Per un giorno io, repubblicano storico, mi sono sentito “monarchico”
Le elezioni presidenziali negli Stati Uniti non possono distoglierci del tutto da quanto avvenuto vicino a noi, in una nazione amica, molto simile all’Italia per certi aspetti, ma molto diversa per altri.
Non possono in altri termini cancellare dai nostri occhi le immagini di morte e devastazione conseguenti alla “goccia fredda”, o Dana come viene chiamata in lingua iberica, che ha colpito la costa est il 29 di ottobre.
Certo sarebbe facile elevare la catastrofe spagnola, francamente non so quanto arginabile, a simbolo della condizione della vecchia Europa che non sa cosa fare quando c’è un’alluvione o un terremoto.
D’altronde in Emilia-Romagna stanno ancora aspettando i soldi per riparare i danni delle piogge dell’anno scorso, e non si sa se mai arriveranno.
Per certi aspetti siamo ancora all’anno zero quanto ad iniziative serie nel campo della prevenzione, e nemmeno in quello degli interventi (se si eccettua il fatto assai discutibile della cacciata del bravissimo ex responsabile della Protezione civile Fabrizio Curcio).
Ma non voglio debordare dal tema di oggi, che resta Valencia, e quel numero assurdo di morti, che ad oggi non si riesce ancora a quantificare, perché sotto voce si sussurra che non si sa dove molte vittime siano finite, e di conseguenza non si sa dove cercarle.
Come sempre succede in queste “occasioni”, per usare un eufemismo, è doveroso che la “politica” si faccia vedere nei luoghi del disastro, sia per comunicare vicinanza e cordoglio, sia per rendersi conto direttamente dei danni e delle necessità impellenti.
E così, io dico giustamente, le massime autorità spagnole, dal Rey Felipe VI al premier Pedro Sanchez, al Presidente della Generalitat Valenciana Carlos Mazòn, si sono recati là dove si sta ancora lottando per spalare fango e liberare le case.
Credo non ci volesse un indovino per immaginare che non poteva essere una “passeggiata di salute”, anche per le polemiche che hanno preceduto questa visita, polemiche in cui i cittadini accusavano le strutture pubbliche di essere assenti o carenti, nel mentre gli aiuti li stavano fornendo solo i volontari.
Troppo grande la catastrofe, troppe le vittime, troppa la tensione dopo cinque giorni di richiesta di aiuti, perché la rabbia dei cittadini non traboccasse in tutta la sua crudezza all’indirizzo di quelli che, nel bene e nel male, erano i “rappresentanti del Potere”.
E così centinaia di persone li hanno accolti al grido di “asesinos” (credo non sia necessario tradurre) “Nos hemos quedado sin nada! Fuera del pueblo!” (Siamo rimasti senza niente! Fuori dalla città”).
Ma gli indignados non si sono limitati alle urla ed agli insulti, e in un episodio senza precedenti dalla restaurazione della monarchia, hanno lanciato un po’ di tutto, da bastoni a palle di fango a bottiglie, contro l’entourage del Capo dello Stato.
Pure la Reyna Letizia Ortiz è stata coinvolta nei lanci, anche se gli insulti più pesanti hanno avuto come destinatario privilegiato il Capo del Governo Sanchez, interpellato con epiteti come “figlio di puttana”, “la gente moriva e venite solo ora”.
Tra tumulti e spinte Pedro Sanchez ha dovuto abbandonare la “comitiva” rifugiandosi in un’auto blindata, che ha comunque subito l’assalto della folla, con la rottura di un finestrino.
Il Capo della Generalitat Valenciana Carlos Mazòn (a detta di tutti il vero responsabile del gran numero di morti per la sua sottovalutazione degli allarmi Dana, ed i ritardo dell’allerta alla popolazione), ha cercato di restare con il Re, ma dopo poco ha dovuto anche lui ritirarsi precipitosamente per evitare il peggio.
Alcuni amici, conoscendo la mia predilezione per la “terra di Cervantes” mi hanno fatto notare che in questa occasione la Spagna si sarebbe “italianizzata”, nel senso che avrebbe mostrato tutte le carenze e le manchevolezze cui noi italiani siamo da sempre abituati quando succede qualche disastro.
