L’insidiosa crisi delle isole Tunb

ISCRIVITI AL CANALE WHATSAPP DI TVIWEB PER RIMANERE SEMPRE AGGIORNATO
Umberto Baldo
Credo che anche un professore di geografia si troverebbe in difficoltà se gli venisse chiesto dove si trovano le isole Tunb.
E francamente la cosa non mi scandalizzerebbe, perché è comprensibile che anche un assiduo frequentatore di carte geografiche non sia obbligato a conoscere tutte le isole o gli isolotti sparsi per i mari del mondo.
Immagino che adesso vi stiate però chiedendo: ma dove caspita sono queste Tunb?
Si tratta di un minuscolo arcipelago (Abu Musa, Bani Forur, Forur, Sirri, Grande e Piccola Tunb), e quando dico minuscolo basti pensare che la superficie totale è di 12,3 chilometri quadrati.
Se a questo aggiungete che sono desertiche e la popolazione è quasi inesistente, capite bene che non dovrebbero certamente suscitare gli appetiti di qualsivoglia Stato.
Ma vedete, se si passa dall’ambito strettamente geografico a quello storico, geopolitico e strategico, allora le cose possono cambiare, e anche di molto.
Solo per fare un esempio la Rocca di Gibilterra (la mitica Calpe, una delle colonne d’Ercole degli antichi) è una montagna di soli 6,8 chilometri quadri, che la Gran Bretagna si tiene stretta dal Trattato di Utrecht del 1713, nonostante le annose rivendicazioni della Spagna, che la considera come una vera e propria colonia in territorio europeo, l’ultima esistente.
Spero non occorra che vi ricordi che la Rocca sovrasta (e presidia) lo Stretto di Gibilterra, lo sbocco del Mediterraneo nell’Atlantico, una strettoia naturale da sempre considerata di grande importanza strategica.
Bene, la situazione delle Turb per certi versi è analoga a quella di Gibilterra, in quanto queste isole, poco più che scogli, si trovano al centro di un altro passaggio strategico di valenza mondiale: lo Stretto di Hormuz.
Lo Stretto di Hormuz è una strozzatura che divide la penisola arabica delle coste dell’Iran, mettendo in comunicazione il Golfo di Oman con il Golfo Persico.
Questo braccio di mare, che forma una specie di gomito lungo circa 60 km e largo 30, rappresenta uno dei punti più “caldi” del pianeta, di grandissima importanza strategica, poiché da qui transita circa il 20% della produzione mondiale di petrolio, ed una fetta significativa del gas naturale liquefatto.
Si tratta quindi di un’arteria vitale per l’esportazione di idrocarburi da cinque dei maggiori produttori mondiali (Arabia Saudita, Iran, Iraq, Emirati Arabi Uniti e Kuwait) alle industrie di trasformazione, ed a questo punto credo cominciate a comprendere l’importanza dell’arcipelago delle Turb, in quanto la loro posizione le rende molto più che un semplice trofeo territoriale: sono una chiave per il controllo delle rotte navali che quotidianamente solcano quel tratto di mare.
Di conseguenza immagino non vi stupiate se in quest’angolo remoto del Golfo Persico, lontano dai clamori delle crisi mediorientali più celebri, poche isole aride e spopolate stanno diventando il simbolo di una disputa che potrebbe ridisegnare gli equilibri di una delle regioni strategiche più contrastate e desiderate al mondo.
Chi sono gli attori di questa disputa?
Risposta facile: i due Stati che si affacciano sul Golfo, la Repubblica Islamica dell’Iran e gli Emirati Arabi Uniti (piccolo Stato ricchissimo composto da sette emirati: Abu Dhabi, ‘Ajman, Dubai, Fujaira, Ra’s al-Khayma, Sharja, Umm Al-Qaywayn).
La disputa per queste isole è secolare, e affonda le sue radici nel dominio Britannico sul Golfo.
Lascio alla vostra buona volontà andarvi a leggere queste vicende storiche. Ai fini della mia narrazione basta dire che le isole Tunb erano formalmente legate agli emirati di Sharjah e Ras al-Khayma, ma l’Iran le ha sempre considerate parte della propria sfera d’influenza, rifacendosi ad antichi documenti persiani, ed alla loro prossimità alla costa iraniana.
