Donald o Kamala? Giorgia o Elly? Gesù o Barabba?
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Umberto Baldo
Siete stanchi di sentire parlare di elezioni americane, del trionfo di Donald Trump e della calata agli inferi di Kamala Harris?
Posso anche capirlo; è da mercoledì che l’attenzione di tutti i media è focalizzata nell’ipotizzare quali saranno le prime mosse del nuovo Presidente, e non c’è commentatore, analista, corrispondente, che non sia sbilanciato in ardite analisi sulle motivazioni della vittoria trumpiana, e per converso della débacle democratica.
Il tutto ovviamente letto anche in una logica “italica”, cercando di individuare quale “lezione” dovrebbero trarre le nostre sinistre e le nostre destre politiche dal voto del 5 novembre.
In due editoriali dei giorni scorsi (https://www.tviweb.it/elezioni-usa-super-tuesday-il-giorno-della-verita-e-il-giorno-che-puo-cambiare-il-mondo/) (https://www.tviweb.it/valanga-trump-per-leuropa-e-anche-per-litalia-e-finita-la-pacchia/) ho cercato di evidenziare come queste elezioni potranno rappresentare veramente un “punto di svolta epocale” negli equilibri internazionali, un “tornante della storia”; e l’effetto più visibile sarà la nascita di una geopolitica multipolare, in cui il ruolo degli Stati Uniti non potrà più essere quello del dopo guerra.
Detta in altri termini, la logica di Yalta (perché a ben guardare, fatti tutti i debiti distinguo, è ancora quella) è ormai consegnata alla storia, e gli Stati Uniti non saranno mai più né la “potenza egemone” né il “gendarme del mondo”.
Questo non vuol dire che siamo alle soglie di un confronto bellico, che la terza guerra mondiale sia alle porte, ma è chiaro che Trump e l’Amministrazione Usa dovranno scegliere le aree geografiche su cui concentrarsi, tralasciandone altre.
E poiché non c’è alcun dubbio che l’interesse prevalente sia ormai focalizzato sull’Indo-Pacifico, ed in particolare sulla sfida con la Cina, il contraccolpo maggiore lo subirà l’Europa.
Ma attenzione, Trump per l’Europa non rappresenta in realtà una minaccia, ma una sfida esistenziale. La mette di fronte alle proprie responsabilità in un momento tra i più difficili della sua storia, in cui si registra una crisi concomitante delle classi dirigenti: una Germania alle prese con probabili elezioni anticipate, una Francia in cui Macron non controlla il Parlamento e non è ricandidabile, una Spagna in cui l’onda della contestazione dopo l’alluvione di Valencia, non ha risparmiato nessuno.
Tralascio l’Italia, meglio “a Nazziiiooooneeee”, perché qualche “fulmitato” immagina che possa fare da “faro” nelle relazioni Euro-americane (roba da neuro-deliri).
E’ evidente che Trump dirà a noi europei: assumetevi maggiore responsabilità dal punto di vista economico, della sicurezza, della capacità di intervento in aree di crisi. Lo ha già detto durante la sua prima Presidenza, e adesso sarà ancora più determinato.
Di fronte a questa sfida l’Europa ha di fronte due strade: la prima è rafforzare tutti gli elementi di integrazione (politica estera ed esercito comuni) e marciare verso un assetto federale; oppure rispondere con la logica degli Stati nazionali.
Sarebbe quest’ultima la scelta preferita da Trump, perché gli consentirebbe di “sfogliare la margherita” a suo uso e consumo; in fondo la vecchia logica del “divide et impera”.
In questa situazione, tutti si chiedono quali potranno essere le ricadute nella politica interna italica.
A tale riguardo, di fonte alle elucubrazioni dei maitre a penser, vi confesso che mi viene da ridere.
In primis perché fra la nostra sinistra e quella americana, al di là del nome comune “Partito Democratico”, non c’è nulla di nulla.
Per il semplice motivo che gli Usa non hanno avuto il primo Partito Comunista dell’Occidente, che nel dopoguerra ha conquistato quasi tutti i gangli della cultura italica (sarà un caso che tutti i grandi intellettuali abbiano avuto un passato comunista, anche se poi magari abiurato?).
