30 Settembre 2024 - 9.44

Mexico, Espana, e la follia della cultura woke

Umberto Baldo

Domani 1 ottobre si terrà a Ciudad de Mexico la cerimonia di insediamento del nuovo Presidente Claudia Sheinbaum, prima donna ad assumere questa carica. 

Si sa che in occasione dei cambi ai vertici degli Stati, siano monarchie, repubbliche, teocrazie, dittature, è prassi invitare altri capi di Stato, per presenziare e dare lustro alla cerimonia.

Ad esempio abbiamo visto all’incoronazione di Carlo III d’Inghilterra la passerella di tutte le teste coronate d’Europa e del mondo, nonché ovviamente un parterre di Presidenti e Capi di Governo.

Ma l’insediamento del Presidente messicano è stata l’occasione per dare vita ad uno “screzio” con la Spagna che, com’è noto, con lo stato centro americano ha antichi legami, nonché la lingua in comune.

Cosa è successo?

La polemica fra lo Stato Messicano e la Casa Reale di Spagna è iniziata in realtà nel marzo 2019, quando l’allora Presidente Andrés Manuel López Obrador, nel suo primo anno alla guida del Messico inviò una lettera personale al Rey Felipe VI, e pensate anche al Papa,  in cui rifletteva sui quasi 200 anni di indipendenza del Paese, e denunciava i lutti e le devastazioni perpetrati dalla Spagna cinquecento anni prima durante la conquista.

Non so se avete capito bene: il Messico pretenderebbe che la Spagna si scusasse per la conquista del Messico da parte del conquistador Hernán Cortés Monroy Pizarro Altamirano, che in circa due anni, dal 1519 al 1521, con un pugno di uomini conquistò l’antico l’impero degli Aztechi, ponendo fine alla loro civiltà.

Una protesta che è culminata nell’esortare la Spagna ad ammettere la propria responsabilità storica per queste ”nefandezze”, e offrire le dovute scuse o un “risarcimento politico”.

Un’operazione che López Obrador aveva proposto di realizzare bilateralmente “per raggiungere l’obiettivo di realizzare una cerimonia congiunta al massimo livello nel 2021” in cui “il Regno di Spagna esprimesse in modo pubblico e ufficiale il riconoscimento dei massacri e dei danni causati”.

Quelle richieste di Obrador non hanno mai ricevuto risposta dalla Famiglia Reale spagnola, e hanno colto di sorpresa il Governo iberico, che si è “profondamente” rammaricato che la lettera (“il cui contenuto respingiamo fermamente”), sia stata resa pubblica. 

“L’arrivo, cinquecento anni fa, degli spagnoli nelle attuali terre messicane non può essere giudicato alla luce di considerazioni contemporanee”, si legge in una dichiarazione emanata dal Ministero degli Esteri spagnolo a nome dell’Esecutivo.

Non pago, Obrador è poi ritornato alla carica, in modo ancora  più audace, suggerendo nel febbraio 2022 di “mettere in pausa” le relazioni con la Spagna fino all’insediamento di un nuovo Governo: “Vorrei che rinviassimo la normalizzazione per darci una pausa, che penso sia conveniente per messicani e spagnoli”. 

Parole che López Obrador, per soprammercato, accompagnò con una forte critica alle imprese spagnole, che accusò di trarre vantaggio da politiche che favoriscono gli interessi privati.

La diatriba è ancora in essere, tanto che il Messico ha escluso la Spagna dei festeggiamenti di domani, non invitando il Re Felipe VI.

Visto lo sgarbo palese, il Ministero degli Affari Esteri spagnolo, presieduto dal socialista José Manuel Albares, ha deciso di non inviare alcun rappresentante al giuramento, non omettendo di rimarcare che il re Filippo VI ha frequentato, fin da quando era Principe delle Asturie, e fine ad oggi, più di 80 insediamenti di Capi di Stato in America Latina.

E’ evidente che questa dialettica accesa, e queste forti tensioni diplomatiche, innescate dai messicani chiaramente a fini di politica interna, non porteranno certo ad un conflitto armato fra Spagna e Messico, ma è per me indicativa di come la cultura woke sia penetrata anche ai massimi livelli della politica.

