Groenlandia: l’ oggetto del desiderio
Come vi ho detto ieri, questa è l’ultima puntata di una sorta di “trilogia” dedicata alle acque ed alle terre che si trovano nelle vicinanze del Polo Nord.
Oggi infatti ritorniamo sulla Groenlandia, che Trump ha di recente rivendicato per gli Stati Uniti, nonostante non sia una “terra di nessuno”, essendo legata alla Danimarca da oltre due secoli.
Nel 1953 da semplice colonia l’isola diventa una provincia danese, divisa in 18 comuni. Qualche anno dopo, nel 1979, la stessa Groenlandia ottiene nuove forme di autonomia dalla Danimarca. Una autonomia che la spinge a indire un referendum sulla sua futura permanenza nell’Unione europea. Il 23 febbraio del 1982 il 53% degli abitanti si esprime a favore del ritiro dalla Comunità Economica Europea, come si chiamava allora la Ue. Il ritiro entrò in vigore nel 1985.
Si tratta dell’isola più grande al mondo (12° Stato al mondo per estensione), collocata all’estremo nord dell’Oceano Atlantico tra il Canada a sud ovest, l’Islanda a sud est ed il Mar glaciale Artico a nord.
Sulle carte geografiche appare forse più estesa di quello che è in realtà (ciò dipende dalla proiezione di Mercatore che la fa sembrare grande quanto l’Africa), ma si estende comunque per la considerevole superficie di 2.166.086 chilometri quadrati, abitati da circa 57mila abitanti.
Culturalmente europea, geograficamente americana, basta guardare la carta per capire quale sia il suo valore strategico nel nuovo grande gioco che si sta aprendo nell’area dell’Artico.
Tornando alle dichiarate mire del neo Presidente Usa, c’è da rilevare che non sono nuove per lui.
Nella seconda metà di agosto del 2019, alla fine delle vacanze estive, l’allora Presidente Donald Trump, parlando alla stampa solleva una questione che cattura l’attenzione dei media americani ed europei nei giorni successivi: «Si tratta essenzialmente di un grande affare immobiliare – spiegò Trump – Noi potremmo farci molte cose. Sta danneggiando gravemente la Danimarca, che perde quasi 700 milioni di dollari all’anno per mantenerla, e strategicamente per gli Stati Uniti sarebbe conveniente. Siamo un grande alleato della Danimarca, aiutiamo la Danimarca, proteggiamo la Danimarca e continueremo a farlo”.
Inutile dire che l’affare immobiliare era la Groenlandia.
Va ricordato che gli Stati Uniti hanno interessi per la Groenlandia per ragioni storiche, dato che l’esercito americano la occupò nel 1941 per difenderla – e difendersi – da una possibile invasione tedesca, dopo che la Danimarca era capitolata sotto i colpi delle armi naziste.
Durante il protettorato americano, che durò fino al termine della Seconda guerra mondiale, la Us Air Force vi costruì diverse basi militari, una della quali è ancora attiva, la Thule Air Base, ora denominata Pituffik Space Base, a soli 1.200 chilometri dal Circolo polare, dedicata soprattutto alla sorveglianza (200 militari Usa presenti, e 450 alleati).
E non è la prima volta che gli Usa provano a comprare la Groenlandia. Ci aveva già provato Harry Truman nel 1946, all’inizio della guerra fredda, offrendo 100 milioni di dollari in lingotti d’oro al governo di Copenaghen.
Credo sia inutile che vi ripeta le regioni che rendono quest’isola a cavallo di tre continenti (quello nord americano, a cui geograficamente appartiene; quello europeo da cui dipende politicamente, essendo un territorio autonomo danese; e infine quello asiatico, con gran parte della costa nord orientale che affaccia sull’Oceano Artico, proprio di fronte alla Russia) l’oggetto del desiderio delle grandi potenze.
Le quali hanno però approcci diversi.
L’Unione europea è, tra le grandi potenze, quella che più sta spingendo per accelerare un processo di collaborazione economica con la Groenlandia, e di recente, nel novembre 2023, Bruxelles ha firmato un accordo di collaborazione con la Groenlandia, rivolto soprattutto allo sfruttamento delle immense ricchezze naturali custodite nel sottosuolo dell’isola (soprattutto terre rare).
Alla Cina non interessa tanto aprire nuovi siti minerari in Groenlandia, quanto che non siano altre Nazioni a farlo.
