23 Aprile 2025 - 9.30

Banche. Dal tempo delle mele alla nostalgia per le Bin

Umberto Baldo

Riprendendo il filo del discorso di ieri sulla Golden Power esercitata dal Governo su Unicredit, allargando lo sguardo credo si possa tranquillamente sostenere che il riflesso, o l’ingerenza se preferite, della politica sul mercato finanziario non è una novità di oggi. 

C’è sempre stato un filo diretto tra Banchieri, Mercanti e Governanti, almeno fin dai tempi dei Fugger o dei Medici, che finanziavano Papi e Re.

Certo il mondo è cambiato da allora, con l’ingresso di soggetti nuovi.  

Credo sia sufficiente citare solo i Fondi finanziari, i veri “padroni del mondo”, istituzioni finanziarie che concentrano in poche mani la ricchezza mondiale, e per certi aspetti sono diventati più importanti dei Governi e dei Parlamenti.

La storia dell’economia riempie da sempre intere biblioteche, per cui in poche righe non posso che limitarmi a segnalare gli aspetti più problematici di questo rapporto fra Politica e Finanza.

Partendo dalla constatazione che ormai da un trentennio ci siamo abituati al ruolo delle Banche Centrali, attorno alle quali si è cercato di creare una sorta di barriera insuperabile per isolarle dal mondo politico; barriera che ha un nome ben preciso, autonomia.

In teoria, le Banche Centrali sono indipendentidai Governi. 

Questo principio si è affermato soprattutto negli anni ’90, con la convinzione che la politica monetaria dovesse essere sottratta alle pressioni politiche di breve termine. L’esempio classico è la BCE, che ha come unico mandato la stabilità dei prezzi (inflazione sotto il 2%), mentre negli Stati Uniti, la Federal Reserve ha invece un mandato “duale”: stabilità dei prezzi e piena occupazione.

L’indipendenzaserve a evitare che un Governo, per vincere le elezioni, allenti la politica monetaria (bassi tassi, più spesa) facendo lievitare l’inflazione.

Ne consegue che dove esiste l’autonomia, i Governi e i Parlamenti non possono dare ordini alle Banche Centrali.

Non pensiate che questo principio abbia posto fine allo scontro fra Politica e Istituzione finanziarie.

Solo per fare un esempio, dal 2019 al 2024 il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha sostituito ben cinque Governatori della Banca Centrale della Repubblica di Turchia (CBRT), un numero eccezionalmente alto per un’istituzione che, per legge, dovrebbe garantire stabilità e indipendenza.

Ma è di questi giorni la polemica rovente fra Donald Trump ed il Presidente della Fed Jerome Powell, reo di non piegarsi alle pressanti indicazioni del Tycoon di abbassare i tassi di interesse.

E immagino ricordiate quante volte abbiamo sentito economisti del calibro di Salvini attaccare a testa bassa la Bce perché non voleva allentare i cordoni della borsa, o per le sue scelte giudicati troppo “prudenti”.

Quindi si può dire che la Politica ha sempre avuto il desiderio, o la pretesa, di controllare Banche e Finanza, perché in fin dei conti chi controlla il credito, controlla l’economia.

Nella pur breve storia dallo Stato italiano, per varie ragioni, i legami fra Banche e Politica sono sempre stati assai stretti, a volte oserei dire incestuosi.

È avvenuto così a fine Ottocento, in occasione dello scandalo e conseguente fallimento della Banca Romana, che accelerò la costituzione della Banca d’Italia, e successivamente nel caso del “salvataggio” della Banca italiana di Sconto nel primo dopoguerra, ed in quello del sostegno alle due principali banche “miste”, il Credito italiano e la Banca commerciale Italiana, soccorse dall’Imi all’inizio degli anni Trenta.

Ma nel 1972 toccò alla Banca Privata Italiana di Michele Sindona; nel 1982 fu la volta del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. 

Tra la fine degli anni Ottanta e la metà del decennio successivo fu poi la volta di alcune Casse di risparmio centrosettentrionali, tra cui quella di Prato, e poi del Banco di Napoli, che di fatto piegò il sistema bancario meridionale costringendo il Paese ad un pesante esborso di risorse pubbliche.

