28 Novembre 2024 - 10.07

Unicredit, Banco BPM e l’incomprensibile nazionalismo bancario di Salvini

Umberto Baldo

Forse avrete notato che, nei miei editoriali quotidiani, finora mi sono astenuto dal commentare l’ultima iniziativa di Andrea Orcel; l’Offerta Pubblica di Scambio con Banco BPM.

E probabilmente avrei continuato a non dire nulla se qualche nostro “politicante” non fosse intervenuto a gamba tesa sull’operazione.

Immagino siate lettori attenti delle vicende economiche, per cui non mi dilungo nell’illustrare le ultime due iniziative, piuttosto chiacchierate, di Unicredit: la scalata (mediante regolare acquisto di azioni eh!) della seconda Banca tedesca Commerzbank, e adesso l’Offerta Pubblica di Scambio con Banco BPM.

Quindi cercherò di sviluppare qualche ragionamento “terra terra” per fornire, magari a quelli che hanno qualche dubbio, o sono meno addentro alla materia, qualche precisazione di carattere politico “in senso ampio” per orientarsi nella vicenda.

Partendo dal fatto che UniCredit, la seconda Banca più grande d’Italia dopo Intesa, ha deciso di mettere in cantiere un’operazione con BPM, al fine di dare vita ad un colosso nazionale (e sottolineo nazionale) da 19 milioni di clienti, diventando così la terza Banca europea, e la prima dell’area euro.

In teoria questo dovrebbe essere il sogno proibito di una classe politica nazionalista e sovranista, e non occorre che vi stia a spiegare il perché. 

Invece, anziché ballare sulle note dell’Inno di Mameli, il Vice Premier Matteo Salvini l’ha commentata così: “Unicredit ormai di italiano ha poco e niente: è una banca straniera, a me sta a cuore che realtà come Bpm e Mps che stanno collaborando, soggetti italiani che potrebbero creare il terzo polo italiano, non vengano messe in difficoltà. Non vorrei che qualcuno volesse fermare l’accordo Bpm-Mps per fare un favore ad altri”.

Francamente non so da dove il capitano tragga le sue convinzioni, visto che la sede legale di UniCredit è a Piazza Gae Aulenti, a Milano, e che tra i suoi azionisti più rilevanti ci sono Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, Fondazione Cariverona e la Delfin S.à.r.l.: la holding della famiglia Del Vecchio.

Ma anche a volerlo seguire nel suo “ragionare”, dovrebbe comunque  spiegare perché se Unicredit non è più una “banca italiana”, lo sarebbe invece BPM, che vanta fra i primi azionisti  Credit Agricole (9,18%), BlackRock (5,24%), Norges Bank Investment Management (2,99%),  Davide Leone & Partners Investment Co. Ltd. (2,22%).

Sempre rimanendo sulle generali, credo che anche il più sprovveduto dei cittadini dovrebbe essersi accorto che, in meno di quattro anni, la capitalizzazione in borsa di Unicredit è passata da circa 12,50 a 60 miliardi di euro.

Valeva il 40% di Intesa Sanpaolo, mentre oggi l’ha quasi raggiunta a Piazza Affari. 

Certo, ci sono stati certamente i tassi di interesse in crescita ad avere aiutato un po’ tutte le banche europee a fare utili e a guadagnare valore in borsa. 

Tuttavia, i dati sono inconfutabili: sotto la guida di Andrea Orcel, le azioni Unicredit sono esplose di oltre il 370%, contro una media italiana del 160%. 

E adesso quei soldi Orcel li vuole utilizzare per crescere, e questo è il motivo della ripartenza del risiko bancario, non solo in Italia.

Ma allora perché l’attivismo di Orcel disturba Salvini?

Io credo che i nostri Demostene non si siano ancora resi conto che il mondo è cambiato, ed in qualche modo siano ancora legati alla lunga fase in cui Partiti e Governi  decidevano loro la politica del credito;  siano cioè  nostalgici di quei mercati bancari segmentati in cui la politica dominava le Banche, decidendone i vertici nei Comitati Interministeriali del credito.

A quello schema, in cui i Capi partito piazzavano nei Cda gli “amici degli amici”, che a loro volta finanziavano le aziende degli  “amici degli amici”, era funzionale che le Banche fossero “tante” (Popolari, Casse di Risparmio, Casse Rurali, ecc.) e soprattutto non troppo grandi.