Oltre tutto la sinistra comunista italiana non ha avuto una sua Bad Godesberg; non c’è stato alcun riconoscimento ufficiale degli errori e degli orrori del “Comunismo reale”, tanto è vero che sia pur piccole formazioni “comuniste” si presentano ancora alle elezioni.
Li immaginate Scholz o Sanchez o Starmer partecipare sabato scorso di persona alla manifestazione degli antagonisti dei Centri sociali a Bologna contro Casa Pound?
Penso di no; eppure Elly Schlein al presidio Anpi davanti alla Stazione c’era (Ansa). Va da sé che un leader con ambizioni di governo non dovrebbe mescolarsi mai in alcun modo con estremisti, per il semplice motivo che il cittadino comune non fa differenza fra i neofascisti violenti di Casapound e gli antagonisti violenti dei Centri sociali.
A meno di improbabili “conversioni sulla via di Damasco”, credo che la politica del Pd non subirà sostanziali cambiamenti, e ciò nonostante le elezioni americane qualche indicazione utile anche da noi l’abbiano fornita.
Vediamo quali.
La prima che nelle elezioni non conta la realtà, ma quello che percepiscono gli elettori. E lo dimostra il fatto che al cittadino americano non è importato nulla che i “numeri” macroeconomici degli Usa con Biden fossero positivi; e ha valutato che il prezzo del caffè e dell’hamburger fossero cresciuti troppo, per cui ha preferito Trump e le sue rodomontate.
Altra bubola su cui non mi stancherò mai di battere. La sinistra e le anime belle pensano che gli immigrati, per il semplice fatto di essere stati accolti, siano politicamente allineati con i fautori delle “porte aperte”.
Roba da capottarsi; perché un musulmano di Kabul trapiantato in Europa non diventa di per sé un progressista. Continuerà a considerare la donna un soggetto inferiore, poco più che un animale. E se gli ispanici ed i neri d’America hanno votato Repubblicano e non Kamala Harris è perchégli immigrati non sono particolarmente solidali con quelli che oggi stanno intraprendendo la stessa strada dei loro padri o dei loro nonni, o di loro stessi. Anzi, temono che il disordine portato dagli “irregolari” intacchi la “rispettabilità” sempre fragile di cui essi godono, perché comunque, anche se regolari, continuano a essere vittima di razzismo.
Paradossalmente Elly Schlein e la galassia “progressista” stanno favorendo l’ingresso in Italia di potenziali elettori della Meloni!
Altro fattore su cui riflettere; quello che la demonizzazione dell’avversario serve a poco.
E così gli insulti di tutti i tipi che la Harris ha indirizzato su Trump non sono serviti a nulla ai fine del risultato finale, come servono a poco i richiami al “fascismo” rinascente continuamente rilanciati dalla Schlein.
Qualche riflessione a sinistra meriterebbe a mio avviso anche la questione dei diritti, declinati quasi sempre con il termine “inclusione”; che è sicuramente una bella cosa fino a quando non si trasforma, come nella scuola ed in altri settori della società, in esclusione del sapere e del merito.
Il problema di Schlein in realtà non è l’essere l’ultima rappresentante della sinistra al caviale, ma caso mai quello di inseguire il popolo anziché guidarlo (questa è la vera malattia della sinistra italiana), di non voler mai dire certe cose che sono vere ma, appunto, impopolari per la gente che vota Pd, tipo che la sicurezza non è di destra, o che bisognerebbe tutti lavorare con più qualità oltre che essere pagati meglio.
Potrei continuare ad elencare gli errori che la sinistra italica continua a commettere, quasi masochisticamente, ma lo spazio è tiranno, per cui magari ci tornerò più avanti.
Ma non posso chiudere omettendo di sottolineare che l’Happy Ending, il Lieto Fine”, esiste solo nelle favole, nei romanzi d’appendice e nei film strappalacrime.
Nella realtà politica, in democrazia, spesso a vincere non è il più buono o il migliore.
L’esempio più classico è quello evangelico, quando Ponzio Pilato in un impeto di democrazia pose al popolo la fatal domanda: Volete Barabba o Gesù?
La risposta la conoscete.
Umberto Baldo