Il Green Deal va rivisto. La UE la smetta di spararsi sui piedi
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Umberto Baldo
Io trovo addirittura grottesco vedere Elly Schlein, ovviamente in pseudo eskimo verde, davanti alle fabbriche della filiera dell’Automotive, intrattenersi con gli operai “licenziati” da Stellantis con slogan del tipo: “Chiediamo che il governo si assuma le sue responsabilità togliendo quell’inutile e dannoso taglio ai 4,6 miliardi di fondi per l’auto, chiedo al governo italiano di battersi insieme a noi perun fondo europeo sull’automotive che ne ha bisogno, altrimenti rischiamo di avere lo smantellamento di una filiera strategica in Italia e in tutta Europa”.
Peccato che qualcuno di quei lavoratori non abbia posto alla “Segretaria dei Centri sociali” questa semplice domandina: “Come, scusi? Ma Lei è o no la Segretaria di quel partito che a Bruxelles ha votato qualsiasi stupidaggine green? Lei ha o meno intenzione di rivedere lo stop alle auto a benzina e diesel a partire dal 2035, cercando di fermare il pericoloso progetto della Vice-Presidente talabano-spagnola Teresa Ribera , che tra dieci anni vuole mettere in soffitta milioni di auto a combustione e anche milioni di posti di lavoro? Lei, che è si genuflessa a tutte le cretinate con l’etichetta “verde”, tanto da continuare a credere che il futuro sia rappresentato dalle auto elettriche, senza tenere conto che il mercato è fermo, e che gli italiani hanno poco interesse nei confronti dei veicoli alla spina, se non con incentivi così favorevoli da rendere l’acquisto un super affare.
Peccato veramente che gli italiani, e purtroppo anche i lavoratori, che adesso stanno cominciando a pagare il Green Deal con i licenziamenti, non abbiano il coraggio di chiedere conto delle loro azioni a quelle forze politiche che in Europa hanno tenuto nei confronti del problema climatico un approccio “puramente ideologico”.
In estrema sintesi, davanti a quelle fabbriche in difficoltà, credo stia diventando palese una contraddizione, che diventerà sempre più “Il dilemma della sinistra”: da un lato, difendere i lavoratori espulsi dalle fabbriche che non possono produrre auto a combustione termica per non essere multate dalla Commissione Europea; dall’altro, non sconfessare l’ideologia ambientalista che ha determinato questo disastro.
OraElly Schlein ha deciso di provare a tornare popolare tra i lavoratori, incontrando gli operai di Transnova che hanno ricevuto la lettera di licenziamento di Stellantis (ora revocata per un anno). Certo tutto è valido per tentare di guadagnare elettori, per carità, ma la Schlein ha forse dimenticato di aver ignorato i reiterati allarmi sull’Automotive per occuparsi dei diritti dei gay, degli immigrati, e soprattutto della religione green?
Perché il problema coinvolge più le sinistre europee rispetto alle forze di destra?
Chi mi legge sa bene che ideologicamente non ho nulla a che spartire con Giorgia Meloni e le sue idee, ma da liberale devo riconoscere che fin dall’inizio la premier si è posta come una sorta di paladina alla guida del fronte anti Green Deal.
Definendo “ideologico” l’approccio verso la transizione verde, e criticando principalmente la decarbonizzazione che chiama “forzata”, perché avverrebbe a spese della capacità produttiva e della competitività dell’Europa.
“Inseguire la decarbonizzazione al prezzo della deindustrializzazione è semplicemente un suicidio, ed è una strada che noi non intendiamo seguire”, ha ribadito più volte.
Guardate, non sono qui per dare i voti ai Partiti, e neppure per negare i vantaggi che in prospettiva può dare l’elettrico.
Io mi limito a rilevare le incongruenze di una “Politica” che “non ha mai torto”, che “insegue illusioni e racconta bugie spacciandole per verità rivelate”, ma soprattutto che di fronte a certe evidenze si limita alle proteste, agli slogan, ai proclami, quando sarebbe più opportuno impegnarsi nelle sedi opportune per cambiare le cose.
Le contraddizioni delle sinistre (anche sindacali) sul Green Deal non sono altro che il riflesso delle sfide che derivano dalla necessità di coniugare gli obiettivi ecologici con le esigenze economiche e sociali. La tensione tra giustizia sociale e sostenibilità ambientale è una delle principali difficoltà, con posizioni politiche che variano tra il sostegno all’innovazione tecnologica, e la richiesta di un cambiamento più meditato e più sobrio.
