25 Novembre 2024 - 9.49

Giornata contro la violenza sulle donne. Serve a qualcosa?

Umberto Baldo

È passato un anno dal ritrovamento del corpo di Giulia Cecchettin. 

Quel giorno l’Italia ebbe un moto di rabbia che si  tradusse in cortei e fiaccolate  al grido di «Mai più». 

Ma cosa è cambiato dopo un anno? 

Quasi nulla. 

Ancora oggi i femminicidi in Italia sono troppi: dal primo gennaio al 20 ottobre  2024 ne sono stati registrati 89; di queste vittime 77 sono state uccise in ambito familiare o affettivo, e di queste 48 hanno trovato la morte per mano del partner o dell’ex partner. 

Dobbiamo purtroppo prendere atto che una vera inversione di tendenza non c’è stata, nonostante la fitta campagna di sensibilizzazione.

Certo sul piano giuridico qualcosa è stato fatto: Il Codice Rosso è stato «rafforzato» con l’arresto dell’aggressore in flagranza differita se ci sono video della violenza, con l’inasprimento delle pene, con l’ammonimento ed il braccialetto elettronico anche in caso di «reati spia». 

Ma c’è un’emergenza su tutte: bisogna stringere i tempi dell’intervento dal giorno in cui una donna si presenta a denunciare la sua storia alle forze dell’ordine, a quello in cui il PM autorizza misure per tutelarla e affrontare l’emergenza.

Di fronte a tutto questo, inevitabilmente ci si pone una domanda: cosa stiamo sbagliando nella lotta per combattere la violenza maschile sulle donne?

Oggi, 25 novembre, è la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, che fu istituita dall’Assemblea Generale della Nazioni Unite nel 1999, scegliendo questa data per ricordare il brutale assassinio delle tre sorelle Aida Patria Mercedes, Maria Argentina Minerva, e Antonia Maria Teresa Mirabal (passate alla storia come las Mariposas – le farfalle) da parte del dittatore  della Repubblica Dominicana Trujillo nel 1960.

Da qualche anno, regolarmente ogni 8 marzo, mi trovo a scrivere che la cosiddetta “Festa della Donna” mi sembra sempre più una giornata in cui, a  parte la retorica della mimosa, ci si limita ad interrogarsi stancamente, e a constatare che, nel mondo, la strada per raggiungere una vera parità uomo-donna è ancora molto lunga.

A maggior ragione, e mi scuso se la cosa potrà offendere qualche sensibilità, trovo assurda questa “Giornata contro la violenza sulla donna”, perché é ridicola, pleonastica e sostanzialmente sbagliata.

Non serve alle donne una giornata del genere per ricordare che non devono essere violentate e maltrattate, e non serve a certi uomini che le violentano e le maltrattano. 

Ma soprattutto non serve a sensibilizzare niente e nessuno: anzi, semmai rischia di ottenere l’effetto contrario, perché ridicolizza il problema, lo rende una carnevalata, una ricorrenza senza senso.

Scusate la franchezza, che comprendo potrebbe anche essere percepita come cinismo, ma ormai ogni giorno è la “festa di qualcosa” o la “ricorrenza di un’altra”, e quindi il rischio è che anche la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne venga banalizzata, assimilata a tante altre.

E poi non sarà qualche panchina dipinta di rosso, qualche invettiva sui social, qualche manifestazione indossando scarpe vermiglie o mostrando le tette, a far cambiare idea al troglodita, all’ignorante violento che picchia la moglie (e spesso anche i figli), e che un giorno l’ammazzerà.

Ecco perché a mio avviso questa giornata non serve certo alla donna che subisce quelle violenze.

Il problema è che, inevitabilmente, si cerca la soluzione nel Codice penale, credendo che l’inasprimento delle pene costituisca un deterrente alla commissione di violenze o femmicidi, quando è ormai chiaro che la soluzione del problema non sta là. 

Anche perché è palese che il femminicidio la maggior parte delle volte si consuma in ambito familiare; quindi protagonista è il coniuge, il convivente, il compagno, ed è ovvio che alla base vi siano ragioni sentimentali legate ad eccessi di gelosia, timori dovuti ad adulterio, ossessioni divampate come conseguenza della fine di una relazione, così come spesso anche motivi economici possono essere la causa scatenante.

