È suonata la campana per l’Europa: o cambia o sparisce
Umberto Baldo
Di solito non uso appuntarmi titoli di editoriali, ma questo del 6 gennaio scorso sul Wall Street Journal mi colpì in modo particolare: “Nations prepare for a Post-European World”.
E mi è tornato alla mente guardando alle reazioni di noi europei all’irrompere di Donald Trump sulla scena politica, al suo discorso di insediamento, all’annuncio dell’inizio della “golden age”, ed ai suoi primi “ordini esecutivi”.
Prima di tutto credo sia importante spiegare che gli “Ordini esecutivi” del Presidente degli Usa, che è il Capo assoluto dell’Esecutivo, non sono come i Decreti Legge italiani, destinati a decadere se non convertiti in legge dal Parlamento entro 60 giorni. Si tratta di atti “cogenti”, che non possono essere annullati dalle Camere, che valgono come leggi, a meno che non intervengano su materie di livello Costituzionale.
Fra quelli che ho letto, e che avrete letto anche voi, l’unico che cozza palesemente contro un emendamento, il n. 14, della Costituzione degli Stati Uniti è quello relativo alla ius soli, per cui è garantito uno scontro fra Stati, Corti locali e Corti federali, fino ad arrivare alla Corte Suprema.
Guardate, non aspettatevi in queste righe una elevata e forbita analisi politologica del trumpismo e dei suoi effetti sulle politiche mondiali ed europee.
Da mero osservatore, da cittadino che osserva i fatti del mondo, mi limiterò a trasmettervi qualche impressione sulla realtà che noi europei stiamo vivendo.
Partendo da una domanda: possibile che i leader della vecchia Europa non avessero messo in conto il ciclone che Trump avrebbe scatenato fin dal primo giorno del suo insediamento?
Io, che non sono nessuno, sono anni che nelle mie riflessioni quotidiane segnalo che se l’Europa non avesse cambiato passo sarebbe finita ai margini della geopolitica mondiale.
Possibile, ripeto, che i nostri Capi di Stato e di Governo non lo abbiamo considerato per tempo?
Ma di cosa si sono occupati in questi quattro anni in cui Trump si dedicava anima e corpo al suo rientro?
Non hanno mai trovato il tempo di leggere le sue affermazioni, le sue farneticazioni anche, i suoi programmi, in questi anni?
Non hanno seguito passo passo la sua campagna elettorale, i suoi comizi, la sua marcia trionfale verso la “ripresa della Casa Bianca”?
Evidentemente no, tutti convinti forse che il primo mandato di Trump fosse il classico “accidente della storia”, e quindi irripetibile.
Eppure era stato detto tutto, era stato scritto tutto, durante i lunghi mesi del 2024 in cui il Tycoon girava in lungo ed in largo l’America.
Che avrebbe abbandonato l’Accordo sul Clima lo aveva detto!
Che avrebbe lasciato l’Organizzazione Mondiale della Sanità l’aveva detto!
Che avrebbe dato il via ad un programma di rimpatrio forzato (non fatevi fuorviare dal termine inglese deportation, che in Europa richiama altri fatti più terribili) dei migranti senza permesso di soggiorno l’aveva detto!
Che avrebbe decretato lo stato di emergenza nazionale al confine messicano lo aveva detto!
Che avrebbe tolto ogni limite alle trivellazioni, anche nelle aree protette, lo aveva detto!
Che avrebbe tolto ogni agevolazione alla diffusione delle auto elettriche lo aveva detto!
Che avrebbe combattuto la cultura woke e gender lo aveva detto!
Che avrebbe depennato l’ordine esecutivo di Biden che cercava di avvicinare gli Usa a una politica della Intelligenza Artificiale rispettosa dei diritti dei cittadini, lo aveva detto!
Che avrebbe cercato di riequilibrare la bilancia commerciale imponendo dazi a destra e a manca, dal Messico al Canada all’Europa alla Cina, l’aveva detto!
Che avrebbe chiesto ai membri della Nato di aumentare le spese per la difesa, pena la perdita dell’ “ombrello Usa”, lo aveva detto!
E allora perché l’Europa di fronte ai primi Ordini esecutivi mi sembra attonita, sgomenta, incredula?
Perché assume atteggiamenti da Alice nel paese delle Meraviglie, o peggio da vergine violata?
La risposta io l’avevo trovata proprio in quel titolo del WSJ da cui sono partito; nel senso che le classi dirigenti europee non hanno messo in conto che la Comunità Internazionale da tempo di sta preparando al “Mondo post-Europeo”.
E Trump può essere il detonatore di questa “fine di un’ epoca”, di questa progressiva emarginazione del Vecchio Continente.
