A Varsavia domenica ha vinto la democrazia europea
Io penso che il voto di domenica scorsa in Polonia sia prima di tutto una bella notizia per l’Europa, perché ha vinto la democrazia liberale e ha perso il populismo.
Non era un risultato scontato, ed in effetti il Partito di Kaczynski, Diritto e Giustizia, le elezioni le ha vinte, ed è ancora la prima forza, ma è stato superato al centro e a sinistra dai tre partiti dell’opposizione democratica: i liberali di Coalizione Civica (Ko), i centristi di Terza Via (Trzecia Droga) e dalla sinistra di lewica.
Il vincitore, nel senso che sulla carta è l’unico che possa mettere assieme una maggioranza di Governo, è Donald Tusk che, raggiante sul palco, ha salutato il risultato come la vittoria della Polonia e della democrazia: “È il giorno più felice della mia vita. Li abbiamo rimossi dal potere”.
Che sia stata una vittoria della democrazia ci sono pochi dubbi.
L’affluenza alle urne ha battuto ogni record della storia della Polonia democratica: 72,9%. Un dato incredibile se si confronta con la media storica del Paese, e per darvi un’idea, in un seggio di Wrocław la fila era talmente lunga che le ultime persone hanno votato quasi alle tre di notte.
Un segnale politico inequivocabile, contro gli ultimi otto anni di potere in cui Diritto e Giustizia, sotto le regia compiacente del Presidente della Repubblica Andrzej Duda, ha cavalcato statalismo, nazionalismo e xenofobia, asservito la Magistratura (uno dei maggiori problemi con Bruxelles) ed i vertici militari, acquisito il controllo di tutti i mezzi di informazione, e limitato le libertà dei cittadini.
Senza sottovalutare il ruolo del clero cattolico, perché la Conferenza episcopale polacca (salvo qualche nobile eccezione) è sempre stata apertamente schierata con Kaczyński, e non solo per questioni teologiche od etiche, ma anche economiche.
Ma con il senno di poi l’errore più grande, più devastante, commesso dalla cricca di potere è stato quel pronunciamento del Tribunale Costituzionale che ha limitato in modo quasi definitivo la possibilità per le donne polacche di accedere all’interruzione di gravidanza.
Le proteste di massa portate avanti per mesi dal collettivo femminista Strajk Kobiet, sfidando anche le normative anticovid, hanno lasciato un segno tangibile nell’erosione del consenso del partito di Kaczynski.
Osservando lo sviluppo storico dei sondaggi si vede chiaramente che da quel preciso momento Diritto e Giustizia, che fino ad allora viaggiava abbastanza stabilmente sopra il quaranta per cento delle preferenze, ha perso di colpo dieci punti percentuali, e non li ha più recuperati.
Probabilmente il cinico calcolo politico fatto all’epoca era che l’elettorato se ne sarebbe dimenticato, distolto da nuove problematiche, soprattutto quella dei migranti su cui puntava il Governo, e d’altronde le elezioni allora erano ancora lontane.
Ma fortunatamente le donne non hanno dimenticato.
Permettetemi uno sfogo personale: o fai come i Talebani che alle donne hanno tolto qualsiasi diritto, ma se pensi di negare loro un diritto come l’aborto, lasciandogli quello di votare, alla fine l’”altra metà del cielo” il conto te lo presenta, eccome se te presenta, e la destra sovranista polacca avrà tempo per pentirsi amaramente di quella decisione.
E l’analisi del voto lo dimostra: domenica a votare in massa contro Diritto e Giustizia sono stati in gran parte i giovani e le donne.
Nella fascia diciotto-ventinove anni il partito più votato è stato Coalizione civica con il 28,3 per cento delle preferenze, il meno votato Diritto e Giustizia con il 14,9 per cento. Una spaccatura maggiore si è verificata tra le donne, dove il 36,5 per cento ha votato per il partito conservatore, ma il 56,1 per cento si è espresso complessivamente per le forze di opposizione.
Guardate, io mi sentirò tranquillo solo quando Tusk otterrà la fiducia per il suo Governo, perché sono convinto che il passaggio di potere potrebbe essere non del tutto agevole e scontato, visto che il presidente Duda è una creatura di Diritto e Giustizia.
