Dalle Banche “leopardiane” ai Grandi Gruppi
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Umberto Baldo
Dato che alcuni di voi mi hanno inviato le loro osservazioni relativamente al mio editoriale dedicato all’ “affaire Unicredit-Banco BPM” (https://www.tviweb.it/unicredit-banco-bpm-e-lincomprensibile-nazionalismo-bancario-di-salvini/), ne deduco che le “tanto odiate Banche” rappresentano ancora un tema che suscita l’interesse di molti.
D’altronde, in un mondo in cui i soldi sotto il materasso non li tiene più nessuno, e chi ha qualche risparmio cerca di investirlo, le Banche inevitabilmente diventano importanti, non solo per il mondo delle imprese il che è scontato, ma anche per il Sior Bepi e la Siora Maria.
Date queste premesse, anche alla luce del risiko che sembra essersi rimesso in moto, cercherò di fare il punto sullo stato del sistema bancario in generale, per poi magari calarci nella realtà italiana.
State tranquilli che non vi tedierò con numeri, dati di bilancio e statistiche, perché il mio vero obiettivo è quello di affrontare il rapporto fra mondo bancario e mondo politico, che a volte sembra tradursi in un dialogo fra sordi.
Partiamo da quella che io scherzosamente definisco una visione “leopardiana”, con uno sportello bancario presente e attivo in ogni paesino, con il direttore-ragioniere nato in loco che conosce tutti, e quindi in grado di supportare le esigenze della comunità e dell’economia locali.
Scherzi a parte, quella era comunque l’Italia delle “mille Banche”, delle Popolari, delle Casse di Risparmio, dei Monti dei Pegni, delle Casse Rurali, e più erano più la classe politica era contenta; perché il legame simbiotico fra i due mondi era tale che alla fin fine erano i capi Partito, nazionali o locali, a designare coloro che dovevano andarsi a sedere nei Cda.
A fare cosa lo si è poi ben capito con le crisi che negli anni ci sono piovute sul groppone, e che abbiamo pagato care; sostanzialmente a foraggiare gli “amici degli amici”, perpetuando il proprio potere grazie appunto agli appoggi del “Potere”.
Abbiamo anche potuto toccare con mano che le regole che l’Europa aveva cercato di far passare, “bail il” in primis, alla prova dei fatti si sono rivelate inapplicabili in una società in cui a poco a poco si è imposta la logica che “i guadagni sono privati ma le perdite sono pubbliche”, per cui siamo arrivati persino a creare gli “esodati delle Banche”, e a rimborsare finanche le azioni; una vera e propria aberrazione visto che si tratta di capitale di rischio, spesso sottoscritto non da nonna Gelsomina, ma da persone che avevano la contezza precisa di quel che compravano.
Per farla breve, tutto questo ha determinato la sparizione delle Banche Popolari, delle Casse di Risparmio, e di molti altri Istituti, con la conseguente nascita di Gruppi di notevoli dimensioni, Intesa ed Unicredit in testa.
I cultori delle cosiddette “banche dei territori” se la sono dovuto mettere via, anche perché la clientela, nonostante i soliti allarmi delle “prefiche” e del Sindacato, non è stata certo abbandonata a se stessa dai Grandi Gruppi che sono subentrati alle Banche “leopardiane”.
Ed a questo punto il discorso inevitabilmente si allarga, perché la dimensione vera cui si deve guardare, e cui si deve tendere, è almeno quella “europea”.
E qui arrivano i dolori.
Perché se l’integrazione economica in alcuni settori (non molti in realtà) si è realizzata, nel settore bancario regna ancora la frammentazione, anche se, a voler essere attenti, gli incroci azionari e le partecipazioni fanno si che in certi casi la nazionalità delle Banche sia un po’ dubbia.
Certo nessuno dubita che il Banco de Santander sia Spagnolo, che BNP Paribas sia francese, che Deutsche Bank sia tedesca, che Unicredit sia italiana (a parte Matteo Salvini).
