20 Dicembre 2024 - 9.51

Al Congresso della Lega lombarda Salvini si sente riproporre il problema del Nord

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Umberto Baldo

Una delle accuse più ricorrenti rivolte dagli “avversari” interni a Matteo Salvini è sempre stata quella di aver affossato il dibattito, ed in effetti un Partito abituato con Umberto Bossi a tenere Congressi di frequente, per più di un decennio (dal 2013 al 2025 secondo gli annunci) non ha visto la convocazione di alcuna Assise congressuale.

Adesso che la stagione dei Congressi è stata avviata, immagino che molti di voi si chiedano il perché di questa presunta “idiosincrasia” del Capitano per i dibattiti congressuali.

I motivi sono sicuramente molti. 

Il primo che Salvini in questi anni ha trasformato la Lega Nord in un partito nazionale, la Lega per Salvini Premier, riducendo così l’autonomia delle sezioni, e accentrando il controllo a livello centrale (preferendo ai Segretari eletti a livello locale i Commissari nominati da lui).

Convocare congressi durante questo processo poteva rappresentare un rischio; quello di dare spazio e voce agli oppositori interni, riaccendendo possibili tensioni tra le anime “nordiste” e quelle più “sovraniste” del partito.

Ma, come abbiamo constatato negli ultimi tempi, relativamente ai Congressi Salvini ha deciso di cambiare approccio, probabilmente per rispondere alle critiche crescenti, e tentare di rafforzare la sua leadership in un momento di calo dei consensi e di riorganizzazione interna.

C’era grande aspettativa ad esempio prima del Congresso della Liga Veneta, ma alla fine, con una bella dose di “gattopardismo in salsa veneta”, è andato tutto come da copione, con la vittoria di Alberto Stefani, che da Commissario si è trasformato in Segretario regionale. 

Sui problemi di Salvini in Veneto vi ho già intrattenuto di recente, per cui vi rimando al mio pezzo del 26 novembre ( https://www.tviweb.it/la-liga-del-leon-e-la-partita-del-veneto-vittorio-veneto-o-caporetto/).

In vista del Congresso Federale (ricordo che ancora adesso la Lega è divisa su base regionale) mancava quello che, almeno sulla carta, doveva essere “il Congresso dei Congressi”, ovviamente per il ruolo centrale che la Lombardia ha sempre avuto nella Lega.

Indubbiamente un passaggio cruciale per il Capitano, perché la Lombardia, culla e laboratorio storico del Carroccio, era commissariata dal 2021, anno della clamorosa uscita di scena di Paolo Grimoldi, l’ultimo dei bossiani, poi espulso in un crescendo di strappi e ferite.

E questo rendeva il Congresso di domenica 15 dicembre quasi la scena di una resa dei conti lombarda: perché si annunciava come l’evento in cui si sarebbe misurato lo stato dell’intera architettura leghista; di fatto, per Salvini, una cartina di tornasole del suo potere e della sua capacità di tenuta.

Bene, nella cornice dell’Hotel Sheraton di Milano il Congresso non è andato proprio come il Capitano sperava.

Vediamo innanzi tutti i candidati alla carica di Segretario.

Salvini puntava probabilmente ad un congresso unitario (con un unico candidato da lui designato), ma alla fine si sono trovati a correre in tre: Massimiliano Romeo, leader dei senatori e capofila dell’ala “nordista”; Luca Toccalini, giovane rampante e fedelissimo del Capitano, quasi il suo alter ego generazionale, e infine Christian Invernizzi, deputato di ieri e voce degli irriducibili che osano dissentire (si è ritirato dichiarando polemicamente “adesso organizziamo un congresso regionale peggio di un’elezione per la bocciofila”). 

Doveva vincere Toccalini (il pupillo di Salvini), ed invece lui ed Invernizzi hanno dovuto fare un passo indietro, lasciando campo libero a Massimiliano Romeo, alla fine eletto per acclamazione nuovo Segretario per la Lombardia. 

Ma quel che più conta è che non si è trattato di una passerella, ma di un “congresso vero”, in cui sono emersi i mal di pancia dei lombardi.

Un congresso in cui non è mancato un amarcod sulla necessità di difesa degli interessi del Nord, unitamente ad un rilancio della Padania; e che ha evidenziato come la svolta nazionalista impressa da Matteo Salvini sia tutt’altro che vincente.