Secondo i dati pubblicati nel 2022 dal Governo canadese, la Cina è infatti di gran lunga il maggior produttore mondiale di terre rare, rappresentando a livello globale il 70% dell’estrazione e l’87% del raffinamento. Insomma, si può dire che detenga il monopolio di fatto di queste preziose risorse, ed è quindi comprensibile che non sia favorevole a perderlo.
Quello che interessa veramente a Pechino sono le nuove rotte commerciali che si stanno aprendo con lo scioglimento dei ghiacci. Quando la rotta Artica diventerà una realtà praticabile per le navi mercantili cinesi, e tutto fa pensare molto presto, si renderanno ovviamente necessarie delle infrastrutture marittime oggi inesistenti. Ecco quindi che la Groenlandia, insieme all’Islanda, ritornano centrali anche in questa partita.
La Russia, forte del controllo del 53% di tutto il territorio costiero artico, si sente da sempre padrona di casa nella regione, tanto da aver piantato, nel 2007, la propria bandiera sul fondale marino del Polo Nord, a 4.300 metri di profondità. Atto simbolico, ma anche sostanziale: il Cremlino ne ha rivendicato il controllo alle Nazioni Unite nel 2015, poi la richiesta è stata ampliata fino alle zone economiche esclusive del Canada e della Groenlandia nel 2021.
Gli Stati Uniti, pur non disdegnando le ricchezze del sottosuolo, che nel caso delle terre rare li renderebbe meno dipendenti da Pechino, hanno per le Groenlandia un interesse principalmente strategico.
In altre parole per gli Usa il problema vero sta proprio nell’interesse cinese e russo per il territorio groenlandese.
E la Danimarca che dice?
E cosa vogliono i 57mila abitanti delle Groenlandia?
Al riguardo va sottolineato che gli Inuit groenlandesi sono tra i pochissimi popoli nativi a mantenere ancora il controllo del proprio territorio, a non essere cioè una minoranza ghettizzata o rinchiusa in riserve e territori speciali, come avviene negli Stati Uniti, in Cina ed in Russia.
La Danimarca ha più che altro un controllo formale sulla Groenlandia, che è già autonoma, e che probabilmente fra qualche mese deciderà con nuove elezioni l’indipendenza definitiva.
Da notare che di recente la Monarchia danese ha cambiato lo stemma reale.
Per 500 anni i vessilli raffiguravano tre corone, simbolo dell’Unione di Kalmar tra Danimarca, Norvegia e Svezia, guidata dalla Danimarca tra il 1397 e il 1523. Ora le tre corone sono state rimosse e sostituite con un orso polare ed un ariete, che simboleggiano rispettivamente la Groenlandia e le Isole Faroe.
Ma la Danimarca è da sempre un alleato stretto degli Usa, ed il sito Axios ha riferito che il Governo danese avrebbe inviato messaggi riservati al team di Trump, esprimendo la volontà di discutere il rafforzamento della sicurezza in Groenlandia, magari con l’aumento della presenza militare statunitense sull’isola.
In ogni caso, il Governo danese ha chiarito che la Groenlandia non è in vendita, e mai lo sarà; anche se, in attesa di sapere se entro aprile come ipotizzato dal primo ministro groenlandese Múte Egede, verrà indetto un referendum sull’indipendenza, le diplomazie di USA, Groenlandia e Danimarca sono al lavoro per tessere il nuovo intreccio di relazioni.
Quanto ai veri diretti interessati, chi sull’isola ci vive, credo si stiano rendendo conto quale gioco geo-politico si stia aprendo davanti a loro, e non stupisce che il primo ministro groenlandese Múte B. Egede abbia voluto rimarcare il diritto alla propria autonomia ricordando “indirettamente” a Trump che «la Groenlandia è dei groenlandesi»; ma un altro ministro del governo artico non ha invece nascosto l’effetto «rassicurante» di avere più forze di difesa sull’isola.
In altre parole credo sia chiara a tutti gli oltre 56mila groenlandesi la necessità di poter contare su un forte garante esterno che li garantisca.
Di quale potenza si possa trattare, sarà tutto da vedere, con la speranza che tutto si possa svolgere pacificamente.
La domanda principale è se Trump si accontenterebbe di concludere un accordo con la Danimarca, o con un eventuale Stato indipendente groenlandese, oppure se la sua missione sia quella di diventare il primo Presidente in 80 anni a conquistare un nuovo territorio per gli Stati Uniti.