Anno nuovo, problemi vecchi: manca i “schei”
All’appello manca solo l’Epifania, ma si sa che la Befana è una festa che coinvolge quasi esclusivamente i più piccoli, che ancora credono alla vecchietta che, volando su una scopa, porta doni ai buoni e cenere e carboni ai cattivi.
Per gli altri, dopo la sbornia (e non parlo solo di vino e alcolici) delle festività di Natale e Fine anno, dopo i balli, dopo i concerti in piazza, dopo le promesse di essere migliori, dopo le speranze di un anno migliore di quello appena trascorso, c’è la consapevolezza che di fatto i problemi del 1° gennaio sono gli stessi del 31 dicembre.
E dopo essersi resi conto che le difficoltà non svaniscono magicamente con il brindisi di mezzanotte, giocoforza si ricomincia quindi a guardare avanti, appunto a quelle problematiche economiche, sociali e personali che continuano a seguirci, e a dirci che il calendario altro non è che un’illusione di cambiamento.
Ed il primo problema resta sempre quello degli “schei”, che sono sempre insufficienti alla bisogna.
Come sempre il 2024 si è chiuso con l’approvazione della legge di Bilancio, con un voto di fiducia come ormai accade dal lontano 2018, e con lo strascico delle solite proteste dell’opposizione (forse varrebbe la pena prendere atto che qualche aggiustamento alla Costituzione più bella del mondo sarebbe ormai necessario).
Onestamente non è una Finanziaria che fa sognare. E per il terzo anno consecutivo si palesa in modo evidente che le promesse elettorali dei “patrioti” che ci governano sono state di fatto disattese.
Certo sono state ripristinate le “regole di bilancio europee”, si devono ancora scontare le follie (e le decine di miliardi) del Superbonus 110%, ma da liberale permettetemi di dire che forse si poteva osare di più sul fronte di una profonda revisione della spesa, soprattutto di quella assistenziale.
Ma si sa che sussidi e bonus, unitamente a flax tax e condoni, sono la strada maestra dei nostri Demostene, ed eventuali tagli andrebbero contro la ricerca politica del consenso.
Quindi ragazzi, mettiamocela via, al di là delle parole, delle fanfaronate, delle sparate per avere i titoli dei giornali, la strada resterà quella ben collaudata fin dall’epoca dell’Impero Romano; “panem et circenses”.
Trovo comunque giusto riconoscere a Giancarlo Giorgetti, a capo del Ministero che più di ogni altro subisce l’”assalto alla diligenza” delle lobbies economico-industriali e dei Parlamentari, di aver saputo tenere la “barra dritta” sul deficit.
C’è da augurarsi che ci riesca anche in occasione delle prossime due leggi di bilancio, quando l’avvicinarsi delle elezioni indurrà tutti a incalzare il Ministero per avere più soldi da elargire in regalie e spese improduttive a scopo elettorale.
Il 2025 non si presenta per l’industria italiana come un anno facile, avendo per di più alle spalle due anni interi di contrazione della produzione industriale.
La prima cosa che viene in mente è il settore Automotive, con 70.000 posti di lavoro coinvolti, ma da mesi i Vertici delle Associazioni degli industriali lanciano segnali di allarme per l’intero comparto della Manifattura, che nel bene e nel male, con l’export, contribuisce in maniera determinante al nostro Pil.
Questa criticità sembra non allarmare più di tanto il Governo, che non si stanca mai di sempre a ricordare che Turismo e Servizi continuano a crescere….
Sarà che si tratta di settori a basso valore aggiunto, dove non si chiedono certo alte professionalità (sicuramente piuttosto che niente meglio piuttosto), ma mi auguro che i nostri Demostene non vedano per i giovani italiani un futuro di camerieri, facchini, bagnini ed affittacamere (sovente abusivi).
Vedrete che quando aumenteranno le ore di cassa integrazione, e molte aziende chiuderanno i battenti, cambieranno anche spartito e musica nei palazzi romani.
Ma intimamente legato all’economia dell’Europa, e inevitabilmente anche dell’Italia, c’è il problema della sicurezza, drammaticamente tornato alla ribalta, dopo 80 anni di pace, con l’aggressione russa all’Ucraina.
Su tale tema si imporranno scelte drammatiche, e sicuramente impopolari.
I cultori di storia ricorderanno che nel 1938, Benito Mussolini chiese retoricamente alla folla se volesse “burro o cannoni”: e la risposta, come è noto, cadde infaustamente sulla seconda alternativa.
