Castro, le contraddizioni del suo essere Lider Maximo
Certo, per uno che ha guidato una rivoluzione per liberare il popolo dalla tirannia, e poi ha governato decenni ispirandosi alla dottrina comunista e a un ideale di uguaglianza tra le persone, essersi sempre identificato come Lider Maximo, suona perlomeno contraddittorio e ricorda un po’ il famoso motto del Marchese del Grillo, interpretato da Alberto Sordi, “io sono io e voi nun siete un c….”
Fidel Castro in fondo è stato effettivamente la figura che ha caratterizzato Cuba per oltre mezzo secolo, da quando prese il potere nel gennaio del 1959, dopo due anni di guerriglia armata contro il regime corrotto, oppressivo e asservito agli Stati Uniti del generale Fulgenzio Batista.
Da quel momento lui e Che Guevara, che lo affiancò alla guida del movimento rivoluzionario, sono diventati simboli di lotta contro il potere costituito e idoli per generazioni di donne e uomini di sinistra, in particolare quando, dopo la presa del potere, la contrapposizione verso gli Stati Uniti divenne assoluta e Castro si schierò al fianco dell’Unione Sovietica, nominando Cuba la Prima Repubblica Socialista dell’America.
Fin dai primi anni dopo la rivoluzione Castro è stato al centro del dibattito tra i suoi detrattori, che lo indicano come un qualsiasi dittatore, e chi invece lo esalta come simbolo del riscatto dei popoli oppressi.
Certo è che inoltre 60 anni di governo le cose per i cubani non sono andate esattamente come ci si poteva augurare, sebbene per molti di loro tutt’oggi Castro sia un’icona da idolatrare e simbolo della loro rivolta contro il mondo capitalista e soprattutto contro gli odiati Stati Uniti.
Lui del resto era e doveva sempre essere il Lider Maximo, e per mantenere questo riconoscimento, oltre quello che realmente riusciva a costruire per il suo popolo, ha mantenuto costantemente vivo lo spirito rivoluzionario che ne giustificava il potere.
Quella rivoluzione, che, per chi la concepisce in modo assoluto, è una condizione permanente, che muore nel momento in cui si instaura una qualsiasi forma di governo, come di fatto evidenziò Che Guevara con la lettera inviata all’amico Fidel nel 1965 quando rinunciò a tutti i suoi incarichi a Cuba, tra cui quello di ministro, per seguire nuove rivoluzioni, perché “altre terre del mondo reclamano il concorso dei miei modesti sforzi”.
Non era cubano, il Che, così decise di partire per morire solo due anni dopo, combattente in Bolivia.
Castro rimase a guidare il suo popolo e lo ha fatto in modo da non perdere mai il potere, perché l’alternanza tipica dei regimi democratici non è mai stata una variabile possibile.
Lider Maximo per sempre, senza se e senza ma.
Una concezione tipica dei regimi non democratici e guidati da un uomo forte.
Soprattutto quelli nati da un percorso rivoluzionario che poi diventa simbolo da tramandare come riferimento ideologico, ma anche come giustificazione per mantenere il potere a qualsiasi costo, anche con il ricorso a quei metodi autoritari e repressivi prima combattuti, per utilizzarli nei confronti di qualsiasi forma di dissenso.
Dovrebbero prenderne spunto quelli che in Italia ogni tanto auspicano una rivoluzione o una guida molto decisionista, magari ricordandosi che nella storia questi processi hanno spesso prodotto l’insaturazione di regimi autoritari, che hanno governato limitando gli spazi di libertà dei cittadini e trasformandosi in dittature.
Uno schema in cui prevale il culto della personalità dell’uomo al comando, che Castro alimentava collegandolo al suo passato rivoluzionario, simboleggiato dalla mimetica indossata anche a incontri istituzionali e in celebrazioni pubbliche, come nei suoi discorsi alle Nazioni Unite.
Probabilmente non era questa l’idea originaria di Castro, soprattutto all’epoca della rivoluzione, ma resta l’evidenza che sotto il suo governo molte libertà civili sono state soppresse, molte promesse di emancipazione dei cubani non si sono realizzate e che il suo popolo resta uno dei più poveri del continente americano.
Molto ha contribuito l’embargo subito dagli Stati Uniti, che ha lasciato l’isola di Cuba ai margini del consesso globale, soprattutto quando il comunismo è entrato in crisi, economica prima che ideale, e il sostegno di Mosca è progressivamente calato, fino a scomparire dopo la caduta del Muro e dell’Unione Sovietica.
Una condizione che ha portato fame e povertà a tutti i cubani, ma è stata proposta come atto di eroismo e resistenza contro il tiranno rappresentato dalla società capitalistica, da sconfiggere con l’orgoglio di essere diversi e migliori.
Il braccio di ferro contro i nemici nel tempo è diventato dottrina da seguire senza dissenso, perché significava opporsi all’orgoglio cubano, allo spirito della rivoluzione e in definitiva a Castro, che di quello spirito è sempre stato il simulacro vivente.
Da qui il culto di una personalità che ha fatto dell’uomo il Lider Maximo, un’icona oltre se stesso, per assumere un ruolo di enorme rilievo nel mondo e riferimento in tanti processi politici e sociali che si sono susseguiti in questo tempo.
Con il passare degli anni e l’arrivo del cedimento fisico, l’integralismo ha lasciato qualche spazio al confronto, così Castro ha nominalmente delegato il potere e ha cominciato ad aprire la sua Cuba al mondo, con le visite degli ultimi Papi, fino alla distensione celebrata con gli Stati Uniti guidati da Obama.
Un passaggio importante, tardivo e legato al calo inevitabile della sua leadership, spesso identificata nella sua presenza fisica che nel tempo si è inevitabilmente diradata.
Un passaggio che però rappresenta anche un testimone di distensione, da raccogliere e sostenere, soprattutto in un mondo che vede crescere i populismi e le posizioni radicali, in modo da ricordare che serve molta più responsabilità e coerenza per governare in modo realmente democratico, che per fare una rivoluzione.