Banche e buoi dei Paesi tuoi? Via, non siamo ridicoli!
Umberto Baldo
Ieri ci siamo lasciati con la considerazione che, nonostante la tendenza in atto a livello mondiale di dare vita a Gruppi Bancari sempre più grandi, in Europa (vedi ad esempio la contrarietà tedesca all’operazione Unicredit-CommerzBank) prevalgano ancora gli egoismi, le paure, i sovranismi, le tendenze protezionistiche.
Se in questi anni non ci fosse stata la Bce, che ricordiamo è l’unica vera Autorità ad avere voce in capitolo in materia, credetemi che di fusioni fra Banche ce ne sarebbero state ben poche (di politici come Salvini ce ne sono in tutti i Paesi europei)
E queste tendenze del tipo “Banche e buoi dei paesi tuoi” vengono sublimate nella nostra Italia; e la riprova la trovate nel fatto che la vicenda Unicredit-Banco Bpm sta assumendo i contorni di uno dei casi simbolo del sovranismo (ed io aggiungo anche provincialismo) bancario, contrario di fatto ad ogni integrazione, e di conseguenza all’interesse dell’Europa ad avere Gruppi in grado di competere a livello mondiale.
Non starò a ripetervi quanti vi ho già raccontato nei due pezzi precedenti, ma credo che una carrellata a volo d’uccello sulla mappa del potere bancario, assicurativo e finanziario italico sia utile per capire quali siano le reali poste in gioco.
Con l’avvertenza però che, in questa materia, è sempre meglio restare ancorati ai fatti e non alle voci, perché di voci ce ne sono sempre molte, e spesso a mio avviso sono diffuse per condizionare anche le tendenze borsistiche.
Una prima “voce” riferisce la notizia, non smentita, che sarebbero in corso dei contatti, se non delle vere e proprie trattative, tra Generali e i francesi di Natixis per un’alleanza nel mondo del risparmio gestito.
Poiché in questa ipotesi parliamo di oltre 2.100 miliardi di asset (1.300 gestiti da Natixis e 845 dalle Generali) capite bene che ce n’è abbastanza per fare drizzare le antenne al mondo politico, soprattutto nell’attuale assetto nazionalista e sovranista, che da sempre paventa la “calata degli stranieri”, manco fossimo ai tempi dei Carlo VIII e delle “campane di Pier Capponi (ricordate quando a scuola ci insegnavano la famosa frase “Voi sonerete le vostre trombe, noi soneremo le nostre campane!”).
Tenete presente che Generali fin dai tempi di Enrico Cuccia viene considerata la cassaforte, il cuore, e lo “snodo” della finanza italica, e di conseguenza, nel timore che uno dei centri nevralgici del nostro sistema possa passare in mani straniere, a Roma e dintorni si prospettano le strategie più fantasiose per arginare la “calata dei barbari”.
E a tal proposito esiste un’antica usanza, che si ripresenta puntuale come un orologio svizzero ogni volta che il mondo della finanza si agita: tirare fuori dal cilindro Cassa Depositi e Prestiti (CDP), invocando il suo ingresso nelle grandi partite industriali e finanziarie come panacea di tutti i mali.
Da qui deriva sicuramente l’indiscrezione secondo la quale, anche in vista del rinnovo dei vertici del Leone di Trieste in primavera, Cassa Depositi e Prestiti potrebbe entrare nel capitale delle Generali, per creare stabilità tra i soci, e appunto un cordone sanitario a protezione da appetiti stranieri.
Già, Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), che non dimenticate mai è finanziata con i soldi dei risparmiatori postali, agli occhi dei nostri Demostene rappresenta il “cavallo di Troia” per intromettersi nel Mercato, al fine di far entrare lo Stato in operazioni da cui sarebbe bene stesse fuori.
E non a caso un banchiere di lungo corso come Carlo Messina a tale riguardo ha dichiarato: “Per gli ingressi di operatori pubblici nelle società private deve esserci un interesse di sicurezza nazionale che lo giustifichi, altrimenti non riesco a capire il motivo». In estrema sintesi, il Capo della prima Banca italiana dice chiaro e tondo che un intervento di Cdp sarebbe giustificato solo a condizioni molto particolari: “È chiaro che se Cdp dovesse intervenire, qualcuno avrà valutato che c’è un interesse di sicurezza nazionale. Se non è per quello, ma è soltanto per intervenire in partite finanziarie per definire chi comanda nei diversi contesti, penso che ci siano tanti investimenti su infrastrutture e motori di crescita del Paese più importanti rispetto a quello”.
Meglio di così non avrebbe potuto dirla, a mio avviso! Parole scolpite nella roccia, che mettono il dito sulla piaga, meglio sulle tendenze alla “sovietizzazione” (nel senso di intervento pubblico) dell’economia che da sempre sono presenti sia nella Sinistra che nella Destra italiche.