Il resto è storia recente, e basta semplicemente ricordare solo alcuni nomi: Banca Popolare Italiana, travolta nel 2006, per proseguire con Carige, con le Casse di Risparmio di Cesena, Rimini e San Miniato, per approdare a Banca Etruria, Banca Marche, Cassa di Risparmio di Ferrara e Carichieti.  Senza dimenticare Veneto Banca e Popolare Vicentina, ed il salvataggio in extremis del Monte dei Paschi di Siena. 

Una storia di pesanti perdite subite da azionisti e obbligazionisti degli istituti bancari italiani coinvolti nei fallimenti, e di colossali esborsi pubblici per i salvataggi (qualcuno ha fatto qualche calcolo, ed ha concluso che il conto per i contribuenti è stato di circa 31 miliardi).

Ricorderete che ieri ho chiuso il mio pezzo parlando di “nostalgia del tempo delle Bin”.

Poiché molti di voi non ne avranno mai sentito parlare, in estrema sintesi si parla di Bin relativamente a tre grandi Banche, Il Credito Italiano, La Banca Commerciale Italiana, e la Banca di Roma,  definite dal 1936  “Banche di Interesse Nazionale” (Bin), il cui capitale era in maggioranza detenuto dall’IRI, Istituto per la Ricostruzione Industriale (quindi dallo Stato!). 

Fu così che nel secondo dopoguerra furono ancora una volta il peso dello Stato e della Politica ad operare per tenere sotto controllo, e sotto tutela, forse l’unico sistema bancario nazionale interamente “pubblico” che pur agiva, a differenza di quelli dei Paesi del blocco sovietico, nei mercati finanziari internazionali.

In quella fase la compenetrazione fra Politica e Banche fu massima, con i Partiti che si spartivano spudoratamente Presidenze, Vicepresidenze e Cda.

Anni in cui banchieri erano agli ordini dei politici che li nominavano, ma in cui capitava che qualche banchiere più “politico” degli altri riuscisse anche a condizionare a proprio favore le scelte dei Palazzi. 

Era un vero e proprio “mercato delle vacche”, con le poltrone al posto dei bovini.

Ma sapete, per un politico era bello alzare il telefono, chiamare il Banchiere amico (che hai contribuito a nominare) e chiedergli che ne so, di concedere credito ad una persona o ad un’azienda amica o vicina al Partito, oppure di assumere il figlio di un militante od un parente, o al limite di dare un contributo per la campagna elettorale.

Ecco perché, forse forzando, parlo di nostalgia delle Bin, intesa come nostalgia di un certo mondo, quello in cui gli intrecci fra Politica ed Affari anche nelle altre banche, Casse di Risparmio in primis, non erano poi molti diversi.

Cercando di arrivare ad una conclusione, io sono convinto che lo Stato ha certamente il dovere di vigilare: stabilire regole, evitare crisi sistemiche, tutelare risparmiatori e contribuire alla stabilità.

Ma con dei limiti ben precisi, che nel caso del Golden Power imposto ad Unicredit temo siano stati valicati.  

Perché il rischio è quello di passare dalla regolazione alla gestione diretta; nel qual caso si entra in un terreno minato. 

Il “dirigismo economico” – cioè la tendenza a controllare o dirigere direttamente le leve dell’economia – è stato un tratto dominante in certi periodi storici, specialmente nel dopoguerra, ma ha spesso mostrato i suoi limiti: inefficienza, clientelismo, corruzione, e scelte non economiche ma politiche.

E la storia sta lì ad insegnarci che quando la politica mette troppo le mani nella gestione del credito, spesso i prestiti vanno agli amici, ai “protetti”, ai progetti inutili. 

E quando poi le cose vanno male a pagare è sempre Pantalone: il contribuente.

Il punto di equilibrio sta nella regolazione intelligente: quella che fissa paletti chiari (ad esempio sui requisiti patrimoniali delle banche, sulla trasparenza, sulla gestione del rischio), ma lascia poi gli operatori agire secondo logiche di mercato. 

Le Autorità indipendenti (come Bce, Banca d’Italia, Consob) servono proprio a questo: evitare l’interferenza politica diretta, garantendo al contempo controlli seri ed imparziali. 

Diffidate quindi di coloro che spacciano l’illusione che lo Stato sia più efficiente del Mercato, e che basti “comandare” l’economia per farla funzionare.

Perché in quel caso si passa dalle economie di mercato a quelle pianificate dal Potere; e credo che  nessuno ambisca a vivere ad esempio in Corea del Nord.

Umberto Baldo 

VIACQUA

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