E sono bastate queste parole pronunciate dal neo Segretario Romeo per rendersi conto che il “Nord”, tema archetipo della Lega, viene percepito da molti militanti come “tradito”: “Matteo, sai che sono sempre stato leale con te, se non parliamo più del Nord, al Nord i voti non li prendiamo più. Riprendiamoci la nostra identità, la vera identità, poi possiamo parlare di temi di destra sinistra o centro. Nell’immaginario collettivo la destra sarà sempre rappresentata da Giorgia Meloni ed è inspiegabile questo continuo cercare un posizionamento politico nuovo e dimenticarci di coltivare il nostro spazio politico. La Lega rappresenta il movimento del territorio agli occhi dei cittadini, noi i voti li prendevamo dappertutto. Questa deve essere l’idea: riprendiamoci la nostra identità, la vera identità”.

Ma segnali di inquietudine li ha mandati anche il Presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, che ha detto: “Se continuiamo a dire che va tutto bene, nascondiamo qualcosa. Ci sono tante cose che vanno bene, ma anche altre che non vanno bene. Il problema del Nord c’è, è sempre più presente e si presenterà nei prossimi mesi e anni. Quando dite che i nemici sono fuori dalla Lega, beh qualche nemico è anche dentro. Perché quando vedo certi emendamenti, firmati dai nostri parlamentari di zone diverse dalle nostre, e che vanno tutti a danno della Regione Lombardia, io mi incazzo come una bestia”.

Leggendo i resoconti giornalistici mi sono fatto l’idea che il Congresso lombardo sia stato un po’ seduta di analisi collettiva, ed un po’ momento catartico; una di quelle riunioni di famiglia dove ognuno dice finalmente quello che pensa. 

I cronisti riferiscono ad esempio che Massimiliano Romeo vorrebbe addirittura ripristinare il “Sole delle Alpi” e la mitica “Cerimonia sul Monviso” alla sorgente del Po, che  ad Attilio Fontana   piacerebbe tornare ai tempi di «Padania libera», e che Giancarlo Giorgetti prova nostalgia per i manifesti con la Lombardia trasformata in gallina dalle uova d’oro, e auspica che vengano «tutelati dall’Unesco».

Salvini nella replica ha dichiarato, fra l’altro, che su una cosa non tornerà mai indietro; la  scelta di movimento nazionale perché la ritiene “giusta per il Paese e utile per la Lombardia”.

La cronaca potrebbe fermarsi qui, rimarcando che il Congresso della Lombardia non è stato un raduno di combattenti e reduci, quanto l’occasione per molti per richiamare la leadership della Lega a quell’ancoraggio al Nord, alle sue tematiche, alle sue istanze, ai suoi valori, che lamentano essere stati annacquati o smarriti dalla svolta nazionale impressa da Salvini. 

In questi senso vanno letti i rimpianti dei riti e dei simboli del passato, che servono solo a rendere più plastica e comprensibile un’istanza di ritornare, come dice il neosegretario lombardo Romeo, a parlare “alla nostra gente, ai nostri imprenditori, ai nostri artigiani”

Ma la politica non è solo cronaca; è anche pensiero, riflessione, strategia, lotta, speranze; per cui dal mio punto di vista mi sembra di poter dire che mai come domenica scorsa a Milano Massimiliano Romeo e Attilio Fontana hanno ricordato a Matteo Salvini la parola fondativa e da molto tempo dimenticata e negletta: Nord.

Non è un passaggio da sottovalutare, perché la sostituzione della denominazione “Lega Nord” con “Lega per Salvini premier” si è rivelata una vera e propria trasformazione “genetica” del Partito.

E infatti la Lega primigenia, quella di Umberto Bossi, non si sarebbe certo spesa per la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, perché il suo obiettivo era liberare il Nord dalla burocrazia romana. 

Quello era il vero senso di “Roma ladrona”; la contrapposizione al centralismo, giudicato come il nemico numero uno della vitalità settentrionale. 

I messaggi di Romeo e Fontana, analoghi a quelli che si sentono in Veneto, vogliono dire semplicemente che dirigenti e militanti non sanno più cosa raccontare agli iscritti ed ai cittadini per tenerli legati, soprattutto adesso che la prospettiva dell’Autonomia differenziata sembra allontanarsi molto nel tempo, tanto da sembrare quasi un miraggio.

Ecco perché diventa inevitabile il guardare all’indietro, ai tempi della Lega di Umberto Bossi; alla Lega della Padania, alla Lega del Sole delle Alpi, alla Lega del “Roma ladrona la Lega non perdona!”.

Non so se Matteo Salvini sarà in grado di cavalcare questa che potrebbe anche diventare una marea montante, dato che i discorsi sentiti a Milano sono gli stessi che si fanno negli ambienti leghisti del Veneto, ed anche del Piemonte.

Lo vedremo l’anno prossimo al Congresso Federale, che Salvini a scanso equivoci vorrebbe solo “programmatico”, ma di questi tempi non si può mai sapere cosa abbia in serbo il futuro.

Umberto Baldo

VIACQUA

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