Per non dire che la violenza sulle donne è anche e soprattutto psicologica. Più subdola e invisibile. Non meno feroce. Quella fisica non è la forma principale di violenza che centinaia di migliaia di donne subiscono quotidianamente. La violenza striscia tra le mura domestiche, all’interno di relazioni tossiche e sistemi di coppia o familiari, con maltrattanti che non è facile riconoscere. I lividi e le ferite sovente sono solo la parte visibile di una costante e violenta pressione psicologica ed emotiva.

Quindi è evidente che il problema va affrontato a livello di educazione.

E dove si educano le persone?

Principalmente in due ambiti, quello familiare e quello scolastico; perché si può cercare di intervenire nella fase di formazione dell’individuo; dopo sarà sempre troppo tardi.

Ecco perché, secondo me, dovrebbero essere le stesse donne a non volere la ricorrenza del 25 novembre; perché in qualche modo “cristallizza” il problema, mentre  il futuro da costruire deve essere un mondo in cui le donne non siano più costrette a vivere nella paura, ma possano godere di pari dignità e diritti. 

Quindi non si tratta solo di commemorare una data, come fosse la Festa della Mamma o del Papà, ma di trasformare ogni giorno in un’occasione per dire basta alla violenza contro le donne.

E mi sento anche di rivolgere un appello alle ragazze; siate proprio voi a pretendere rispetto e uomini degni di questo nome al vostro fianco. Ed al primo segnale, al primo schiaffo, alla prima minaccia, alla prima pretesa di controllarvi il telefono, alla prima imposizione di non vedere le amiche, alla prima mancata accettazione di un “No”, dovete filarvela, denunciare, chiedere aiuto, qualsiasi costo abbia questa scelta, anche quello di dormire sotto un ponte per quella notte. Perché la vostra vita vale molto di più di un: “non lo farà più, lo perdono”.

Non perdonate, perché lo farà ancora, e probabilmente anche di peggio! 

Quella sarà la vostra vera e unica giornata contro la violenza sulle donne: decidere di chiudere una relazione tossica, e trovare il coraggio di farlo per davvero.

Permettetemi di chiudere, visto che oggi, nonostante i miei dubbi, la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne si celebrerà, andando col pensiero  e spendendo una parola per le donne sepolte dal burka a Kabul, per le ragazze e le donne iraniane malmenate e uccise a Teheran a causa del loro rifiuto di indossare il velo obbligatorio, per  Masha Amini, massacrata di botte dalla “polizia morale iraniana”, per Nika Shakarami, di soli sedici anni, la ragazza che diede fuoco al velo che la segregava e che verrà violentata dagli energumeni di regime prima di essere ammazzata, per Ahou Daryaei, la ragazza “in intimo” la cui icona ha fatto il giro del mondo e che adesso è stata liberata dall’ospedale psichiatrico in cui era stata rinchiusa come “pazza”, per la giovane Saman Abbas uccisa in Italia dalla sua stessa famiglia perché si era permessa di rifiutare il matrimonio combinato, per le vittime dello stupro di massa attuato dai predoni di Hamas sulle donne ebree e arabo-israeliane il 7 ottobre.

Mi permetto di farlo da uomo, perché vedo troppe titubanze, troppi distinguo anche di natura politica, nelle cosiddette femministe occidentali (disegnare Giulia Cecchettin con il pugno chiuso alzato è fuorviante!). 

Il femminismo vero per me non può fare alcun distinguo; in nessun caso ed in nessuna situazione, perché deve mettere sullo stesso piano quel che succede alle donne iraniane come quello che succede alle donne palestinesi, alle donne libanesi, alle donne russe, alle donne sudanesi, a tutte quelle donne che vivono sotto dittature e autocrazie.

Quelle ragazze  hanno qualcosa in più; vogliono le stesse libertà delle nostre donne, vogliono potersi godere il “vento nei capelli”, ma per averle sono disposte a soffrire e a morire.

Jin, Jîyan, Azadî

Umberto Baldo

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