Nel novembre 1971, mentre l’Inghilterra stava abbandonando per sempre la regione del Golfo, e gli Emirati Arabi Uniti si proclamavano Stato sovrano, le truppe dello scià di Persia Mohammad Reza Pahlavi, approfittando della situazione, con un’operazione militare rapida e quasi incruenta, occuparono le isole, un giorno prima dell’indipendenza ufficiale degli Emirati.
Come potete vedere il mondo è sempre uguale, ed annessioni violente di territori ci sono sempre state.
Ad ogni buon conto da allora Teheran ha sempre difeso la sua mossa, mentre Abu Dhabi l’ha sempre considerata un’occupazione illegittima.
Gli Emirati, appoggiati dal Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), un’organizzazione regionale, fondata nel 1981 tra Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Kuwait, Oman e Bahrein, hanno ripetutamente chiesto il ritiro iraniano, proponendo negoziati e mediazioni internazionali.
Per contro, l’Iran ha sempre fatto orecchie da mercante, anzi continua a rafforzare la propria presenza nelle isole promuovendo insediamenti civili e soprattutto militari (esercitazioni navali con droni, batterie missilistiche costiere e sorvoli di caccia sono diventati la routine, ufficialmente giustificati come misure difensive contro minacce esterne).
E palese che per l’Iran il controllo delle Turb significa avere occhi e armi puntati su una delle arterie economiche più importanti del pianeta, con la capacità di monitorare il traffico marittimo e, in caso di crisi, di minacciarne la chiusura.
Ma per lo stesso motivo, anche se in chiave opposta, gli Emirati, l’Arabia Saudita ed altri, non sono disposti a lasciare in mano agli Ayatollah questa pistola carica puntata contro di loro.
Si potrebbe dire che da lungo tempo si sia instaurata fra le parti una sorta di “guerra fredda”, che però, data una geo politica in continua evoluzione, e ultimamente non in senso pacifico, rischia ora di surriscaldarsi.
Credo sia inutile sottolineare che la contesa per le Turn si inserisce in pieno nella costante rivalità fra l’Arabia Saudita sunnita e l’Iran sciita, scontro in corso da anni per interposta persona in Yemen, Siria e Iraq.
Ma la situazione si complica perché sono sempre di più gli attori in campo.
Basti pensare ad Israele, legato agli Emirati dagli Accordi di Abramo, agli Stati Uniti, con la loro Quinta Flotta stanziata in Bahrein, ed alla Cina, che importa gran parte del suo petrolio attraverso quelle acque, e che ha interesse diretto a che lo Stretto rimanga libero e percorribile.
Capite bene che in quest’area carica di tensioni, politiche, religiose, etniche, economiche, come in una sorta di gioco degli specchi le isole Turb diventano un microcosmo su cui si scaricano le tensioni globali.
Così come stanno le cose, mi sembra che i problemi non siano destinati a risolversi facilmente; gli Emirati Arabi Uniti continuano a cercare un appoggio internazionale per forzare un negoziato, mentre l’Iran, con il suo crescente isolamento, non sembra intenzionato a cedere terreno sulla questione della propria sovranità nazionale sulle Tunb.
Il rischio è che queste tensioni si intreccino con altre crisi nella regione, aumentando la possibilità di scontri diretti o incidenti nel Golfo Persico.
Un ultimo avvertimento ai viaggiatori incalliti sempre in cerca di nuovi luoghi esotici da visitare. Non cercate di andare alle Turb: non tira una buona aria, e difficilmente trovereste un traghetto che vi ci porti.
Umberto BaldoPS: che la riforma della cittadinanza di cui vi ho parlato lunedì sia giusta la dimostrano le veementi proteste degli oriundi sudamericani che vedono svanire il sogno della cittadinanza tricolore. “L’Italia non può fare distinzioni tra cittadini di serie A e di serie B” (sic!) scrivono sui social, e viene da sorridere pensando che questa gente vuole il passaporto italiano solo per poter viaggiare più comodamente in Europa o negli Stati Uniti, e sono pochissimi quelli che hanno imparato la lingua o hanno ritenuto necessaria un’immersione nella nostra cultura