Non c’è alcun dubbio che il neo Presidente relativamente al continente americano, e penso alla Groenlandia, a Panama e al Canada, abbia in qualche modo in mente una riedizione della “dottrina Monroe 2.0”.
La verità è che gli Usa non sono i primi a riabbracciare una logica imperiale.
Anzi, sono arrivati buon ultimi dietro alla Russia e alla Cina.
Storicamente questo vuol dire il superamento definitivo della logica di Yalta, che bene o male aveva regolato il mondo dopo la seconda guerra mondiale, e la prova più evidente è l’assoluta caduta di qualsiasi peso e ruolo dell’Onu.
In questo nuovo contesto mondiale di frammentazione, è evidente che ad imporsi ed a valere è la legge del più forte, e questo ci fa ritornare alla “logica degli imperi”, in cui a decidere le zone di influenza saranno Trump, Putin e Xi Jinping.
Vedi mai che Giambattista Vico avesse ragione?
Di fronte ad un Trump che non invita al suo insediamento né i Vertici della Ue, e penso a Ursula Von der Leyen, né i Capi di Stato o di Governo europei, a parte Giorgia Meloni, di fronte al discorso di Trump in cui non c’è stato spazio per la parola “Europa”, qual è la reazione?
Un balbettio, congratulazioni, una generica dichiarazione in cui si dice che “L’Ue è ansiosa di lavorare a stretto contatto con gli Usa per affrontare le sfide globali”.
Non so se sia chiaro: con la minaccia di aprire una nuova stagione di dazi commerciali contro l’Europa, Trump potrebbe frantumare ulteriormente l’Ue.
Non è un mistero che il suo obiettivo di sempre sia quello di privilegiare i rapporti diretti, bilaterali, con le Capitali, logica sempre latente nell’approccio degli Stati Uniti verso il vecchio continente, percepito a Washington come una sommatoria di Stati da trattare ognuno per il peso che ha nello scacchiere mondiale.
Ho sentito Federico Rampini, che conosce bene il mondo, riferire questa frase “America innovates, China replicates, Europa regulates”.
Il vero problema è che l’Europa negli ultimi decenni si è illusa di poter fare l’arbitro fra Usa e China a suon di “regole”.
In definitiva noi siamo diventati il Continente delle “regole”, delle limitazioni, dei regolamenti, e mentre ci perdevamo a definire persino la lunghezza delle vongole da pescare, gli altri innovavano e investivano nelle nuove tecnologie.
Solo per fare un unico esempio, sarà un caso che fra gli smartphone più diffusi, non ce ne sia uno a marchio europeo?
Il top del “tafazzismo” lo abbiamo raggiunto con le politiche del Green Deal, dove ci siamo dati regole per alzare il nostro standard ambientale rispetto al resto del mondo, scaricando i costi sui cittadini.
L’uscita di Trump dall’Accordo sul clima ci lascia soli, perché non si possono avere limiti ambientali molti alti e frontiere aperte; perché nonostante il fascino delle politiche verdi, la combinazione di normative rigorose, apertura commerciale e concorrenza internazionale, non può avere come sbocco se non la deindustrializzazione dell’Europa. E la crisi dell’Automotive è la più eclatante, ma mettete già in conto che non sarà la sola.
Certo qualcosa si farà, anche perché non credo che Trump abbia interesse a che l’Europa cominci a pensare e a guardare verso altre possibili partner commerciali e strategici.
Ma se devo esser onesto non sono ottimista. Perché in Usa, China e Russia le decisioni sono immediate; in Europa fra voti unanimi, diritti di veto, diversità di visioni, decidere qualsiasi cosa richiede tempi lunghi, spesso biblici, e comunque inadeguati ad un mondo che corre sempre più.
I piani presentati da Enrico Letta e Mario Draghi contengono spunti significativi per mettere a punto una strategia coordinata di politica estera, economica, informativa e militare, ma servirebbero tanti soldi, con un rafforzamento sostanziale del bilancio europeo, anche tramite una nuova emissione di debito comune, una volontà politica forte, e soprattutto meno burocrazia, meno regolamentazione asfissiante, e più attenzione alla concretezza.
Purtroppo con una Commissione europea sempre più condizionata degli equilibri nazionali, ed un quadro politico interno fin troppo fluido, il rischio è che Donald Trump, si trovi davanti esattamente quello che vuole, ossia un’Europa debole, divisa e concentrata su piccoli egoismi locali (vale a dire l’Europa delle Patrie caldeggiata da alcuni).
Quindi, a voler parafrasare il titolo di un best seller di Hemingway, non sarà Trump a suonare la campana per l’Europa; perché quella è già suonata più volte negli ultimi anni, inascoltata.
E tutti noi raccoglieremo i frutti di tanta inadeguatezza politica.
Umberto Baldo