12 Luglio 2024 - 15.16

Biden – Conferenza con gaffe della ‘mummia’ che non vuole mollare. Sta regalando gli USA a Trump

Tocqueville

E’ proprio vero che nella vita gli esami non finiscono mai.

Immagino sia questo il pensiero di Joe Biden di questi tempi.

Però è anche vero che in una fase della vita in cui la maggior parte delle persone, ovviamente quelle che fortunatamente non sono passate al mondo dei più, si godono in pace quel che resta degli sgoccioli della vita, Biden si candida ad un secondo mandato alla Presidenza degli Stati Uniti, che sicuramente quanto a impegni non  è la Presidenza delle Vanuatu. 

E chiaro che a 81 anni suonati lo stato di salute non può essere quello di un cinquantenne, ma se i segnali della senilità si fanno vedere mentre stai dibattendo davanti a tutti gli elettori degli Usa (ed al mondo intero in realtà, con particolare riguardo a certe Cancellerie), allora il problema diventa maledettamente serio. 

E’ chiaro che dopo quel dibattito, in cui The President è apparso, assente, balbettante, impreciso, confuso, la sua conferenza stampa nella notte fra giovedì e venerdì era considerata una “prova importante”, un’occasione per dimostrare pubblicamente di essere in grado di comunicare in modo adeguato per un candidato alla Presidenza, per riconquistare la fiducia dell’elettorato democratico, fugando le voci sempre più insistenti di una sua possibile sostituzione nella corsa alla Casa Bianca.

Come è andata?

Da quanto ho visto sulla stampa statunitense che ho potuto scorrere, mi sembra che il giudizio sia di un “bene a metà”.

Sicuramente meglio del tragico dibattito con Trump, ma anche stavolta il vecchio Joe ha fatto qualche gaffe, e ha dato alcune risposte confusionarie.
In compenso si è dimostrato presente e sicuro sulle questioni di politica internazionale, tutto sommato riuscendo a mantenere il filo del discorso per tutti i 40 minuti della conferenza stampa,  e ribadendo la sua ferma volontà di non ritirarsi dalla elezioni presidenziali. 

Su quest’ultimo punto Biden ha dato prova di sicurezza, perché ovviamente quasi tutte le domande dei giornalisti hanno sfrugugliato sulle richieste di un  suo ritiro provenienti da alcuni settori del Partito Democratico;  a cui Biden ha risposto di non aver alcuna intenzione di fare un passo indietro perché pensa di essere la “persona più qualificata per fare questo lavoro”.

Il personaggio è troppo navigato per non aver annusato l’aria, ed infatti per la prima volta ha detto che alcuni sondaggi mostrano che “altri candidati potrebbero battere Trump in novembre”, pur aggiungendo che sarebbe per loro difficile “partire da zero”.

Volendo radiografare gli inciampi della conferenza stampa, il primo sta nel fatto che Biden ha confuso Trump con la sua vicepresidente Kamala Harris dicendo che non avrebbe scelto la «vicepresidente Trump” se non avessi fiducia in lei.

Onestamente non mi sembra un errore su cui stracciarsi le vesti, tanto più che con molta ironia, dopo la conferenza, Biden ha cercato di rimediare all’errore postando un messaggio in cui dice: «Conosco la differenza: una è una procuratrice, l’altro un criminale». 

Biden si riferiva ovviamente al lavoro che Kamala Harris svolgeva prima di dedicarsi alla politica, ossia il magistrato.

Altra gaffe quella di aver sbagliato, un paio d’ore prima dell’incontro con i giornalisti,  a presentare il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, chiamandolo “Presidente Putin”, ma correggendosi immediatamente dopo.

Infine Biden si è impappinato anche verso la fine della conferenza, quando ha detto di seguire i consigli del suo «comandante in capo» sulle questioni relative all’invio di armi all’Ucraina. La frase ha generato un certo stupore tra i giornalisti, dato che il presidente degli Stati Uniti, in quanto capo dell’esercito, è lui stesso il “comandante in capo”.

Guardate, io credo che a questo punto per quanti dibattiti, per quante conferenze stampa, per quanti check up possa affrontare, per Joe Biden qualcosa si è rotto.

Oltre tutto cosa deve dimostrare un uomo, di essere immortale?

Dal New York Times, il giornale dei liberal  e dei progressisti americani, a George Clooney (un grande finanziatore del partito Democratico), a Nancy Pelosi, sono sempre più numerose le prese di posizione per un cambio in corsa del candidato dei Dem alla Presidenza.

Ma c’è un aspetto di questa vicenda che mi stupisce.

Perché  Joe Biden viene monitorato dai media minuto per minuto, mettendo in evidenza le sue gaffe, le sue debolezze, mentre ci si concentra meno sulle sparate, sulle rodomontate, di Donald Trump.

Il quale tanto per dirne una, pochi giorni prima del dibattito con Biden è uscito con questa perla: “In realtà penso che George Washington non abbia avuto schiavi”.  Quando la storia ci dice che Washington teneva addirittura un registro di tutti i suoi schiavi.

Ma quello che mi colpisce è che le accuse che i Democratici hanno sempre rivolto a Trump, quelle di essere un presuntuoso egomaniaco, divorato dalla vanità, sordo ai consigli dei suoi alleati e collaboratori, incapace di mettere gli interessi della Nazione al di sopra dei suoi obiettivi personali, si stanno inesorabilmente scaricando su Joe Biden.

Purtroppo per il Presidente, e per i Democratici, queste accuse sembrano ora applicabili anche a lui, alla sua “testardaggine”, all’ostinazione  con cui respinge gli inviti a ritirarsi. 

Questo è forse il miglior “regalo” che Biden sta facendo al Tycoon, tanto da rendere ora quasi impossibile sostenere che sia lui il candidato più adatto a vincere la sfida per la Casa Bianca.

Vedremo a breve se Joe Biden resisterà a oltranza alle pressioni, a breve perché il tempo incalza, e se si vuole cambiare il cavallo in  corsa bisogna fare presto.

Oltre tutto manca solo un mese alla convention democratica di Chicago, ultimo atto formaleper ratificare la candidatura alla Casa Bianca.

Pensate che stando così le cose Donald Trump abbia già vinto?

Non lo darei così per scontato, anche se al momento il Tycoon è in testa ai sondaggi nei cosiddetti” “Stati chiave”.

Mancano  quasi quattro mesi al voto del 5 novembre, e ogni esito è ancora possibile. La stragrande maggioranza degli americani vota, letteralmente, per partito preso:  quasi sempre mai “a favore”, bensì «contro» l’avversario.

Di conseguenza spostare voti democratici nella casella di Trump è quasi impossibile. 

Esiste però una minuscola percentuale di indecisi, che possono fare la differenza.

Poi negli Usa c’è sempre la questione dell’affluenza al voto. 

Negli States le vittorie spesso vanno a chi riesce a mobilitare meglio la propria base e a portarla alle urne, in un Paese dove la partecipazione è piuttosto bassa (Barack Obama nel 2008 fece l’ultimo «miracolo» in quel senso). 

Per compensare le debolezze oggettive di Biden i Democratici dovranno bombardare la propria base, e non solo,  sugli allarmi che con Trump la democrazia sarebbe in pericolo.

Non è un argomento da poco, e potrebbe funzionare ancora una volta.

Tocqueville

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