Detta più brutalmente, per me si tratta di rimpianto degli anni in cui i banchieri facevano la fila nelle anticamere dei Ministri.

Badate bene che questo non è un “vezzo” solo italico.  

La vicenda della scalata di Commerzbank, con le barricate del Governo Scholz, e persino quelle che io considero “razziste” del Sindacato tedesco dei bancari (“Non abbiamo bisogno che gli italiani entrino e facciano fallire le banche tedesche tradizionali. Non abbiamo bisogno di un altro disastro come quello che abbiamo visto alla Hypovereinsbank), sono la dimostrazione che il concetto di “mercato bancario europeo aperto”, sganciato dalla politica, è ancora ben lontano dall’essere accettato.

Tornando all’Ops, spero conveniate con me che Andrea Orcel è tutto fuorché uno scemo od uno sprovveduto.  

Il banchiere sa benissimo di aver lanciato un’offerta di scambio sui titoli BPM di valore troppo contenuto per essere accolta. 

Ma l’ha fatta per valutare le contromosse della compagine societaria di BPMe nel contempo assicurarsi la passivity rule, che esclude che fino a giugno 2026 Banco BPM possa essere soggetto attivo o passivo di fusioni.  

Per chiarirci meglio, con l’espressione passivity rule, o “regola della passività”, si intende la norma che mira a salvaguardare la contendibilità delle società quotate, impedendo che gli amministratori attuino “iniziative difensive” per scongiurare offerte e scalate esterne (Direttiva 2004/25/CE sulle offerte pubbliche di acquisto).

Quindi non stupisce che Castagna ed il Cda di BPM abbiano risposto negativamente; e d’altronde basta guardare i bilanci del Gruppo per rendersi conto che BPM ad oggi dovrebbe valere almeno 12 miliardi, e non i 10 dell’attuale offerta UniCredit.

Ma dovranno essere Orcel ed il “mercato”, non Salvini o Giorgetti, a dire l’ultima e definitiva parola.  

E’ evidente che l’ostilità del Capitano e del Ministro dell’Economia derivano dal fatto che si erano spesi nella creazione del “terzo polo bancario”, il cui slogan non sbandierato era “Monte Paschi Siena non deve andare né ai francesi né ai comunisti di Unipol”.

E non l’avevano neanche pensata male, coinvolgendo nell’operazione Castagna e BPM, unitamente ai Gruppi Caltagirone e Del Vecchio (questi ultimi fra l’altro impegnati da anni nella battaglia per il controllo di Mediobanca-Generali, altra partita che sta a cuore a chi governa a Roma).

Indubbiamente Orcel con la sua Ops su BPM ha sparigliato tutto, scompigliando un disegno accarezzato da certa politica, tanto da spingere qualcuno a chiedere al Governo di intervenire con il “golden power”.

Certo, come spesso succede in questa Repubblica di Pulcinella, se non fosse da piangere ci starebbe una risata: perché se ci pensate bene Unicredit per la politica è diventata un ibrido indigeribile; troppo italiana in Germania, e non abbastanza italiana in patria. 

Ma, e con questo chiudo, a questo punto della vicenda credo sia ineludibile questa domanda; dal punto di vista del sistema bancario italico, pensate sia preferibile un’aggregazione vasta, di respiro europeo, magari con il coinvolgimento di Commerzbank, come quella proposta da Orcel ed Unicredit, oppure il terzo-polo “nazional-popolare” che hanno in mente Lor Signori, con la segreta speranza di poterlo in qualche modo condizionare?

Cercate di rispondere con onestà intellettuale!

Umberto Baldo

PS: Fra le  contromosse era scontata la classica lettera dell’Ad ai dipendenti, che c’è stata, e nella quale oltre al proclama “Siamo una grande banca autonoma, italiana, vicina ai territori e alle Pmi, andiamo avanti così”, Castagna paventa ricadute occupazionali per 6.000 lavoratori (tutte da dimostrare a mio avviso, e gestibili come è sempre avvenuto dal sistema bancario con il Fondo per gli esuberi).  Ma il “mamma li turchi!” ci sta, fa parte delle regole del gioco della nostra Italietta.

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