30 Ottobre 2024 - 10.53

Irpef: “Un club per pochi che pagano per tutti gli altri”

Nonostante la non più verde età sono ancora curioso, e sono in particolare attirato da tutte le novità nel campo informatico.

Ormai la nuova frontiera è quella dell’Intelligenza Artificiale, per cui ho cercato di accostarmi a questa tecnologia innovativa, per vedere se rappresenta veramente quella svolta epocale di cui tutti parlano.

Scaricata l’applicazione, per fare una prova ho posto questa domanda: “Perché è così difficile fare pagare le tasse agli italiani?”

Quella che riporto di seguito è la risposta:

La difficoltà nel far pagare le tasse in Italia è un problema complesso e affonda le sue radici in una serie di fattori storici, culturali, e strutturali.

1.   Fiducia nelle istituzioni: La fiducia degli italiani nelle istituzioni pubbliche è storicamente debole. Molti cittadini percepiscono le tasse come un “furto” piuttosto che un contributo per migliorare i servizi pubblici, anche perché spesso non vedono un ritorno diretto e tangibile dei loro contributi fiscali. Quando si pagano le tasse, si ha l’aspettativa di ricevere servizi pubblici efficienti, ma in Italia la percezione è spesso quella di un sistema inefficiente e talvolta corrotto, che spreca le risorse.

2.   Evasione fiscale storica: L’evasione fiscale in Italia è una tradizione lunga e radicata, specialmente in alcune aree geografiche e in determinati settori (ad esempio, piccole imprese e professionisti autonomi). Questo fenomeno ha creato una sorta di “cultura dell’evasione”, in cui non pagare le tasse è visto come un modo per “sopravvivere” a un sistema considerato oppressivo.

3.   Sistema fiscale complesso e opprimente: La struttura fiscale italiana è notoriamente complicata e pesante. L’Italia ha un regime fiscale che richiede un elevato carico di adempimenti burocratici, con tasse che sembrano aumentare di anno in anno. Questa complessità alimenta un senso di oppressione fiscale, che spesso porta molti a cercare metodi per evadere o evitare il pagamento delle imposte.

4.   Iniquità del sistema fiscale: Il sistema fiscale italiano, pur essendo progressivo, è percepito da molti come ingiusto. A volte i grandi evasori e le grandi aziende riescono a trovare metodi per evitare il pagamento delle tasse attraverso scappatoie legali o negoziazioni, mentre i lavoratori dipendenti e pensionati, che hanno una tassazione trattenuta alla fonte, non hanno possibilità di evadere. Questa disparità genera un sentimento di frustrazione e iniquità.

5.   Politiche di condono: Periodicamente, lo Stato italiano offre dei condoni fiscali per recuperare fondi dagli evasori, permettendo loro di regolarizzare la loro posizione fiscale pagando una somma forfettaria e spesso molto inferiore a quanto effettivamente dovuto. Questi condoni vengono visti come un incentivo all’evasione, perché coloro che non pagano le tasse sanno di poter sanare la propria situazione con uno sconto.

6.   Economia sommersa: L’Italia ha una delle economie sommerse più grandi d’Europa, con una percentuale significativa di lavoratori impiegati “in nero” o comunque non dichiarati. Questo significa che ci sono molte attività economiche che sfuggono completamente alla tassazione, sia a livello di imposte sul reddito che di contributi previdenziali.

7.   Incapacità di controllo: La macchina burocratica e amministrativa in Italia non ha sempre le risorse o la capacità di fare controlli sistematici e efficaci. Sebbene l’Agenzia delle Entrate sia diventata più efficiente negli ultimi anni, c’è ancora una carenza di risorse e di personale, specialmente in aree come il sud Italia, dove il fenomeno dell’evasione è ancora più diffuso.

Conclusione

Rendere il sistema fiscale italiano più equo e funzionale richiederebbe una riforma profonda che non solo riduca le tasse e semplifichi le procedure, ma che ricostruisca il rapporto di fiducia tra cittadini e Stato.

