Giornata Nazionale dei Dialetti: tra chi parla veneto solo il 51% lo usa con amici
Fra chi parla il tirolese, il 91% utilizza questo dialetto anche con gli amici, percentuale che scende al 52% nel caso del veneto e al 29% e 22% per i dialetti lombardi e piemontesi. È quanto emerge da un’indagine presentata nell’ambito del progetto di ricerca AlpiLinK in occasione della giornata nazionale del dialetto e delle lingue locali, istituita per il 17 gennaio da Unpli – Unione nazionale delle Pro Loco, per sensibilizzare istituzioni e comunità locali.
Il team di ricerca di AlpiLinK – iniziativa che vede come capofila l’Università di Verona, coinvolge gli atenei di Bolzano, Trento, Torino, Valle d’Aosta, ed è riconosciuta dal Ministero come progetto di rilevante interesse nazionale – ha esaminato i dati raccolti da 1030 parlanti lingue minoritarie di 505 località diverse: si tratta dei cittadini che nel periodo luglio 2023-luglio 2024 hanno inviato i loro contributi audio partecipando alla raccolta dati in crowdsourcing per la costruzione della più grande audiomappa digitale dedicata ai dialetti del Nord Italia.
I dati della ricerca
Se altre indagini specifiche – come ad esempio l’indagine realizzata nell’ambito del progetto ClaM 2021 dell’Università di Trento su cimbro ladino, e mocheno o quella dell’istituto statistico della Provincia autonoma di Bolzano – negli anni scorsi avevano già rilevato i dati relativi all’utilizzo di specifiche varietà, il rapporto di AlpiLinK offre per la prima volta la possibilità di confrontare dati sull’uso dei dialetti e delle lingue minoritarie in tutta l’italia settentrionale.
Ai partecipanti al progetto è stato proposto un breve questionario volto a indagare le loro competenze linguistiche e la frequenza d’uso dei dialetti. Il tirolese risulta molto parlato sia con gli amici sia in famiglia – dall’88% dei rispondenti in questo secondo caso – così come il friulano – utilizzato spesso in famiglia dal 71% dei parlanti e con gli amici dal 74% del campione. Non molto diversi i numeri dei ladini con il 78% che parla di frequente la lingua in famiglia e il 70% nelle relazioni con gli amici.
Per quanto riguarda il veneto invece la quota di chi dichiara di parlarlo frequentemente in famiglia, 66%, è di 15 punti percentuali superiore rispetto a chi lo parla nel contesto amicale. Appena un parlante lombardo su 3 – il 34% – impiega spesso il dialetto con i propri congiunti. Anche nel caso del trentino, come per il dialetto veneto, il gap fra l’uso frequente in famiglia – 69% – e l’uso in contesti esterni – 55% – è molto marcato, con un distacco di 14 punti percentuali, simile a quello registrato per il francoprovenzale, con il 73% dei parlanti che lo usa spesso in famiglia e il 60% con gli amici.
I dati sulla frequenza di utilizzo si riflettono anche nell’autovalutazione della propria competenza, con i parlanti del tirolese che nell’84% dei casi si dicono molto sicuri del loro livello di conoscenza del dialetto a fronte del 63% nel caso del trentino, del 61% fra chi parla il veneto, del 55% per il dialetto piemontese e del 43% per il lombardo. Da annotare anche le differenze relative all’età media dei parlanti che hanno partecipato alla ricerca: i 13 parlanti walser – un insieme di varietà alemanne diffuse in una manciata di comunità montane piemontesi e valdostane – hanno un’età media di 74 anni, mentre i parlanti più giovani sono i veneti – 44 anni.
I dati del report sono disponibili a questo link sul sito del progetto.
Le lingue minoritarie come patrimonio culturale
«La Giornata nazionale del dialetto e delle lingue minoritarie – spiega Stefan Rabanus, coordinatore del progetto AlpiLinK e professore di linguistica tedesca all’Università di Verona – rappresenta un’occasione preziosa per ricordare che dialetti e lingue minoritarie costituiscono un aspetto importante del patrimonio culturale: rispecchiano infatti l’identità storico-culturale di un territorio e, da parte di chi li usa, esprimono un senso di appartenenza alla comunità». Accanto a questo aspetto, c’è un secondo aspetto forse meno noto: «La padronanza di un dialetto o una lingua minoritaria accanto alla lingua nazionale – continua Rabanus – costituisce un bilinguismo che porta gli stessi benefici cognitivi della padronanza di una lingua straniera. Studi recenti realizzati attraverso la MRI – Magnetic Resonance Imaging sono riusciti a dimostrare che lo spessore della sezione della corteccia cerebrale del giro frontale superiore, coinvolta in funzioni cognitive complesse come il linguaggio, è correlato anche al livello di competenza dialettale. Ecco che chi parla fin dall’infanzia due lingue – siano esse idiomi ufficiali o lingue minoritarie – è dotato di maggior flessibilità cognitiva ed è ad esempio più predisposto all’apprendimento di una nuova lingua. Non solo: studi medici confermano che il bilinguismo può rallentare di alcuni anni lo sviluppo dei sintomi dell’Alzheimer».
L’invito a contribuire al progetto attraverso il sito alpilink.it è aperto. Tutte le persone che parlano un dialetto possono infatti partecipare direttamente alla ricerca compilando l’audio-sondaggio dedicato.