Ma poiché si tratta di Banche quotate, se si va a vedere la composizione dell’azionariato, qualche dubbio sorge legittimo.
Per cui credo sia necessario fissare il principio che, a meno che non ci sia un socio che detiene oltre il 50% del capitale, la nazionalità di una Banca viene determinata dal luogo in cui c’è la sede sociale ed il quartier generale della Banca stessa.
Passando oltre, meglio facendo un passo avanti, si pone poi il problema della competitività dei nostri Gruppi bancari rispetto al resto del mondo.
In altre parole, le Banche europee sono in grado di competere alla pari con quelle cinesi ed americane?
Qui per forza di cose si deve ricorrere a qualche classifica (https://scenarieconomici.it/quali-sono-le-50-maggiori-banche-mondiali-e-dove-sono-collocate/).
Sono quasi certo che se vi chiedessi di dirmi quali sono le più grandi banche del mondo, la quasi totalità di voi risponderebbe; le banche americane.
Nulla di più sbagliato amici miei!
Se scorrete la classifica S&P Global di cui vi ho allegato il link, scoprirete che le prime 10 Banche del mondo (sulla base dei dati di bilancio) sono le seguenti: Industrial and Commercial Bank of China, China Construction Bank Corp, Agricultural Bank of China, Bank of China, quindi quattro banche cinesi seguite da JPMorgan Chase & Co., Bank of America, Mitsubishi UFJ Financial Group (Japan), HSBC Holdings (Inghilterra), BNP Paribas, Crédit Agricole Group.
Tanto per avere un’idea, Intesa è trentacinquesima e Unicredit trentottesima.
Il posizionamento delle “europee” peggiora ulteriormente se prendiamo invece come parametro la capitalizzazione di Borsa.
Nel bene e nel male, piaccia o non piaccia ai nostalgici alla Salvini, le Banche hanno cambiato pelle, nel senso che non sono più quelle che raccoglievano i soldi dei risparmiatori nel territorio di insediamento, per poi impiegarlo nel finanziamento di imprese conosciute ed affidabili dello stesso territorio.
Pensate un po’ ai vostri investimenti. Sempre più risparmiatori affidano il proprio denaro a Fondi di investimento, slegati dal territorio, ai quali si rivolgono le grandi aziende per ottenere finanziamenti, senza passare per le Banche.
Da noi questo processo è ancora in atto, ma state tranquilli che quella è la tendenza.
Mi auguro siate consci che per stare in partita con questi nuovi soggetti economico-bancari la dimensione conta, eccome se conta!
E lo hanno ben capito anche i “compagni cinesi”, che a parole saranno ancora comunisti, ma che quando si tratta di Banche sanno bene che più sono grandi più sono funzionali ad una moderna economia in crescita.
Per questo la Bce da anni sta spingendo per le fusioni fra Banche, a livello nazionale ed anche trans-frontaliero.
In due parole: per competere servono Banche pan-europee.
Se un concetto del genere è chiaro a me, che conto come il due di coppe quando vale a bastoni, possibile che i Governi nazionali (non solo quello italiano eh!) continuino a frapporre ostacoli alla crescita del dimensionamento delle Banche?
Guardate che non sono un ingenuo, e so bene che nelle popolazioni europee sta crescendo una retorica nazionalista, spesso anti-europeista.
Come capisco che per i nostri politicanti (definirli politici o statisti la considererei una bestemmia) sia più facile, più comodo, e più pagante elettoralmente assecondare queste tendenze “protezionistiche”.
Ma il “piccolo mondo antico”, che sembra ispirare i nostri Demostene, porta in prospettiva alla perdita di competitività del sistema finanziario europeo, con il rischio di diventare marginale rispetto ai colossi bancari delle nuove Grandi Potenze.
In altre parole, siamo tutti consci che una nuova geopolitica sta ridisegnando il mondo del futuro, ma noi stiamo a discutere ed accapigliarci per il “terzo polo bancario italico”!
Ma di questo parleremo domani.
Umberto Baldo