Beh, tutto sommato l’output dell’AI è un “compitino” che ha una sua dignità, e che trova conferma anche nei numeri dell’annuale “Report di Itinerari previdenziali sulla spesa pubblica e le dichiarazioni dei redditi 2022”,  presentato  alla Camera nei giorni scorsi.

Mi chiedo sempre, quando leggo questo Report, a cosa serva presentarlo al Parlamento se sono decenni che la situazione è sempre la stessa (anzi sempre peggiore), e la politica, di qualsiasi colore, non ha neppure il coraggio di aprire una discussione sul tema.

Di conseguenza apprendiamo che, anche per il 2022,  il 75,80% dei contribuenti ha dichiarato redditi da zero fino a 29mila euro, corrispondendo solo il 24,43% di tutta l’Irpef, un’imposta neppure sufficiente a coprire la spesa sanitaria.

In altre parole i contribuenti che in Italia dichiarano almeno 35mila euro sono circa 6,4 milioni (il 15,27% del totale), ma pagano il 63,4% delle imposte, mentre quelli che dichiarano meno di 15mila sono poco meno di 17 milioni (il 40,35% del totale) e pagano l’1,29% dell’Irpef complessiva.

Dati questi numeri, quando sento descrivere l’Italia come un Paese oppresso dalle tasse divento come una tigre, perché è ormai certificato che una grande parte di italiani ne paga così poche, o non ne paga affatto, da risultare totalmente a carico della collettività. 

E’ il ritratto di un Paese con una fortissima pressione fiscale  per la gran parte a carico dei redditi sopra i 35mila euro lordi l’anno, che per di più non beneficiano, se non marginalmente, di bonus, sgravi e agevolazioni, fra l’altro in assenza di controlli su una spesa assistenziale che cresce a tassi doppi rispetto a quella previdenziale.

Ricordo che il capitolo “assistenza” è quello che cresce costantemente sotto la spinta delle promesse di una politica in perenne campagna elettorale.

L’immagine che ne esce è quella di Paese che, purtroppo, vive di assistenza ed assistenzialismo, mentre affonda nell’economia sommersa. 

Basti pensare che in 10 anni la spesa per il welfare è aumentata del 30% a causa di una vertiginosa  esplosione della spesa di assistenza, pari al +126%. Di fatto, nel nostro sistema fiscale il peso per chi produce e contribuisce è ormai insostenibile. 

Mentre l’inflazione ha mangiato il 24% del potere d’acquisto in 15 anni, questa minoranza continua a sostenere sanità, assistenza sociale e servizi per tutti, spesso senza alcun beneficio diretto.

Mi viene semplicemente da ridere (per non piangere)  leggere che ora si discute di «ceto medio», e della possibilità di limare un po’ l’aliquota delle fasce centrali di reddito se il concordato preventivo (chiamiamolo con il vero nome di Condono) offrirà risorse un po’ più generose rispetto alle previsioni che dominano la vigilia. 

Ma è del tutto evidente che se anche andrà bene, si tratterà comunque di un palliativo, in un Paese di “poveri ufficiali”, che dal 2008 al 2022 ha visto crescere solo del 25% il gettito dell’Irpef, mentre la spesa per il welfare è più che raddoppiata.

Un quadro semplicemente desolante!  Cifre che ci dicono che la povera Irpef, trafitta dai regimi sostitutivi e dall’evasione protetta e quasi incentivata dalla politica, si è trasformata in modo ormai strutturale in un “club per pochi che pagano per tutti gli altri”.

“Altri” che per di più hanno anche il coraggio di protestare per la sempre peggiore qualità dei servizi offerti dallo Stato!

Quando è ormai evidente che nel BelPaese vige ormai il principio “più tasse si pagano meno servizi si ricevono”.

So bene che è inutile sperare che il populismo, che alligna sia a destra che a sinistra, sia in grado di affrontare il problema di questa disuguaglianza fiscale che di fatto impedisce al Paese di crescere.

Ma mi piacerebbe chiedere ai nostri Demostene se si rendono conto che questa situazione diventerà via via sempre più insostenibile per i conti dello Stato, fino ad arrivare ad un punto di rottura.

Forse è meglio se lo chiedo all’Intelligenza Artificiale!

Umberto Baldo

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