I fratelli Menendez verso un nuovo processo (grazie alla serie Netflix?)
I fratelli Menendez potrebbero essere rilasciati grazie al successo della serie Netflix a loro dedicata? Da quando è stata lanciata il 16 settembre, la fiction creata da Ryan Murphy ha catturato l’attenzione delle nuove generazioni, riaccendendo il dibattito che aveva suscitato grande scalpore ai tempi dei fatti. Per chi non conoscesse la storia, Lyle ed Erik Menendez furono condannati all’ergastolo il 2 luglio 1996, al termine del loro secondo processo, per aver ucciso i genitori il 20 agosto 1989, quando avevano rispettivamente 21 e 18 anni.
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La giustizia aveva attribuito loro un movente finanziario, mentre i due fratelli affermarono di aver agito in reazione agli abusi sessuali subiti dal padre, un ricco immigrato cubano, con la complicità della madre, Kitty. Dal 2018 sono detenuti nello stesso penitenziario vicino a San Diego, e col tempo sono diventati quasi involontariamente simboli delle vittime di incesto. Fino ad oggi, tutte le loro richieste di scarcerazione anticipata sono state respinte, ma il successo della serie Netflix potrebbe cambiare le cose.
Il procuratore distrettuale di Los Angeles, George Gascon, ha dichiarato: “Non penso che meritino di stare in prigione fino alla morte”. All’inizio di ottobre, Gascon ha annunciato l’esame di nuove prove che confermerebbero gli abusi subiti dai fratelli. Il 17 ottobre, nel programma “IMPACT x Nightline” su ABC, ha spiegato: “Non mi schiero in nessuna direzione, ma i miei team stanno esaminando attentamente il caso. La decisione finale sarà mia”. Un’udienza è prevista per il 29 novembre, in cui Gascon potrebbe raccomandare un terzo processo. In tal caso, un giudice dovrà comunque approvare la raccomandazione.
I fratelli Menendez hanno ricevuto il sostegno di diverse personalità, tra cui Kim Kardashian. Durante una conferenza stampa a Los Angeles, una trentina di parenti si sono espressi a loro favore, inclusa la zia Joan VanderMolen, sorella di Kitty Menendez, che ha dichiarato: “Lyle ed Erik hanno già pagato il prezzo, rifiutati da un sistema che non ha riconosciuto il loro dolore”.