17 Marzo 2025 - 10.07

La pagliacciata dei Fondi di Coesione

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Umberto Baldo

Esistesse il premio “Premier acrobata d’Europa” non c’è dubbio che Giorgia Meloni sarebbe la principale candidata alla vittoria.

Pressata da una congiuntura internazionale oggettivamente caotica ed imprevedibile, da una maggioranza di Governo in cui Salvini non trova di meglio che fare il “guastatore” (una sorta di vocazione la sua!), ed un’opposizione frantumata ma pronta a cavalcare qualsiasi tigre, la premier cerca di stare in equilibrio, e pazienza se questo comporta anche il dover rinunciare a qualche suo principio. 

Prediamo il problema del finanziamento del riarmo europeo lanciato da Ursula Von der Leyen.   Questo progetto prevede con certezza un fondo comune da 150 miliardi, e poi rimanda la scelta ai singoli paesi se fare più debito nazionale o, in alternativa, utilizzare parte dei Fondi di Coesione.

A tal riguardo la Premier, che conosce bene il “pollaio Italia” ha capito subito che la sola ipotesi dell’utilizzo dei Fondi di Coesione avrebbe suscitato un vespaio, con le opposizioni sulle barricate a urlare che “si vuole togliere risorse allo sviluppo del Mezzogiorno”.

Sarebbe stato un assist alla Maradona per un Giuseppe Conte, paladino ed avvocato del Sud Italia, e per i compagni del campo largo!

Così Giorgia Meloni si è precipitata a dichiarare: “Abbiamo condotto una battaglia (sic!) per escludere che venissero forzatamente dirottate delle risorse dai Fondi di coesione alle spese sulla difesa”.

In altre parole la possibilità di usare quelle risorse per investire in armi non sarà obbligatoria per tutti gli Stati, ma volontaria. I Fondi di coesione resteranno vincolati agli obiettivi per cui sono stati fissati, ovvero la competitività, la creazione di posti di lavoro, lo sviluppo sostenibile e la crescita economica, ma i Paesi che ne avranno più esigenza, ad esempio quelli al confine con la Russia, potranno attingervi per la difesa.

Una posizione tutto sommato ragionevole, anche se, a dirla tutta, la Premier non aveva altre strade percorribili.

Penso abbiate capito che mi piace andare un po’ più a fondo nelle cose, per capire qualcosa di più rispetto a quello che vogliono farci credere i Demostene che ci governano.

E così partiamo dalla domanda più facile: cosa sono i Fondi di Coesione?

Per evitare qui pro quo partiamo col dire che i Fondi di Coesione europea non hanno niente a che fare con i fondi del Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), che derivano dal programma Next Generation EU, e hanno obiettivi e modalità di utilizzo differenti.

I fondi di coesione europei sono stati istituiti circa trent’anni fa (Regolamento CEE n. 1164/94 del Consiglio del 16 maggio 1994, nell’ambito del Trattato di Maastricht), e sono strumenti finanziari messi a disposizione dall’Unione Europea per ridurre le disparità economiche e sociali tra le diverse regioni degli Stati Membri.

E’ intuitivo, data la finalità, che destinatarie principali sono le Regioni europee meno sviluppate rispetto alla media, fra cui sicuramente quelle del nostro Meridione.

Se ne individuano principalmente cinque: Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR): Fondo Sociale Europeo Plus (FSE+): Fondo di Coesione (FC): Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale (FEASR): Fondo Europeo per gli Affari Marittimi, la Pesca e l’Acquacoltura (FEAMPA).   

La programmazione dei fondi avviene su base settennale, con l’attuale periodo che copre gli anni dal 2021 al 2027.

Sorvolo sui soldi assegnati all’Italia nei periodi precedenti, e mi limito a dire che per gli anni dal 2021-2027 le risorse disponibili sono pari a 42,7 miliardi.

Avrete capito che il meccanismo è tutto sommato semplice, o almeno comprensibile: ogni Paese, l’Italia nel nostro caso, si vede assegnati questi Fondi strutturali e di investimento, e deve spenderli al meglio in progetti o realizzazioni finalizzati a colmare il gap delle Regioni meno ricche o meno strutturate.