Ma voglio sperare che l’Europa non assisterebbe impotente ad un eventuale tentativo di aggirare fraudolentemente la volontà popolare.
Do per scontato che, essendo Democrazia e Giustizia ancora il primo partito, le verrà assegnato l’incarico di formare un governo, ma il problema è che l’unica sponda possibile sarebbe l’ultra destra di Konfederacia, che ha avuto un risultato al di sotto delle attese, e di conseguenza non ci sarebbero i numeri.
In ogni caso estirpare Diritto e Giustizia sarà un’impresa ardua, perché significa ripristinare l’indipendenza dei tribunali, trasformare i media di Stato in media di servizio pubblico, annullare la penetrazione politica nella pubblica amministrazione e nelle imprese di Stato, ridisegnare i confini dei collegi elettorali in modo che riflettano i cambiamenti demografici, e altro ancora.
Tutto questo mentre il presidente Duda gode ancora di ampi poteri di veto.
Il ripristino dei finanziamenti Ue sarà d’aiuto, ma nessuno conosce le reali condizioni delle finanze pubbliche in Polonia, e c’è una guerra in corso proprio ai confini, in Ucraina.
Chi pensasse che in Polonia abbia perso la destra e vinto la sinistra, si sbaglia di grosso. Perché Donald Tusk, ex Presidente del Consiglio Europeo, è da sempre un esponente del Partito Popolare Europeo, e “Terza Via”, che con un ottimo 14% garantirà la maggioranza a Tusk, è un partito di centro che aderisce ai liberali di Renew Europe.
Ma nonostante tutto, quello di Tusk è il più importante successo in cui potessero sperare i progressisti europei (e penso anche alla galassia della sinistra italica), e chiunque abbia minimamente a cuore la democrazia, i diritti delle donne, la libertà di stampa e la tutela delle minoranze.
Inutile girarci attorno; il voto polacco avrà ripercussioni anche in Italia, e costituisce indirettamente una sconfitta anche per Giorgia Meloni, che prima si era molto spesa per i neo-franchisti di Vox in Spagna, cha hanno perso le elezioni, e adesso vede naufragare anche l’alleato polacco, il che rende ancora più plausibile la riproposizione dell’alleanza europea fra Popolari, Socialisti e Liberali.
Ora a Giorgia Meloni resta il solo Orbán (che ieri a Pechino si è fatto immortalare mentre stringe la mano a Vladimir Putin).
Ma non è chiaramente la stessa cosa: perché l’ungherese è apertamente filo-russo mentre la destra italiana è atlantica; e presenta tendenze illiberali, a cominciare dalla libertà di stampa, che da noi sarebbero addirittura impensabili.
E allora?
Allora, come nel gioco dell’oca, torniamo di nuovo a quello che vi ho sempre indicato come il suo problema più grande.
Giorgia Meloni, persa anche lo sponda polacca, dovrà decidere una buona volta cosa fare della sua forza elettorale, che stando ai sondaggi resterà notevole anche alle europee.
Può insistere sulla linea cosiddetta “sovranista”, ma quel fronte sull’asse di Visegrad si è disgregato e non esiste quasi più, disciolto nelle urne.
Se questa fosse la sua scelta vorrebbe dire rassegnarsi all’isolamento assieme a Salvini, alla La Pen, a Vox, ad AfD, ad Orban, e alle altre forze del sovranismo europeo, in chiaro arretramento,
Oppure può gettare il cuore oltre l’ostacolo, e avviare la trasformazione di Fratelli d’Italia in un partito di centrodestra stile Popolari europei.
Certo dovrebbe convincere il suo Partito, che forse potrebbe non esser ancora pronto al nuovo posizionamento, ma non c’è dubbio che solo quella sia la strada per inserire l’Italia nel ristretto gruppo di Paesi che “menano il torrone” a Bruxelles.
Per il momento ci conforta che la Polonia abbia cambiato rotta, confermandoci nell’idea che la democrazia di stampo europeo sembra ancora avere voglia di tenere botta, e di sopravvivere a democrature ed autoritarismi.
Umberto Baldo