Quell’arma segreta di Israele
Erasmus
Qualche giorno fa un caro amico mi ha inviato un messaggio in cui mi diceva: “Certo che questi Israeliani sono bravi a farsi sempre più nemici!”
Poche parole che racchiudono una grande verità; mai come in questa fase storica lo Stato ebraico si trova a dover combattere una guerra esistenziale in Medio Oriente, avendo contro buona parte delle opinioni pubbliche mondiali, e finanche l’Onu.
Ammetto che non è facile giustificare la politica di Bibi Netanyahu, con la sua ferma volontà di dare il colpo di grazia ad Hamas, Hezbollah, ai loro burattinai di Teheran, ed in generale a tutti coloro che si oppongono con le armi ad una esistenza pacifica nell’area.
E ancora meno facile è l’accettare gli effetti di questa azione; i morti e le distruzioni.
Ma a rifletterci un po’, si capisce che il focolaio antiebraico si è rianimato dopo quel 7 ottobre 2023, che rimarrà nella memoria di Israele allo stesso modo in cui è ancora vivo il ricordo della Shoah.
Comunque la si guardi, certo non con occhi accecati dall’odio, il 7 ottobre è stato il culmine di una spirale che ha finito per cancellare il velo dell’ipocrisia, mostrando al mondo quanto profondo e diffuso sia oggi l’antisemitismo nel mondo occidentale.
Ma come per tutte le cose, nonostante nelle nostre scuole non la si insegni quasi più, non è possibile capire questa vicenda se non partendo dallo storia, e da un peccato originale, quello del rifiuto arabo dello Stato palestinese nel 1947.
E ciò perché se anche gli arabi, come gli israeliani, avessero osservato la risoluzione 181 dell’Onu, oggi non staremmo qui a discutere, e avremmo risparmiato decenni di guerre e centinaia di migliaia di morti.
Tanto più che i territori che l’Onu assegnava ai palestinesi erano molto più vasti di quelli che oggi rivendicano.
Per chi non se lo ricordasse, il29 novembre 1947 l’Onu votò un piano di spartizione della Palestina tra uno Stato ebraico ed uno arabo, proponendo uno statuto speciale per Gerusalemme: il piano venne accettato dal movimento sionista e rifiutato dai palestinesi, che come popolazioneerano il doppio(1,2 milioni di arabi, a fronte di 600 mila ebrei).
Il 15 maggio 1948 Ben Gurion proclamò lanascita dello Stato di Israele: ed è da quel momento che ebbe inizio il conflitto arabo-israeliano, le cui tappe fondamentali sono segnate da ben quattro scontri armati.
La prima guerra arabo-israeliana scoppiò subito dopo la proclamazione di Israele, con gli eserciti di Egitto, Siria, Transgiordania, Iraq e Libano che invasero il territorio del nuovo Stato ebraico. Che però contrattaccò, vinse, e a seguito degli armistizi del 1949 Israele ottenne ancora più territori di quelli previsti dagli accordi Onu, inclusa la parte ovest di Gerusalemme.
Seguì la “Guerra del Sinai” del 1956, poi quella dei “6 giorni” del 1967, ed infine quella dello “Yom Kippur” del 1973.
Con quest’ultima guerra finì il coinvolgimento diretto degli Stati arabi in guerre dichiarate contro Israele, e con gli accordi di Camp David con l’Egitto iniziò di fatto una nuova fase, fino ad arrivare al riconoscimento dello Stato di Israele da parte di alcuni Stati arabi (Accordi di Abramo).
Da allora lo scontro fu prima fra lo Stato ebraico e l’Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), per arrivare ai giorni nostri in cui gli oppositori, si chiamino Hamas o Hezbollah, o Houti, sono delle comparse messe in campo, armate e finanziate, dalla Repubblica Islamica dell’Iran, impegnata, fin dalla sua nascita nel 1979, a provocare la distruzione di Israele.
Nel frattempo, man mano che Israele radicava la sua forza, e respingeva tutti i tentativi di distruzione operati dagli Stati arabi negli anni successivi alla sua fondazione fino al giorno d’oggi, quello che un tempo era il diffuso antisemitismo europeo cambiò volto.
Ancora troppo forti erano il ricordo, le immagini e le testimonianze dei campi di sterminio, di quella Shoah che resta una macchia indelebile nella storia di noi europei, per attaccare il popolo ebraico, per cui si optò con una certa mal celata ipocrisia verso l’antisionismo.
