18 Marzo 2025 - 8.52

Il tempo è un fattore fondamentale anche in politica

ISCRIVITI AL CANALE WHATSAPP DI TVIWEB PER RIMANERE SEMPRE AGGIORNATO

CLICCA QUI

Qualche giorno fa, leggendo la notizia cui vi accennerò più avanti, mi sono soffermato sul fatto che, a mio avviso, il tempo ha una valenza diversa in una dittatura rispetto ad una democrazia. 

Tranquilli, non ho alcuna intenzione di approfondire il grande tema del “Potere”; d’altronde non ho alcun dubbio che avesse ragione Churchill  quando in un discorso ai Comuni sostenne: “E’ stato detto che la Democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora”.

No, i miei ragionamenti sono partiti pensando ai tre uomini che, nel bene o nel male, reggono le sorti delle tre Superpotenze mondiali: Donald Trump, Vladimir Putin, Xi Jinping.

Partendo da una constatazione terra terra; quella che sotto questo cielo per qualunque uomo, per quanto potente, c’è il limite della biologia, nel senso che prima o poi uno è costretto a lasciare questa terra.

Quindi, pur non augurando il male a nessuno, e tanto meno la morte, anche i nostri tre “Grandi”, tutti e tre ultrasettantenni, prima o dopo saranno sostituiti da qualcun altro che raccoglierà il loro testimone.

Ma è proprio a questo punto che si inserisce il fattore “tempo”.

E cercando di spiegarmi meglio, credo che se sei un leader liberalmente eletto in una democrazia il tuo “tempo” scorre più velocemente rispetto al tuo omologo che  invece regge il suo Paese con il pugno di ferro.

E la differenza sta tutta in una parolina magica: elezioni.

E così mentre un leader di un paese libero è costretto a vivere in un costante dinamismo il tempo che intercorre fra una scadenza elettorale e quella successiva, un autocrate può congelare il tempo in una qualche verità di cui si fa interprete.

Calandoci nella realtà, in questo momento il potere di Donald Trump è massimo; controlla entrambi i rami del Congresso, la Corte Suprema, e può fare quel che crede della struttura dello Stato americano.

Ma se ci pensate bene il “tic, tac” del timer che scandisce il tempo che manca alla prima “verifica”, le elezioni cosiddette di “Mid Term”, è già scattato, e capite che questo cambia la prospettiva.

Infatti, tenendo conto (ma non è una regola intendiamoci, e magari per Trump potrà essere diverso) che le elezioni di Metà mandato, che si terranno nel 2027, vengono solitamente perse dal Presidente in carica, si conclude che in realtà il “tempo” a disposizione del Tycoon per imporre praticamente senza opposizioni il suo “MAGA” è ridotto a circa 21 mesi.

Se, malauguratamente per lui, fra due anni dovesse perdere il controllo o della Camera dei Deputati o del Senato, immediatamente diventerebbe una “lame duck”, “un’anatra zoppa”, costretta a trattare con l’opposizione qualunque iniziativa che comporti l’esborso anche di un solo dollaro del bilancio federale (o meno che non si voglia ipotizzare un colpo di stato di Ciuffo biondo, che spero rimanga solo nei sogni di qualche suprematista repubblicano).

Lo stesso problema non ce l’hanno invece né Vladimir Putin, che viene sempre rieletto, guarda caso, con maggioranze stratosferiche, né Xi Jinping che ha addirittura tolto il limite dei due mandati presidenziali, così garantendosi il potere a vita.

Si potrebbe, citando a sproposito Albert Einstein, parlare di “relatività del tempo”, che nelle democrazie influenza soprattutto gli atteggiamenti delle opinioni pubbliche nei confronti di chi governa, inevitabilmente condizionandolo. 

L’esempio della guerra in Ucraina è lampante: grande compattezza e determinazione all’inizio, stanchezza e assuefazione in tempi più lunghi. 

Nelle democrazie europee, la critica e la libertà d’espressione, nonostante il velato sospetto che colpisce chiunque provi a riflettere sulla politica di Mosca, con il passare del tempo hanno cominciato ad insinuare dubbi sulle ragioni del conflitto,  incoraggiando e facendo lievitare atteggiamenti meno manichei nelle élite politiche ed economiche.

Credo quindi non sia del tutto sbagliato affermare che sarà la diversa misura del tempo a condizionare l’esito del conflitto.

Questo spiega la fretta di Trump di chiudere rapidamente la guerra, cui si contrappone invece la calma di Putin.

