28 Agosto 2024 - 8.43

Autonomia regionale differenziata. Ma serviva proprio il Referendum?

Umberto Baldo

Lunedì scorso Luca Faietti, con un editoriale dal titolo “Autonomia differenziata, Zaia contro il Sud (e Salvini fa il ponte)” è ritornato sul tema dell’Autonomia regionale, relativamente alla quale, dopo le calure estive (non ancora finite purtroppo) si avvicina il momento, a cavallo fra settembre e ottobre, in cui,  secondo fonti dell’Esecutivo, potrà essere avviato ufficialmente il negoziato fra il Governo e le quattro Regioni (Veneto, Piemonte, Liguria e Lombardia) che hanno chiesto l’assegnazione di materie non riferite ai Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep).

Non ho certo intenzione di riprendere in mano l’intera vicenda di questa travagliata riforma, relativamente alla quale ho già espresso il mio pensiero lo scorso 24 giugno in un editoriale dal titolo “Cosa cambierà con l’Autonomia differenziata? Quasi niente. I cambi di bandiera ipocriti contro la legge e l’assurda posizione di Sardegna e Sicilia che sono già autonome” (https://www.tviweb.it/cosa-cambiera-con-lautonomia-differenziata-quasi-niente-i-cambi-di-bandiera-ipocriti-contro-la-legge-e-lassurda-posizione-di-sardegna-e-sicilia-che-sono-gia-autonome/) che se siete interessati  al tema vi invito a rileggere.

E confermo la mia idea che, nonostante tutte le grancasse, non cambierà praticamente nulla, perché il complesso delle Forze politiche italiche, Lega esclusa ovviamente, è fortemente contrario alla riforma, in quanto ancora legato a schemi mentali di tipo “napoleonico”, caratterizzati da un esasperato centralismo statale.

D’altronde in cosa consiste l’ “essenza del potere politico”?

Non sforzatevi di cercare una risposta, perché in realtà ce n’è solo una: nel poter distribuire soldi.

Ed è sempre stato così nella storia umana, ed i nostri antenati romani quando parlavano di “panem et circenses” sapevano bene che distribuire “schei” è la base del “consenso politico”.

Logico che il “Potere romano”, al di là delle dichiarazioni di facciata, veda come il fumo negli occhi qualunque norma che attribuisca risorse aggiuntive ad entità diverse dai Ministeri, come avverrebbe con l’applicazione dell’Autonomia differenziata.

E’ chiaro che le motivazioni  formali addotte per contrastare l’Autonomia non sono certo quelle economiche, ma credetemi che le cose stanno così.

Certo rimane la voglia di chiedere al Partito Democratico di spiegarci perché mai venti anni fa promulgò, con pochi voti di maggioranza, questariforma del titolo V della Costituzione (artt. 114–132 Cost.)

Ma al di là delle spiegazioni di contesto che possiamo intuire (sottrarre alla Lega l’idea della secessione o garantire le riforme Bassanini o altro), quella scelta rivela a mio avviso la drammatica irresponsabilità di quel gruppo dirigente, visto che il Pd a trazione Schlein bolla adesso da “irresponsabili” i leghisti che si limitano a volerla applicare.

Già perché non dimenticate mai che la cosiddetta “Riforma Calderoli” non introduce nulla di nuovo, trattandosi di una legga puramente “procedurale”, attuativa appunto delle modifiche costituzionali approvate nel 2001 (e se 23 anni di chiacchiere vi sembrano pochi!).

Come scrive Luca Faietti, non è facile pronosticare se l’attuazione dell’Autonomia sarà un’opportunità di sviluppo per tutte le Regioni (come sostiene Luca Zaia), oppure un ulteriore motivo di ampliamento delle disuguaglianze oggettivamente presenti nel Paese.

Dipende ovviamente da come verrà interpretata ed applicata.

Un po’ come succede con certi veleni (absit iniuria verbis), che in dosi minime possono essere usati come medicamenti, mentre in dosi eccessive possono essere letali.

