11 Marzo 2025 - 15.45

Ivana Monti con il monologo “Una vita che sto qui” conclude la Prosa al Ridotto

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A concludere la prosa al Ridotto del Teatro Comunale di Vicenza è previsto un altro intenso monologo al femminile, “Una vita che sto qui”, interpretato da Ivana Monti in scena venerdì 14 marzo alle 20.45.

Il lavoro, una produzione del Teatro Franco Parenti che ha debuttato nell’ottobre del 2021, è un inno alla storia di una Milano che non c’è più, tratto da un testo di Roberta Skerl, regia di Giampiero Rappa, scene di Laura Benzi, luci di Marco Laudando; in scena una magistrale Ivana Monti nel ruolo di Adriana, un’anziana scorbutica che non vuole lasciare la sua casa popolare a Lorenteggio, mentre intorno a lei ruotano il mondo che cambia e incombe la realtà dei nostri giorni: immigrazione, abusivismo, case che cadono a pezzi e scocciatori alla porta. Ironia, risate, rimpianti e malinconia si rincorrono in un microcosmo in cui c’è l’intera storia di una città e di un Paese.

Dopo spettacolo (cha dura un’ora), Ivana Monti incontrerà il pubblico al Ridotto per parlare di questo intenso lavoro fortemente voluto da Andrée Ruth Shammah, una struggente pièce che intreccia storia individuale e storia collettiva, con Milano a fare da sfondo e da protagonista della vicenda, inserita in un turbine dei ricordi. A condurre l’incontro a teatro sarà Lorenzo Parolin, giornalista e critico di teatro e spettacolo del Giornale di Vicenza.

In “Una vita che sto qui” Adriana, la protagonista ottantunenne, deve lasciare il suo appartamento perché il condominio fatiscente in cui abita deve essere ristrutturato: chiusa all’interno di casa, tra gli scatoloni del trasloco che non vuole fare, pensa al passato, a quante ne ha viste nella sua vita e a tutte le trasformazioni della città che ha vissuto sulla sua pelle, dai bombardamenti alleati, con tantissimi morti civili, fino alla ricostruzione e agli anni bui del terrorismo e della droga.

La narrazione in scena è un fiume di ricordi, fatto di eventi, luoghi, momenti della vita di Adriana, che si intersecano con la storia di Milano e i suoi infiniti cambiamenti. Tra un frigorifero Indes e un televisore rosso della Brionvega, indici di felici anni ’60, Ivana Monti è sola in scena, circondata da tante cose, occasioni di altrettanti ricordi, che sono i suoi ma la invitano a condurre gli spettatori attraverso un’onda di emozioni. Richiamati dalle sue parole sembrano arrivare il Sergio, il suo primo amore, l’Alberto, amore-solo-suo, un delinquente, il padre comunista, appassionato di lirica, la madre, il cane Stalin e il figlio Roby. E con il figlio il racconto arriva agli anni ‘70, un’epoca in cui a Milano si spara e si muore di eroina. E le sue parole evocano e tengono vivi tanti momenti che sono stati importanti per lei, ma è anche la Storia che arriva in palcoscenico con le bombe alla scuola di Gorla e ai Navigli, dove c’erano la Richard Ginori e altre fabbriche, la ricostruzione voluta dal sindaco Greppi partendo dalla Scala, gli scavi per la linea rossa della metropolitana. È la Milano di allora che sembra riprendere vita attraverso i ricordi di Adriana, guida per scoperte o altri ricordi degli spettatori; anche la parlata milanese con le sue espressioni colorite, racconta molto di lei e contribuisce a trasportare lo spettatore in questo mondo che non c’è più. Tanti ricordi, tante emozioni: sono anche le ultime, perché quella dove lei è sempre vissuta, da quel lontano 1958 quando aveva 17 anni e intorno era tutto erba, è una casa Aler da riqualificare e lei se ne deve proprio andare.

Il fiume dei ricordi diventa così un alternarsi di risate, sorrisi, pensieri, tristezze ed emozioni per il pubblico, ma anche per la protagonista, interprete strepitosa e appassionata di questa piccola grande storia ricca di umanità, un monologo di rara intensità in cui Ivana Monti primeggia.

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