Com’è noto il termine woke, meno usato in Italia perché sostituito dai termini politically correct e cancel culture, è un aggettivo della lingua inglese, che significa ‘stare svegli’, ‘stare all’erta’ nei confronti di ingiustizie razziali o sociali. 

L’ideologia woke è nata negli Stati Uniti negli anni Sessanta del secolo scorso, con un atteggiamento consapevole dei soprusi rappresentati dal razzismo e dalla disuguaglianza economica e sociale, solidarizzando e impegnandosi per aiutare coloro che li subivano.

Il problema è che la cancel culture ha assunto via via toni e atteggiamenti sempre più estremisti, con una sempre maggiore tendenza a condannare il passato sulla base della sensibilità contemporanea, fino ad arrivare a demolire statue,  ad abolire testi scolastici, o  a cancellare autori del passato e venerati personaggi storici.

Uno degli esempi più noti è la campagna ormai annosa scatenata negli Usa contro Cristoforo Colombo, sostituendo il Columbus Day con un  Indigenous Day,   così contribuendo a consolidare l’idea che il navigatore genovese sia il responsabile del genocidio dei nativi americani, quando la storia insegna che la civiltà “indiana” venne spazzata via dai coloni  di origine inglese, tedesca ecc. (verità sublimata nella cosiddetta “epopea del West). 

La cancel culture è a mio avviso un fenomeno preoccupante, perché l’ideologia dominante, quella che le élites diffondono nelle università, nei media, nella cultura di massa e nello spettacolo, di fatto impone a noi “Occidentali” di demolire ogni autostima, di colpevolizzarci, di flagellarci. 

Secondo questa “dittatura ideologica” non abbiamo più valori da proporre al mondo e alle nuove generazioni; abbiamo solo crimini da espiare (tipo la schiavitù; senza che questi maitres a penser tengano in alcun conto che la schiavitù fu presente in tutte le civiltà, e ad esempio i massimi negrieri furono gli arabi).  

Il tutto si trasforma in una sorta di suicidio dell’Occidente e della nostra cultura, in una sorta di “autocastrazione” a vantaggio solo delle minoranze etniche e sessuali, cui vanno riconosciuti tutti diritti da far valere,  a fronte di nessun dovere. 

Il problema vero è che queste frange radicali non hanno bisogno di un consenso di massa; come fecero a suo tempo i comunisti in Italia hanno imparato a sedurre l’establishment, a fare incetta di cattedre universitarie, a occupare i media, ad imporre dall’alto un nuovo sistema di valori. 

Concludendo, ritornando alle pretese del Messico, io credo che non si possa giudicare il passato con gli occhi del nostro presente.

Questo non vuol certo dire bloccare la ricerca ed il revisionismo storico, inteso come  riesame critico di fatti storici sulla base di nuove evidenze, o di una diversa interpretazione delle informazioni esistenti.

Tuttavia, è anche importante essere cauti quando si applicano gli standard morali moderni agli eventi storici, poiché ciò può portare ad una forma di presentismo che ignora le complessità del passato, e semplifica eccessivamente eventi e figure storiche.

Per far qualche esempio di dove potrebbe portare la cancel culture in Italia, dovremmo cancellare tutta la storia di Roma, dal Colosseo in cui venivano torturati e uccisi i cristiani, al Vaticano colpevole di aver mandato a morte migliaia di persone; e  l’Eur non dovrebbe  ospitare nessuna fiera, anzi un’intera città dovrebbe essere rasa al suolo, con la sola colpa di essere stata la capitale del Fascismo prima ancora che di un Impero. 

In definitiva, riconoscere universalmente i diritti che spettano a ogni essere umano non significa precludere o azzerare eventi che la storia ci ha tramandato. 

Se questo dovesse succedere, ci ritroveremmo sempre al punto di partenza, e ci sarebbe sempre qualcuno che la storia, a volte spietata e disumana, la replicherebbe.

Umberto Baldo

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