Ma c’è un passaggio su cui vorrei soffermarmi ulteriormente; quello del Referendum abrogativo su cui le opposizioni hanno già raccolto le firme.

Tutto legittimo eh!  Procedura prevista dalla Costituzione!

Ma sappiamo bene che non tutto ciò che è legittimo è allo stesso tempo  “politicamente opportuno”.

E non a caso nel mio pezzo di giugno scrivevo “Perché annunciare da subito, senza aspettare come questa normativa verrà attuata, la mobilitazione dei cittadini, con la speranza che si formi un ampio comitato promotore per la raccolta di firme che porti al referendum per l’abrogazione della Legge Calderoli?  Non pensiate che non lo sappia il perché, e lo sapete anche voi: “è la politica bellezza”, utilizzata da questi nostri Demostene non per spiegare chiaramente ai cittadini come stanno le cose, ma per suscitare divisioni, addirittura richiamando “fascismi” e “comunismi”, al solo scopo di accaparrarsi un po’ di consenso, fra l’altro in questa fase storica sempre più effimero….” 

In estrema sintesi la domanda che mi pongo oggi è la seguente: “non pensate che il Referendum (ammesso che la Corte Costituzionale ne dichiari l’ammissibilità, cosa che non darei per scontata) rischi di approfondire la frattura che oggettivamente esiste fra Nord e Sud?

Chi mi legge da un po’ sa che non amo molto i giri di parole.

Ed al riguardo io sono convinto che la cosiddetta “questione meridionale” non sia stata mai del tutto superata, come vogliono farci credere.

Mi spiego meglio.

Io penso da sempre che il divario tra Sud e Nord, il cosiddetto “Paese separato”, sia una conseguenza dello sviluppo concentrato al Nord e determinato da una borghesia imprenditoriale che ha ottenuto, nella mediazione con lo Stato, fondi e risorse per garantire al settentrione le condizioni infrastrutturali e sociali di questo sviluppo. 

E che, passata la stagione delle “grandi illusioni” dello sviluppo indotto della Cassa per il Mezzogiorno, le risorse destinate al Sud non abbiano affatto riguardato l’ammodernamento e la spinta economica per dare vita ad una filiera produttiva, trattandosi in  realtà di rendite clientelari destinate ad una borghesia parassitaria, per cui queste risorse avevano un carattere politico che veniva scambiato con il consenso.

Non a caso, tutto il Centro Sud ha potuto contare  su un sistema di grandi mediatori politici tra lo Stato e le Regioni (Lima, Gaspari, Gava, ecc.), mentre al Nord la mediazione con lo Stato è stato determinato da Confindustria e dalle Imprese; infatti, non mi vengono in mente grandi mediatori politici del Nord ,ma piuttosto imprese che hanno percepito risorse, in primis la Fiat degli Agnelli.

Quindi squilibri che  vengono da lontano, sono poi sicuramente aggravati dalla cronica incapacità delle classi politiche del Sud di spendere bene le risorse assegnate (ma qui il discorso si allungherebbe troppo).

Ritornando alla domanda: vale proprio la pena per mere questioni elettorali assumere atteggiamenti e toni “apocalittici”, parlando di “battaglia per difendere l’unità del Paese”, rischiando con il Referendum di risvegliare rimpianti neo borbonici, e rinfocolare ataviche fratture?

Perché se si andrà ad una campagna elettorale per il “Si” o per il “No” inevitabilmente, soprattutto sui social, vedremo la riesumazione di vecchi odi mai sopiti, di vecchi luoghi comuni, di vecchi insulti (e saranno ben più pesanti dei soliti “terroni” e “polentoni”) .

Non sarà cioè il dibattito politico a prevalere, bensì le reazioni “di pancia”.

Francamente da politici che sbandierano ai quattro venti la difesa dell’ “unità nazionale” non mi sarei aspettato questa scelta divisiva.

Anche perché, mi ripeto fino alla nausea, credetemi che l’Autonomia resterà una delle tante “incompiute” della Repubblica di Pulcinella, una sorta di “Araba Fenice”.

Umberto Baldo

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