2 Ottobre 2024 - 8.24

Le radici del filo-putinismo italico

Sono passati quasi tre anni da quel 24 febbraio 2022, quando le truppe russe diedero inizio a quella che Vladimir Putin continua a chiamare “operazione speciale”, un’espressione eufemistica con cui addolcire il termine guerra.

Non temete, non ho intenzione di discutere di “torti e ragioni”, di vicende belliche, di missili e di droni, di divieti all’Ucraina di usare le armi occidentali in territorio russo, bensì del sentiment che in questi oltre due anni ho avvertito nella società italiana.

Un sentiment che io percepisco come molto più filo russo di quello che mi sarei aspettato in una democrazia europea, nonostante la ferma posizione “occidentale” fin qui tenuta dal Governo Meloni (e che credo non sarebbe stata scontata se a palazzo Chigi ci fosse stato ad esempio Giuseppe Conte).

Certo non è un “sentire” solo italiano, visto il successo che stanno riscuotendo in molti Stati europei Partiti piuttosto sbilanciati verso le posizioni del Cremlino.

Applicando le categorie politiche “destra/sinistra” uno si sarebbe aspettato atteggiamenti nettamente contrapposti, ma in realtà il “filoputinismo” è trasversale, prescinde dagli schieramenti politici, ed ha un minimo comun denominatore; l’anti-americanismo e l’anti-atlantismo.

E’ una vecchia malattia della politica italiana, sublimata fra l’altro nei talk-show televisivi, sempre alla disperata ricerca di audience, imbottiti ogni giorno di pseudo-opinionisti, strillatori di professione, e variopinti narcisisti pronti a straparlare per rafforzare le pulsioni antiamericane.

La Politica ci ha poi messo del suo; difficile dimenticare ad esempio un Matteo Salvini che indossava le sue magliette con il faccione di Putin per farsi un selfie sulla Piazza Rossa (e non se l’era dimenticato neppure Wojciech Bakun, primo cittadino della città polacca di Przemysl, quando gli ha sventolato sotto il naso proprio la maglietta col faccione dello zar); o quando il 5Stelle Alessandro Di Battista suggeriva una revisione dell’adesione italiana alla Nato.

Ma io credo che comunque nulla in politica e nella società nasca all’improvviso, per cui ritengo sia utile guardare indietro, nella storia recente del nostro Paese, rispolverando posizioni tragicamente rappresentative di un humus culturale trasversale che va da destra a sinistra e che, alla fine dei conti, si identifica in un sentimento sull’esito della seconda guerra mondiale pressoché identico o comunque speculare: peccato che non abbia vinto la Germania; peccato che la Russia non sia arrivata fino a Roma.

Mi spiego meglio.

A sinistra la vicinanza fra Russia e Italia a livello politico viene comunemente fatta risalire alla presenza nel nostro Paese, dal secondo dopoguerra fino agli inizi degli anni Novanta, del principale Partito Comunista europeo.  La politica di Mosca fu a lungo il modello del PCI in Italia, nonostante la presa di distanza dopo l’invasione della Cecoslovacchia nel 1968, quando i carri armati sovietici e del Patto di Varsavia misero fine alla Primavera di Praga.

In Italia però il reale allontanamento dalla politica sovietica avvenne solo nel 1975, con il progetto dell’eurocomunismo del PCI, cioè uno sviluppo in senso riformista e democratico della dottrina marxista, più lontano dalla sua coniugazione sovietica, anche se la contrapposizione al modello “borghese”, ed al progetto capitalistico occidentale promosso dagli Stati Uniti, era totale e coinvolgeva anche parte dei movimenti pacifisti. Questi ultimi, come vedremo, anche nei decenni successivi mantennero la Nato e la politica estera degli Stati Uniti come principali obiettivi da contrastare.

Ma sentimenti analoghi si riscontravano anche nella destra estrema, che si pasceva di anti-globalismo, anti-atlantismo ed anti-europeismo.

Ed è così che certa destra  si aggrappa ancora a qualsiasi leader mondiale che abbia il sentore di “dividere” il mondo; da qui l’innamoramento per i vari Bolsonaro, Trump e compagnia di giro.

Ma l’antiamericanismo non fu solo di sinistra e di destra. 

Fu anche del mondo cattolico, e non solo quello del filone dossettiano: che avversava la potenza muscolare americana, il suo relativismo ed il suo mercantilismo, il suo rampante individualismo e capitalismo, il suo mito consumista. 

La Chiesa romana in fondo è stata sempre ostile verso i caratteri della società americana, tanto che, nel 1949 accettò l’Alleanza atlantica solo come un male minore. Molti esponenti dell’attuale Partito democratico provengono dalla corrente con capostipiti Giuseppe Dossetti e Giovanni Gronchi, che oggi è assai attenta al significato politico, oltre che religioso, del monito etico di Papa Francesco.

Come accennavo, a mio avviso alcuni dei “riflessi condizionati” di quella contrapposizione al modello americano sono visibili nella posizione attuale del movimento pacifista, espressa chiaramente nel concetto “né con la NATO né con Putin”. 

Allo stesso modo alcuni osservatori individuano nella presunta poco chiara posizione dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia sulla guerra in Ucraina, un retaggio di una vicinanza fra la sinistra italiana ed una visione alternativa, in parte filo-sovietica e ora filo-russa, della politica internazionale. 

L’Italia è un Paese assai strano se si pensa che forse la maggioranza delle forze in campo nella Prima Repubblica, dal Pci al Psi, dall’ultrasinistra al Msi, e a molta parte della Dc, coltivavano questi umori antiamericani.

Per dirla diversamente, accanto a coloro che vedevano gli Usa come il baluardo dell’occidente anticomunista ed antifascista, del benessere e della libertà, oltre che benefattori col piano Marshall, e protettori con l’ombrello Nato,   l’antiamericanismo si abbeverava da tre sorgenti: quella “cattolica” che vedeva gli States come il principale veicolo del materialismo opulento, dell’ateismo pratico, del culto dell’individualismo sfrenato; quella “nazionalista” che detestava negli Usa il dominio imperialista e coloniale e la mortificazione delle identità e delle sovranità nazionali e popolari; e quella “comunista”, nelle due versioni filosovietica o filocinese.

Questo conglomerato di destra, sinistra e clerico-tradizionalismo, attrae ancora oggi una buona parte degli italiani, che continuano a simpatizzare per Putin nonostante lo Zar  abbia cancellato le libertà di espressione e di associazione sbocciate ai tempi di Gorbaciov, abbia trasformato la Russia in  una “democratura”, una dittatura con le parvenze e perfino i fronzoli elettorali della democrazia, sia il primo capo di Stato europeo ad aver annesso alcuni territori dalla fine della Seconda guerra mondiale (Crimea 2014),  stia conducendo una guerra di aggressione contro uno Stato libero e sovrano.

Personalmente rispetto le idee altrui anche se non le capisco o non le condivido.

E sicuramente non comprendo questo innamoramento per il neo Zar russo di un mondo che applaude più o meno di nascosto (o comunque non le condanna), alle parole chiaramente naziste di Vladimir Putin: “Non ritornerò mai indietro rispetto alla mia dichiarazione che Russia e Ucraina sono un unico popolo”. 

Siamo sempre lì: Ein Volk, ein Reich, ein Führer.

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