Assemblea di Confindustria e politica sempre più lontani
“Non chiedete cosa l’America può fare per voi, ma cosa voi potete fare per l’America”. Lo spirito di John Fitzgerald Kennedy e del suo storico discorso di insediamento era molto, molto lontano da quello che ha aleggiato ieri all’assemblea di Confindustria di Vicenza.
Piuttosto si è respirato fin dalle prime righe della relazione della presidente, Laura Dalla Vecchia, una rottura dichiarata e ragionata tra Confindustria e politica. L’assenza ”per motivi familiari” di Andrea Bonomi, è il primo segnale di un vulnus che si fa finta di ignorare e che non viene neanche sostituito dal saluto della vice di Bonomi – Barbara Beltrame – seduta in prima fila o dal solito pizzino che si invia in questi casi. La non presenza del numero 1 di Confindustria ha il sapore della rottura con la politica, di un messaggio ai naviganti ad una settimana dal voto. Lo stesso messaggio, al contrario, arriva di ritorno da Giorgia Meloni, ossia dalla probabile premier che si concede il lusso, pur invitata, di snobbare la kermesse confindustriale e mandare Adolfo Urso, ora custode dell’ortodossia del cambiamento della destra politica.
In realtà anche il messaggio della Meloni è ben chiaro, nessuna intenzione di farsi dettare l’agenda dall’aquilotto.
Questa la partenza della giornata. Poi arriva la relazione di apertura di Dalla Vecchia che ne ha per tutti, dalla critica alla sfiducia a Draghi, alla mancanza di interventi veri, al non rispetto degli impegni di fronte alle richieste della sua associazione di categoria, nel racconto della big vicentina di Confindustria ci sono due velocità, quella supersonica delle imprese, che lei rappresenta, e quella quasi immobile della politica e dei governi – con la sola eccezione di Mario Draghi -. Nel suo lungo e articolato intervento il filo conduttore è un continuo marcare di netto la differenza tra due mondi che non si capiscono. Da una parte le imprese che chiedono alla politica di modernizzare il Paese, dall’altra una classe politica che guida l’Italia con il pilota automatico, senza decisione, senza scelte chiare, senza visione, incapace persino di mettere a terra la cosiddetta Agenda Draghi, che in realtà è il perimetro definito con l’Europa sugli investimenti straordinari dopo il Covid.
Alla parola Draghi la platea si spella le mani, quasi a dare un messaggio ai leader presenti in sala che nessuno ha miglior gradimento di Supermario. Epperò sia i due governatori che la rosa Calenda, Letta, Urso, rappresentanti dei tre poli contrapposti, cerca di blandire una platea molto esigente ed altrettanto diffidente.
Lo fa Luca Zaia, con il battutismo, non nuovo, sui premi Nobel e ripetendo spesso ”come ha detto la Presidente Laura Dalla Vecchia”, per marcare una vicinanza alle istanze del pubblico.
Lo fa Stefano Bonaccini col piglio dell’amministratore navigato che racconta ai suoi amici come ha affrontato le emergenze in Emilia Romagna, Guccini ci potrebbe fare una canzone, ma il meglio arriva da Calenda e Letta che cercano l’applauso con la riduzione del cuneo fiscale e il ripristino di Industria 4.0.
Lo facevano anche i Romani e si chiamava captatio benevolentiae. Urso, al contrario non cerca l’applauso e tiene la posizione di Fdi sull’antidogmatismo del PNRR, ”si può modificare per eventi straordinari intervenuti successivamente” – dice – “e la guerra in Ucraina lo è”.
Pochi discorsi di chiusura e la folla sciama, chi verso casa, chi verso i tavoli della cena prevista sempre nella stessa straordinaria location dell’Officina Grandi Riparazioni. A tavola i commenti meriterebbero un altro articolo.
Rimane il dubbio su chi deve chiedersi cosa fare per il proprio Paese, solo la politica o anche Confindustria?