Ma purtroppo a questo punto, come si usa dire “qui casca l’asino”, perché fin dall’avvio del programma, all’inizio degli anni 2000, si è palesata l’inefficacia nell’utilizzo di queste risorse, compromessa da ritardi burocratici e da una capacità amministrativa limitata;  con il chiaro risultato che non tutte le risorse sono state utilizzate. 

Guardate che qui non sto dicendo che i soldi siano stati rubati o dilapidati; bensì che nonostante gli obiettivi fossero condivisibili (mobilità urbana, sviluppo sostenibile, digitalizzazione, innovazione tecnologica, transizione ecologica ecc.), nonostante gli sforzi per migliorare la capacità di spesa, il nostro Paese ha continuato ad incontrare difficoltà nell’assorbimento completo dei fondi, con una spesa effettiva inferiore alle aspettative.

Il problema in questa “Repubblica dei quaquaraquà” è che qualunque buona intenzione si infrange su un impianto burocratico inefficiente, impreparato forse, ma comunque non altezza di una nazione moderna.

Io  sento parlare della necessità di una “riforma burocratica”  da quando ero ragazzo, e quindi da lungo tempo ahimè.

Di acqua ne è passata sotto i ponti, ma purtroppo non è cambiato nulla.

E così, anche per i Fondi di Coesione 2021 2027 nonostante i tanti progetti sulla carta, la spesa effettiva rimane ancora limitata rispetto ai fondi assegnati, così come è sempre avvenuto nei precedenti cicli di sette anni (al 31 dicembre 2024, risultavano attivati progetti per 12,6 miliardi di euro, il 17 per cento del totale. La spesa effettiva è ferma a 3,4 miliardi, il 4,6 per cento, e solo per merito delle Regioni perché i programmi gestiti dai Ministeri sono ancora più fermi. Sarà difficile impegnare tutte le risorse per il 2027).

C’è poco da fare, questo è il nostro apparato burocratico, che è risultato tetragono ad ogni tentativo di riforma.

Tentativi che pur ci sono stati (Cassese anni ’90 – Bassanini anni 1997-2000 – Brunetta 2008-2011 – Madia 2014 -2017), ma tutto si fermato di fronte a resistenze interne (anche sindacali), normative stratificate, scarsa digitalizzazione, mancanza di vera volontà politica.

Di fonte a tutto ciò viene da chiedersi: ma arriverà mai il giorno che nella Repubblica di Pulcinella le cose funzioneranno con la tempistica è l’efficienza degli altri Paesi?

Verrebbe da rispondere  con un po’ di ottimismo: difficile sì, impossibile, no. 

Ma è chiaro che servirebbe una volontà politica forte e costante, con una visione chiara e una capacità di resistere alle inevitabili pressioni delle lobby burocratiche. 

Purtroppo, in Italia, le riforme più incisive si sono spesso fermate di fronte agli interessi consolidati.

So di dire una bestialità, ma in questa fase viene da domandarsi se potrebbe servire un Elon Musk anche da noi, con il potere di cambiare le cose anche mandando a casa burocrati ormai seduti da decenni.  

Dico questo, e ripeto che so bene di esagerare, ma se si aspetta che la burocrazia si riformi da sola, ciò non accadrà mai. 

Se invece si trovasse il coraggio di intervenire con decisione, il cambiamento potrebbe avvenire. 

Ma chi avrà la forza e la volontà di farlo?

Ecco perché, tornando a noi, Giorgia Meloni si è trovata obbligata a stabilire con forza che i Fondi di Coesione non verranno mai utilizzati dall’Italia per il progetto di riarmo.

Lei lo sa bene che buona parte di quelle risorse non verranno mai spese per incapacità di Regioni e Ministeri,  e che forse dirottandoli sulle aziende che lavorano per la difesa si innescherebbe anche una crescita del Pil, ma con tutti i neo-Gandhiani, con tutti i  “pacifisti” che bazzicano la scena politica, da Schlein a Conte a Fratoianni a Landini a Salvini, non ha margini per alcuna alternativa.

Umberto Baldo 

VIACQUA

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