Non dico che vedremo Giorgia Meloni sul balcone di palazzo Chigi proporre lo stesso dilemma agli italiani, anche perché ci ha pensato Donald Trump, fra pochi giorni nuovo Presidente Usa, a porre la questione, facendo trapelare che chiederà ai Paesi della Nato di aumentare le spese per la difesa fino a raggiungere il 5% del Pil (l’Italia impiega meno del 2%).
A riproporre la problematica ci ha poi pensato il Segretario Generale della Nato, Mark Rutte, sottolineando che i Paesi europei destinano in media il 25% del PIL a sanità e pensioni, ed insistendo sulla necessità di riallocare una parte di questi fondi per rafforzare gli armamenti.
Parole chiare quelle di Rutte: “Non siamo in guerra, ma nemmeno in pace. La nostra deterrenza funziona per ora, ma guardo con preoccupazione ai prossimi 4-5 anni. Non siamo pronti per ciò che potrebbe accadere, e il pericolo si avvicina rapidamente. Ciò che è accaduto in Ucraina potrebbe accadere anche qui.”
Rutte non è un novellino della politica. E’ stato per lungo tempo Primo Ministro dell’Olanda, e sa di cosa parla quando dice: “L’Europa rappresenta il 10% della popolazione mondiale, ma ha il 50% della quota di welfare”.
E’ evidente il suo suggerimento che una piccola parte di questa spesa venga ri-orientata per mettere in sicurezza i confini: “Non stiamo parlando di scegliere tra i tank e gli ospedali: possiamo fare entrambi. Ma se non agiamo ora, non saremo pronti quando sarà troppo tardi”.
Ecco perché, ribadisco, se un domani non ci si vuole trovare improvvisamente di fronte alla drammatica scelta fra “burro o cannoni”, sarebbe opportuno “snellire” un po’ la spesa pubblica improduttiva (e credetemi che ce n’è tanta di clientelare), fin da subito, destinando più risorse alla difesa collettiva.
Immagino quanto siano inorriditi sentendo questi ragionamenti i nostri pacifisti da marce e da tastiera, la gauche caviar, i centri sociali, il Vaticano, e quant’altri credono che per avere la pace sia sufficiente invocarla.
Ma Rutte fa politica, e mi chiedo cosa ci sia di così fuori dal mondo quando dichiara: “Quello che sta succedendo in Ucraina potrebbe succedere qui. E la Cina sta osservando con attenzione: se Putin prevarrà, Xi Jinping prenderà nota e potrebbe tentare qualcosa in Asia. Il conflitto è una lezione che non possiamo ignorare: le collaborazioni tra Russia, Iran, Corea del Nord e Cina dimostrano che siamo in un mondo più pericoloso rispetto alla Guerra Fredda”.
I politici più avveduti hanno capito cosa potrebbe riservare il futuro, ma parlarne apertamente è altra cosa, per cui preferiscono far finta di nulla.
A parte Crosetto, Ministro della Difesa, che ha scritto che l’idea di utilizzare l’esercito principalmente per operazioni e missioni di pace nelle aree critiche del mondo, rimasta valida negli ultimi tre decenni, «è un lusso che oggi, soprattutto alla luce dell’attuale contesto internazionale, l’Italia non può più permettersi». Al contrario, il potenziamento delle proprie capacità militari deve tornare a essere «il principale baluardo in termini di difesa e deterrenza da tutti i tipi di minacce, presenti e future”.
Economia, sicurezza, queste le sfide del 2025.
Ovviamente non è detto che tutto si trasformi in tragedia, anzi!
Ma il solo fatto di prenderne atto, senza insistere banalmente che “tutto va bene”, sarebbe già un bel primo passo.
Umberto Baldo
PS: certo può essere che si stia esagerando, ma la Polonia sta espandendo tramite una serrata riconversione industriale la sua capacità di produrre armamenti e, al contempo, in sinergia con Stati come Finlandia e Svezia,sta abituando la propria società ad un clima da pre-conflitto. E la Croazia, dopo 17 anni, dalla metà di quest’anno reintrodurrà il servizio militare obbligatorio. Stanno tutti sbagliando? Può essere che per l’Italia basti schierare contro un eventuale invasore le schiere oranti dei nostri pacifisti (in fondo funzionò quando Papa Leone Magno nel 452 d.C. fermò Attila).