Tutto vero! Non ho alcun problema ad ammettere che sicuramente uno Stato di cui ammiro l’efficienza in questo frangente avrebbe potuto fare meglio, molto meglio di quello che abbiamo visto (a mio avviso ad un’analisi più attenta ci si accorgerà che a fallire è stato l’attuale sistema delle Autonomie regionali).
Anche se il fenomeno atmosferico è stato veramente un “unicum” quanto alla quantità di pioggia caduta, l’emergenza si sarebbe dovuta gestire con maggiore coordinazione, ed anche con mezzi più adeguati alla bisogna.
Ma vedete, sono assolutamente certo che la differenza con l’Italia si vedrà nell’immediato futuro, perché le tempistiche spagnole nella realizzazione dei lavori pubblici (in questo caso il ripristino delle infrastrutture e di quanto distrutto dalla Dana) sono infinitamente più brevi di quelle italiche.
L’ho potuto toccare con mano tante volte; quello che in Spagna si riesce a completare in un anno da noi ce ne vogliono almeno dieci e più, fra l’altro a costi notevolmente più contenuti.
Ma tornando a domenica, e alla rabbia popolare contro le Autorità, mentre il premier Sanchez ed il Presidente della Generalitat Mazòn erano costretti a mettersi al riparo dalla furia dei “ciudadanos”, il Re ha voluto rimanere fra le gente.
Ha preteso che venissero chiusi gli ombrelli con cui le sue guardie del corpo cercavano di proteggerlo dai lanci di oggetti e manciate dei fango, ed ha cominciato a dialogare con le persone a lui vicine.
Il Re, a quel punto sola Autorità presente in prima linea, ha bloccato le scorte che volevano circondarlo per proteggerlo, ha interpellato quelli che lo fischiavano, ha ascoltato i ragazzi indignati, ha discusso con loro senza fretta, e con un gesto insolito ha stretto loro le spalle, in un abbraccio sobrio ma inteso.
Pensate che il Re voleva poi tornare anche nel pomeriggio in mezzo agli alluvionati, ma i “politici”, sicuramente temendo un bis di contestazioni, gli hanno detto che non lo avrebbero accompagnato, e dopo accese discussioni lo hanno convinto a ritornare di mala voglia a Madrid.
Le foto di quegli abbracci, e quelle della regina Letizia in lacrime di disperazione e sgomento ascoltando nell’aria confusa e terribile la voce debole e tremante di una madre che chiedeva latte e pannolini per il suo neonato, sono a mio avviso la dimostrazione che il Potere non è “una carica”, “un titolo”, “un albero genealogico che affonda nei secoli”; può essere qualcosa di più, può essere anche calore umano verso coloro, uomini e donne, che formalmente dovrebbero essere chiamati “sudditi”.
La gente di Valencia ha smarrito famigliari, case, lavoro, infine la propria speranza; Felipe e sua moglie Letizia hanno voluto e saputo essere là dove il Governo, per cinque, lunghi giorni, ha dimenticato di presentarsi.
Felipe, mi piace chiamarlo così e non “Re”, in quei pochi minuti assieme ai disperati di Valencia si è guadagnato non lo stipendio, ma il “Regno”, perché ha saputo valutare il rischio di esporsi alla folla arrabbiata, quindi al pericolo, scegliendo di affrontarlo, senza scudi o protezioni, senza scorta, offrendo il suo equilibrio.
Ha guadagnato forse di più; il diritto di essere chiamato semplicemente, amichevolmente, con il suo nome di battesimo, senza il numero d’ordine dinastico.
Era successo anche a suo padre, prima delle vicende che ne hanno intaccato l’immagine, quando di fronte al pronunciamento del colonnello Tejero presentatosi pistola in pugno alle Cortes , Re Juan Carlos scelse con decisione la strada della costituzione e della democrazia.
Concludendo, io credo da sempre che gli uomini si giudicano più da ciò che fanno rispetto a quel che dicono, e debbo confessarvi che di fronte al comportamento di Felipe VI di Spagna domenica a Valencia io, repubblicano storico da sempre, per un giorno mi sono sentito “monarchico”.
Umberto Baldo