e il 2023 il fossato tra Europa e Stati Uniti in termini di Pil è passato dal 15 al 30 per cento. Il calo della produttività si è tradotto nel raddoppio del reddito pro capite reale degli Usa.
Contemporaneamente si sono avute la fine del multilateralismo per un’economia aperta, sussulti della geopolitica, fine dell’energia russa a buon mercato, e la conquista da parte della Cina di quote di mercato industriale nell’Eurozona dal 25% del 2002 al 40% di oggi.
Di più; si è assistito senza fare quasi nulla al crollo nell’innovazione più avanzata: tanto che solo 4 quattro società Ue oggi si posizionano tra le 50 top tech del mondo,
In altre parole la fetta nel business globale high tech è scesa dal 22 al 18% tra il 2013 ed il 2023, mentre quella Usa saliva dal 30 al 38 per cento.
E’ evidente che una tale “discesa agli inferi” è oggettivamente insostenibile se si vuole che la Ue mantenga un ruolo adeguato nella nuova realtà che si prospetta.
In fondo si tratta solo di ritrovare la strada della competitività (vaste programme!).
Le risorse e gli atout ci sarebbero: una buona base industriale, un serbatoio di talenti però ormai troppo spesso in fuga verso gli Stati Uniti, una montagna di risparmio privato (quasi 1.400 miliardi contro gli 840 americani), un nuovo modello di sviluppo già reimpostato sul green.
Cosa manca? Qui si inserisce la proposta di Mario Draghi.
Che in estrema sintesi si riassume nel promuovere l’innovazione, diminuire i costi dell’energia, e ridurre le dipendenze nel settore della difesa.
Che dette così sembrano cose ovvie, e forse anche facili da perseguire con politiche adeguate.
Ma purtroppo non è così, perché servirebbe veramente un cambio di marcia e di prospettiva.
Parliamo di completare il mercato unico (come previsto dal Rapporto Letta); rendere più coerenti tra loro le politiche industriali (con particolare attenzione al settore della Difesa) commerciali e della concorrenza; finanziare in comune «beni pubblici europei»; e infine riformare il governo dell’Unione europea.
Ragazzi non so se avete capito, ma qui servono soldi, tanto soldi, che Draghi quantifica in 750-800 miliardi. Per trovare i quali bisognerebbe che la Ue si finanziasse sul mercato emettendo titoli di debito comune (com’è avvenuto per il Next Generation Eu). E già qui cominciano le “barricate” dei cosiddetti “Paesi frugali”, Germania in testa.
Serve poi più “innovazione” (ecco la parola magica) perché è proprio qui che la Ue registra una distanza abissale dagli Usa, ed è rimasta ormai indietro anche rispetto alla Cina.
C’è poi, ed io lo giudico pregiudiziale, il tema della “Governance”, nel senso che l’Europa non può affrontare questa sfida esistenziale ingessata dal potere di veto, che consente anche al più piccolo dei Paesi di bloccare tutti gli altri.
Nel mio piccolo, sono anni che sostengo che il voto della Germania, della Francia, dell’Italia, della Spagna, non può avere lo stesso peso di quello di Malta o di Cipro, ma anche di altri piccoli Paesi, in primis l’Ungheria.
E per convincere gli Stati che più si oppongono ad un’ulteriore integrazione, Draghi rilancia anche l’idea dell’Europa a due velocità. Se ne parla da anni, ma di fronte al crescere del divario fra Europa, Stati Uniti e Cina, questa l’ipotesi potrebbe finalmente trovare concretezza.
Se ci pensate bene, in fondo, nelle proposte di Draghi non c’è nessuna vera rivoluzione rispetto ai progetti ed alle idee già presenti nel disegno europeo (di fatto è un ritorno al passato per fare futuro); si tratta però di una spallata brutale allo status quo, una chiamata generale alle armi per sbaragliare il sonnambulismo dell’Europa, che porta al suicidio collettivo le sue conquiste, il suo benessere, unitamente alla libertà e alla democrazia.
Spero di avervi dato un’idea di cosa contiene il rapporto Draghi.
Il quale, interpellato a fine presentazione da una giornalista che gli chiesto provocatoriamente «Insomma, o si prende subito il suo rapporto o si muore? Ha risposto laconicamente «No, si continua una lenta agonia».
Parole che confermano che Mario Draghi non è uomo da drammatizzazioni, bensì di sano realismo.
Che fine farà il Rapporto sulla Competitività?
A mio avviso finirà in un cassetto ad impolverarsi.
E non per bizze e boicottaggi promossi dell’Ungheria di Viktor Orban o altri Paesi sovranisti, che nuocciono, certo, ma più di tanto non fanno storia, ma soprattutto per la disparità di intenti, di visione e di interessi che separa Francia e Germania, un motore ormai usurato, ma senza il quale è difficile rimettere in moto la macchina europea.
Ad aggravare il quadro c’è il fatto che Macron e Scholz non sono certamente Mitterand e Kohl, ed in Europa di altri “statisti” non ne vedo neanche l’ombra.
La verità è che la visione di Draghi è troppa avanzata e lungimirante sia per un Paese come il nostro che per un’Europa di nani politici, che pensano di risolvere ognuno a casa propria problemi più grandi di loro.
Un vero peccato!
Umberto Baldo