Inoltre, la necessità di rendere la transizione ecologica inclusiva e giusta a livello globale aggiunge ulteriori complessità.
Badate bene che non ce l’ho solo con la Schlein, perché altri leader non sono da meno.
Ad esempio mentre continuano gli scioperi fuori dai cancelli delle fabbriche della Volkswagen, il cancelliere tedesco Olaf Scholz se la prende con quest’ultima e si dice contrario all’ipotesi della chiusura degli stabilimenti, ricordando che il più grande costruttore europeo di automobili ha delle “responsabilità nei confronti dei suoi dipendenti”, ed affermando che le colpe della crisi attuale sono ascrivili al management.
Al management?
Forse mi è sfuggito qualcosa, ma non mi pare che i manager delle grandi aziende automobilistiche votino al Parlamento Ue, o facciano parte della Commissione”.
E’ colpa dei dirigenti se il costo orario di un operaio in Germania è di circa 60 euro (47 in Francia, 33 in Italia, e 29 in Spagna) mentre il costo dell’operaio cinese è fra 8 e 10 euro?
Ma tu che sei il Cancelliere della prima economia europea, che vanta fra i marchi più prestigiosi al mondo, non conti proprio niente in sede Ue? Proprio non puoi dire nulla alla tua conterranea Ursula Von der Leyen?
Andiamo, almeno siamo seri.
Si usa dire che “solo i cretini non cambiano mai idea!”
Bene, ma allora come si fa a continuare ad insistere caparbiamente nell’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica e costruire un’Europa alimentata al 100% da energie rinnovabili entro il 2040, costi quel che costi?
La crisi del settore dell’auto, messa in difficoltà dall’accelerazione verso l’elettrico, è solo uno dei motivi per cui il Green Deal è sotto attacco.
In generale, a me pare sia l’intera linea del pacchetto ad essere ormai messa in discussione da più parti, e spesso di là di ogni ideologia o schieramento politico.
Volete un esempio che forse più eclatante non si può?
Immagino conosciate Nature, una delle più antiche (nata nel 1869) e importanti riviste scientifiche esistenti, forse in assoluto quella considerata di maggior prestigio nell’ambito della comunità scientifica internazionale insieme a Science.
Ebbene la rivista Natureha pubblicato il 3 dicembre un articolo dal titolo piuttosto significativo: “Perché l’UE deve reimpostare il suo Green Deal, altrimenti rimarrà indietro” (https://www.nature.com/articles/d41586-024-03918-w).
In questo articolo si dice a chiare lettere che “il mondo è cambiato da quando è stato progettato l’ambizioso pacchetto climatico europeo“, motivo per cui questo accordo dovrebbe “evolversi”. Quell’accordo risale alla fine del 2019, quando l’Unione Europea ha messo in mostra la sua ambizione di essere leader mondiale nella lotta contro il cambiamento climatico, mirando a raggiungere lo “zero netto” nelle emissioni di gas serra entro il 2050.
Scrive ancora Nature che l’Ue deve mantenersi ambiziosa sul clima, ma al contempo ha il dovere di riallineare le sue politiche al rinnovato scenario geopolitico internazionale.
“La marcia verso le emissioni nette zero sarà guidata dalla corsa alla tecnologia, non da tasse nazionali, regolamenti o vincoli di carbonio sul commercio transfrontaliero e sulle importazioni”, si legge nel pezzo.
In conclusione, io credo sia evidente che il Green Deal debba essere rivisto, e forse ripensato anche al fine di ricomprendere l’energia nucleare come un fattore chiave per la decarbonizzazione, cercando di ridurre al minimo icosti sociali, evitando di imporre vincoli che producano piccoli benefici, mentre impongono grandi costi a segmenti importanti della popolazione,
In due parole sarebbe necessario non incaponirsi sul mitico 2035, e posticipare le scadenze di almeno un decennio per ciò che attiene gli standard su riscaldamento, trasporti e ripristino del territorio.
Insomma bisogna prendere atto che il mondo è cambiato da quando il Green deal è stato concepito, e che si deve fare ogni possibile tentativo per arrivare ad un nuovo piano, che sia capace di tutelare al contempo ambiente e posti di lavoro.
Diversamente, senza una vera inversione di tendenza, sai quante visite, sai quanti presidi davanti alle fabbriche dovrà visitare Elly Schlein per andare a trovare tutti i lavoratori licenziati a causa delle posizioni integraliste in nome della crisi climatica.
In fondo cosa si chiede ai nostri Demostene se non di perseguire un ambientalismo meno ideologico e più responsabile?
Umberto Baldo