Ma l’antisionismo, come accennato, non è che una versione edulcorata dell’antisemitismo, che dopo il 7 ottobre è tornato a risvegliarsi prepotentemente nelle nazioni europee e persino negli Stati Uniti, in quelle università dove si prepara, o almeno così dovrebbe essere, la classe dirigente del prossimo futuro.
Ma questi nostri ragazzi che nelle Università e nelle piazze sventolano le bandiere palestinesi, invocando “una Palestina dal fiume al mare” non capiscono che da qui parte l’assalto alla storia e alla cultura dell’Occidente, perché la difesa di Israele, al di là degli errori dei Governi, che non sono pochi, è fondamentale per garantire i nostri assetti come liberaldemocrazie.
Detta in altre parole questi nostri “virgulti”, influenzati da una propaganda cinica ed interessata, non si rendono neppure conto che la guerra di Israele contro Hamas ed Hezbollah va al di là degli steccati di un conflitto regionale; che cioè si tratta di un’aggressione all’intero Occidente ed ai suoi valori, primo fra tutti quello della libertà. Libertà che in tutto e per tutto è oggi minacciata, mentre il fanatismo avanza.
Più Israele recide i tentacoli di quello che è “l’asse del male” orchestrato da Teheran, più aumenta la pressione ideologica sulle masse radicali che in Occidente operano sotto la falsa bandiera dell’umanitarismo e del pacifismo.
E quanto siano “faziose” queste proteste giovanili diventa palese nel momento in cui chiedono il rispetto delle deliberazioni dell’ Onu del 1947.
Perché non si può invocare il rispetto del diritto internazionale se poi si nega il diritto di Israele ad esistere; diritto legittimato proprio dalla Risoluzione dell’Onu numero 181 del 1947: quella che divise l’ex mandato britannico di Palestina in due Stati, uno ebraico e l’altro arabo-palestinese.
A tutt’oggi, nel 2024, per queste folle il problema di Israele è che non sarebbe dovuto nascere.
Ma allora non si può chiedere a uno Stato che tu ritieni abusivo, perché di fatto te ne infischi della risoluzione Onu n. 181, di rispettare le altre risoluzioni delle Nazioni Unite.
Bisognerebbe partire dalla 181 per poi pretendere che Israele restituisca i territori ancora occupati: il diritto internazionale non funziona a intermittenza, a targhe alterne.
C’è poi un aspetto che sfugge a quasi tutti coloro che sproloquiano sul problema Israelo-Palestinese; quello che nella storia dell’umanità tutte le guerre sono state combattute per conquistare territori, per assoggettare popolazioni, non per cancellare Stati dalla faccia della terra.
Ed è da questo, dal fatto che i suoi nemici vogliono eliminarlo dalla storia, che gli ebrei trovano la forza per stringere i denti e resistere agli attacchi da qualunque parte provengano; la consapevolezza che dopo lo Stato di Israele davanti a loro si apre il baratro del nulla.
A tal proposito c’è un aneddoto che spiega meglio di ogni altro questa realtà.
Un aneddoto che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha raccontato molte volte nel corso degli anni, relativo al suo primo viaggio in Israele.
Nel 1973, senatore fresco di nomina, Biden ottenne un incontro con l’allora primo ministro israeliano Golda Meir (vedi (vedi https://www.tviweb.it/free-palestina-contestazioni-alla-presentazione-del-libro-su-golda-meir/), la quale, insieme all’allora ambasciatore Yitzhak Rabin, informò Biden delle numerose minacce che incombevano su Israele, mostrandogli una serie di mappe.
“Immagino che mi abbia letto in viso un profondo senso di apprensione”, racconta Biden.
Infatti mi disse: “Senatore, non sia così preoccupato. Noi israeliani abbiamo un’arma segreta”.
“E io pensavo che stesse per rivelare solo a me questa nuova arma segreta”.
“Dunque qual è l’arma segreta di Israele?” chiese Biden ansioso.
“E’ che non abbiamo nessun altro posto dove andare”, rispose Golda Meir.
Uno potrebbe pensare che si tratti di una frase ormai “datata”, superata,
Ma non è così, perché gli ebrei ancora oggi sanno bene che, come diceva Golda Meir, fuori da Israele “non hanno nessun altro posto dove andare”.
Ma tutto questo evidentemente sfugge a Hamas, ai suoi accoliti ed agli utili idioti che in Occidente fanno eco allo statuto del gruppo terroristico gridando lo slogan genocida “dal fiume al mare, la Palestina sarà libera”.
Ed è questo il motivo per cui un leader screditato, odioso, impresentabile come Bibi Netanyahu, è ancora ben saldo al potere.
Erasmus