Se a questo aggiungiamo che i Cinesi sono culturalmente abituati a “guardare lontano”, senza farsi condizionare dal tempo, e che la leadership cinese si muove senza essere ancorata o  bloccata da quello che c’è scritto nei libri di cento e più anni fa, ma adattando gli insegnamenti del comunismo alle situazioni reali, si capisce che forse non ha torto chi è convinto che il futuro sarà dell’Impero del Dragone.

Ciò che non è relativizzabile è invece il tempo della Storia, l’orologio che sedimenta in modo inesorabile ragioni e cause dei conflitti, quando hanno ormai sepolto vittime e carnefici. Forse per questo le tragedie nel cuore dell’Europa  tendono a ripetersi.

Tuttavia nessuna forma di governo può davvero regolare il tempo. 

E le elezioni potranno anche creare sconquassi nelle democrazie, ma quando crollano le autocrazie, il loro tempo si annulla e si riparte da zero.

In altre parole, mentre in una democrazia la caduta di una leadership di solito non intacca i valori ed i principi che la sostengono, in una dittatura non si sa mai chi potrà succedere al tiranno precedente, e non è detto che chi viene dopo sia migliore di chi comandava prima.

Immagino vi starete chiedendo: ma qual è la notizia che ti ha spinto a questo tipo di riflessioni sull’influenza del tempo nelle forme di governo?

Due fatti, che a ben guardare sono uno solo.

Il primo, un incontro tenutosi di recente a Pechino fra rappresentanti di Russia, Cina e Iran, per dare un risposta a Donald Trump che ha scritto una lettera a Khamenei nella quale si afferma che per risolvere la questione del “nucleare iraniano” ci sarebbero solo due opzioni: “un nuovo accordo”, verso il quale spinge il presidente degli Stati Uniti, o la “via militare”. 

Secondo Pechino, Mosca e Teheran invece, l’unica strada sarebbe “il dialogo”.

Cina, Russia e Iran hanno inoltre chiesto agli Usa di “revocare” le sanzioni contro l’Iran, ed hanno condannato in particolare le nuove sanzioni imposte  da Washington, finalizzate ad impedire che l’Iran possa vendere il proprio petrolio alla Cina.

In particolare, per la Cina“le sanzioni unilaterali non faranno altro che esacerbare i conflitti”, mentre per il Cremlino si tratta di “sanzioni illegittime” perché l’Iran ha diritto di “sviluppare l’energia nucleare civile”.

Ilsecondo fatto, le esercitazioni militari Security Belt-2025che Cina, Russia e Iran hanno tenuto congiuntamente nel Golfo dell’Oman, con il dispiegamento delle Marine dei tre paesi di fronte al porto iraniano di Chabahar.  

Parliamo di un area cruciale per la sicurezza globale: di fronte alla strozzatura geopolitica dello Stretto di Hormuz, dal quale transita il trenta per cento del greggio (e di cui il settanta per cento è diretto verso la Cina), nel cuore dei progetti di espansione cinese verso l’Oceano Indiano, in un’area strategica per il contenimento dell’India, la più grande democrazia del pianeta, e competitor globale di Cina e Pakistan.

Al di là di tante parole, questi due fatti dimostrano che l’alleanza senza limiti, annunciata da Vladimir Putin e Xi-Jinping pochi giorni prima dell’invasione dell’Ucraina nel febbraio del 2022, sembra godere di ottima salute, e le esercitazioni nel Golfo Persico aumenteranno l’interoperabilità fra le forze armate e navali dei tre Paesi, rafforzando il legame fra le autocrazie del pianeta (l’Asse del Male secondo l’espressione coniata a suo tempo da George W. Bush).

Non dimentichiamo che i droni che Putin spara sull’Ucraina sono in buona parte prodotti in Iran, e che la Cina, sia pure non apertamente, sostiene lo sforzo bellico russo.

Morale della favola?

Che mentre gli Usa, ed anche noi europei, ci stiamo baloccando da anni con sanzioni a destra e a manca, Pechino, Mosca e Teheran perseguono  l’obiettivo di lungo periodo di cambiare in modo radicale il sistema delle relazioni internazionali, a danno delle democrazie liberali.

E a tal riguardo qualunque promessa possa fare Putin a Trump in questa fase, non è detto che fra quattro anni lo zio Vladimir non si possa rimangiare tutto. 

Come potete vedere il problema è sempre quello: Xi  Jinping e Vladimir Putin hanno dalla loro il “tempo”; Trump ed i nostri leader no.

Umberto Baldo

VIACQUA

Potrebbe interessarti anche:

VIACQUA