Germania: da primi a ultimi nella Ue
Continuando i ragionamenti sviluppati ieri, non si può non partire dalla constatazione che oggi la Germania è di nuovo considerata il «malato d’Europa», come accadde alla fine degli anni Novanta.
Tuttavia, come vi ho accennato, è importante riconoscere che i problemi del Paese non sono sorti da un giorno all’altro, ma affondano le radici ben prima dell’attuale governo «semaforo» (così soprannominato per i colori – rosso, giallo e verde, dei tre partiti che lo compongono) e hanno un nome: Angela Merkel.
Che si tratti dell’abbandono dell’energia nucleare (impiegabile la scelta di uscire dal nucleare, dopo il trauma di Fukushima, chiudendo ben 23 centrali, con la conseguenza di dover continuare a utilizzare il tossico carbone, proprio nel Paese dell’ideologismo verde), del divieto dei motori a combustione, del fallimento della politica migratoria, del degrado delle infrastrutture e di un esercito in grado di difendere la Germania solo per pochi giorni, tutti questi problemi hanno avuto inizio sotto il mandato della Merkel, e non con il governo Scholz.
Questa presa d’atto che il modello produttivo di Berlino è incentrato su un mondo che non esiste più, è comunque fine a se stessa, e potrà interessare un domani gli storici, perché anche se i tedeschi mandassero al rogo Angela Merkel come una novella Giovanna d’Arco, le cose non cambierebbero, ed i problemi da affrontare rimarrebbero gli stessi.
La verità è che i tedeschi dovranno giocoforza prendere atto che quella attuale non è solo una crisi di governo, una crisi industriale, una crisi di identità, bensì una vera crisi di sistema.
Stanno venendo al pettine le bugie propinate per decenni agli elettori da una classe politica interessata solo alla difesa dello status quo, nella convinzione che ciò avrebbe sempre e comunque avvantaggiato gli interessi nazionali tedeschi.
La politica della Merkel ha fatto sì che il gas di Putin abbia funzionato come una “droga”, che ha tranquillizzato gli animi, perché tutti si sentivano amanti della pace, e ha arricchito le tasche dei tedeschi grazie alle esportazioni sostenute da una energia pagata a basso prezzo. Tanto per essere più chiaro, non va dimenticato che la Merkel diede il via libera alla costruzione del North Stream 2, quando di fatto le truppe russe erano già alla frontiera ucraina.
Non sono il solo a pensare che la crisi della Germania sia più profonda di quanto crediamo.
Perché a ben vedere sta venendo giù un modello, e la nuova geopolitica mondiale, unita alle incognite dell’entrante presidenza Trump, imporrebbero ai tedeschi di reinventarsi, e di ripensare il proprio ruolo in Europa e nel mondo.
E sarà dura per qualunque coalizione vinca le prossime politiche spiegare all’opinione pubblica teutonica che senza una Unione Europea forte, coesa, e dotata di risorse proprie, la competizione con Stati Uniti e Cina è persa in partenza.
E che soprattutto saranno necessarie riforme anche impopolari per tornare a crescere e superare la crisi attuale.
Per quanto riguarda il ruolo della Germania in Europa bisogna partire dal fatto che è finito un ciclo.
L’idea dell’Europa nacque sì nelle menti degli Shuman e degli Spinelli per impedire il ripetersi degli errori che portarono alla seconda guerra mondiale, ma in realtà c’erano anche altri due obiettivi: tenere i tedeschi sotto controllo, perché erano stati la causa delle due guerre mondiali, e tenere i russi (allora sovietici) fuori dalla politica europea.
Adesso la situazione è completamente cambiata.
L’America, e non solo quella “trumpiana”, non sembra essere più interessata a svolgere il ruolo di “lord protettore” dell’Europa.
Saranno in grado gli Europei di prendere in mano il proprio distino?
E’ una domanda da un milione di dollari.
Che però ha già un prima risposta: quella che senza la Germania, o contro la Germania, non si costruisce l’Europa.
Però bisogna vedere se la Germania sarà in grado di contribuire, con un ruolo egemonico o meno lo si vedrà, alla costruzione dell’Europa che verrà.
A questo punto non darei nulla per scontato, perché se è vero che nei lander popolosi e ricchi dell’Ovest, quelli dove c’è il potere vero, quello dei soldi, la Cdu dovrebbe vincere facilmente, è altrettanto vero che che le insidie rappresentate dai nuovi attori politici che si sono affacciati sulla scena, in primis i neonazisti di Alternative Fur Deutschland, ma anche i rosso-bruni di Sarah Wagenknecht ( che gioca in contemporanea su un tavolo rosso, l’occupazione, il welfare, e su un tavolo nero, via gli immigrati e viva Putin) rendono la situazione preoccupante, ed i futuri equilibri possibili assai precari.
Vi sarete accorti che non mi sto concentrando troppo sulle ricadute della crisi tedesca sulla nostra economia.
Non intendo certo minimizzare il problema, che sono conscio avrà effetti non trascurabili sulla nostra economia e su quella del resto d’Europa: la Germania rappresenta pur sempre più di un quarto (28%) dell’intera eurozona in termini di attività economica, ed il suo rallentamento non può non preoccupare le nostre filiere produttive, soprattutto quelle del Nord Est.
Sicuramente avremo fabbriche che vedranno diminuire le commesse tedesche, con tutto ciò che ne deriverà in termini occupazionali, ma i nostri imprenditori hanno sempre saputo reagire in modo intelligente alle crisi produttive e di mercato, innovando e cercando altri sbocchi.
Ciò sembra confermato da un’analisi di Confindustria, secondo cui la correlazione fra l’andamento economico di Italia e Germania è significativamente diminuita nel periodo successivo alla crisi dei debiti sovrani, ovvero nel 2014-2019, mentre è parallelamente cresciuta quella fra la nostra congiuntura e quelle di Francia e Spagna.
Quasi un ventennio fa la correlazione fra Italia e Francia e Italia e Spagna era bassissima (0,20), ma la situazione è profondamente cambiata nel frattempo: oggi l’Italia si muove in buona sincronia sia con la Francia che con la Spagna (con entrambe il rapporto è pari a 0,80).
Questo non vuol certo dire che sarà una passeggiata di salute, e sicuramente certi settori, in primis l’auto-motive, soffriranno, ma bisognerà farsene una ragione, e cercare di variare il nostro modello produttivo individuando altri prodotti ed altri mercati.
Ecco perché a mio avviso le problematiche principali saranno quelle politiche, perché se la Germania non funziona, l’Europa non può funzionare, e di conseguenza la domanda che noi italiani dovremmo porci è se saremo in grado, assieme a tedeschi e francesi, di costruire un nuovo modello di Europa.
Guardate che la situazione è seria, e per la prima volta comincio a dubitare della capacità di noi europei di porci come validi interlocutori delle nuove potenze emergenti.
Ho letto che qualcuno ha detto che l’Europa del futuro potrebbe assomigliare all’Italia del quattro-cinquecento.
Vale a dire il più ricco e belpaese al mondo, con l’arte, l’economia…
Ma che in un secolo è declinato, scomparendo dalla scena politica europea.
Speriamo non sia questo nell’immediato futuro il destino anche dell’ Unione Europea.
Ma storicamente i cicli esistono per le grandi potenze, e chissà……..