Allargando lo sguardo ad Unicredit, avrete certamente letto che secondo certi “analisti” Andrea Orcel avrebbe lanciato l’Opa su Banco BPM avendo come obiettivo reale Anima.
A tal riguardo, ricordo che Unicredit è rimasta orfana di una sua “fabbrica prodotto di Fondi” dopo che nel 2016 Jean Pierre Mustier cedette Pioneer alla francese Amundi per 3,5 miliardi; che Unicredit ha un accordo con Amundi per la distribuzione dei prodotti di quest’ultima; che Amundi è controllata da Credit Agricole, che a sua volta è il primo azionista di Banco BPM con il 9,18%.
Vi siete persi? La vostra mente vacilla?
Lo so ragazzi che sembra una “matrioska”, ma questo è il mondo della finanza attuale, fatto di una fitta rete di incroci azionari, e di interessi comuni ormai quasi sempre a livello sovranazionale.
Ecco perché, e mi riferisco ovviamente ai politici, non è buona cosa alzare la voce su tavoli così delicati, dove la regola è il sussurro.
E a questo mondo Matteo Salvini ed il Ministro dell’Economia Giorgetti vorrebbero imporre la soluzione “domestica” (a loro avviso, visto che in realtà l’azionariato di Bpm è per buona parte in mano a stranieri) per dare vita al “terzo polo bancario” italiano, se del caso imponendo la Golden Power per fermare Unicredit?
Al riguardo non resta che ricorrere ancora alla saggezza di Carlo Messina, che relativamente all’ipotesi circolata di un intervento di Intesa per salvare Bpm ha detto: “Noi siamo bianchi perché siamo perbene, ma sicuramente non siamo cavalieri in queste operazioni per un motivo molto semplice: abbiamo una quota di mercato talmente elevata che non possiamo fare nessuna operazione in Italia. Quindi a prescindere dal fatto che non lo vogliamo fare, non lo potremmo fare”.
Ed a proposito del ventilato utilizzo del Golden Power l’Ad di Intesa si è così espresso: “Il pallino per questa operazione deve essere per la super vigilanza della Bce e per la decisione finale degli azionisti. Altri interlocutori possono intervenire solo se ci sono tematiche di sicurezza nazionale. Il Governo interviene solo se ci sono tematiche di sicurezza nazionale e in questo caso non vedo i presupposti. Siamo contrari a interferenze politiche”.
Tralascio volutamente altre “voci” circolate, tipo quella di Banco Bpm che convocherebbe l’assemblea per lanciare un’Opa su MPS, con buona pace del fatto che Castagna stesso non vuole mangiarsi la banca senese perché poi rischierebbe di non digerirla.
Ma anche quella di MPS cui verrebbe ordinato di lanciare un’Opa sul Banco.
Certo in questa nostra Repubblichetta tutto è possibile, ma allo stato mi sembrano cose da “Alice nel Paese delle Meraviglie”.
Tornando a Carlo Messina, è evidente che non poteva certo assumere una posizione diversa, visto che Andrea Orcel sta facendo con Bpm la stessa identica operazione che lui ha fatto con UBI; anche in quel caso si trattava di una offerta ostile, ed a decidere furono gli azionisti.
E lo stesso deve avvenire ora con gli azionisti di Banco Bpm, i soli ad avere il diritto di decidere se conferire o meno le proprie azioni ad Unicredit (che probabilmente dovrà mettere sul tavolo oltre alle azioni anche un po’ di soldi), con buona pace dei “grandi disegni” di Salvini e Giorgetti.
Ma credo sia necessario che le Banche e le Istituzioni finanziarie facciano un ulteriore “salto culturale”.
Nel senso che la devono smettere con la prassi di sottoporre i loro progetti, le loro proposte, al vaglio preventivo dei Governi e delle Autorità nazionali (non prendo neppure in considerazione i Partiti).
Le iniziative devono essere portate all’attenzione della sola Banca Centrale Europea, unica Istituzione deputata a dire “si” o “no, oppure a imporre prescrizioni.
Una notazione per finire: credo che Salvini e Giorgetti siano spinti da un diverso animus.
Nel senso che per Salvini qualsiasi occasione è buona per riaffermare le proprie posizioni di Capo nazionalista e sovranista, mentre Giorgetti si è visto mettere in discussione la “sua” soluzione per accasare Mps, con l’uscita totale dello Stato.
Mi dispiace per lui, ma di soluzioni ce ne saranno sicuramente altre.
Parafrasando un noto netto: “Morta una fusione, se ne fa un’altra”
Umberto Baldo