Calcio spagnolo: oltre ai campioni c’è di più… C’è la “cantera”
Umberto Baldo
Oggi mi prendo una pausa dalla politica per tornare a parlare di calcio.
Francamente pensavo che la spedizione degli azzurri in Germania, con il suo epilogo indegno, avrebbe dato uno scrollone al “santuario”, al “castello incantato” del calcio italiano, magari con qualche dimissione, o qualche auto-analisi impietosa.
Nulla di tutto questo. Tutti restano tranquillamente al proprio posto, felici e contenti, a godersi le loro ricche prebende.
Evidentemente noi italiani siamo ormai rassegnati, quasi mitridatizzati da una Nazionale che dimostra di far fatica a vincere con qualunque squadra, anche le “meno blasonate”, e che, senza un sostanziale cambio di passo, ha buone possibilità di restare esclusa anche dai prossimi mondiali (e sarebbero tre di fila, un vero record!)
Usando un linguaggio che andava di moda in altri tempi, anche questi Europei hanno visto il trionfo del “calcio latino”.
Ma poiché del calcio latino, almeno per latitudine, faremmo parte di diritto anche noi, per non mescolare ebrei e samaritani preferisco dire che ha vinto il calcio spagnolo.
Poiché gli spagnoli non sono certo fisicamente più dotati di noi (anche se vedendo correre i calciatori delle due nazionali il dubbio viene), e non credo alla predestinazione, ci deve essere una ragione per cui la Spagna fa faville e noi facciamo schifo.
Detta in altre parole; come fa la Spagna a sfornare in continuazione giovani talenti incredibili, fuoriclasse in grado di calcare i grandi palcoscenici internazionali con una maturità fuori dal comune?
C’è una parola che lo spiega: la “cantera”.
Cos’è la “cantera”, che nella nostra lingua si traduce semplicemente con “fucina” o “vivaio”, o anche “cava”?
Stiamo parlando della mitica “Masia” del Barcellona, o della“Fabrica” del Real Madrid, ma anche dei centri rinomati dell’Athletic Bilbao (da dove viene Nico Williams) o della Real Sociedad, che innervano la Spagna attuale.
In estrema sintesi i successi della Spagna sono dovuti ad una organizzazione dell’intero movimento in funzione dei giovani.
E basta guardare le date di nascita dei Pedri, dei Gavi, dei Nico Williams, dei Lamine Yamal, dei Dani Olmo, solo per citare i primi che mi vengono in mente, per rendersi conto di come la Spagna si sia distinta dalla gran parte dei Paesi europei grazie agli investimenti nei settori giovanili.
Così mentre i nostri ragazzi vengono spediti a “farsi le ossa” in Lega Pro, o in leghe minori, alcuni dei loro coetanei iberici possono già vantare diverse presenze nelle competizioni più importanti.
Ed è proprio questa diversa gestione dei giovani a fare la differenza: e se in Italia gli addetti ai lavori si chiedono ancora quale sia il motivo delle nostre “figuracce”, in Spagna le generazioni di calciatori si susseguono in un meccanismo perfettamente rodato.
“Donne, donne, oltre le gambe c’è di più….” cantavano Joe Squillo e Sabrina Salerno a Sanremo ’91 (caz.. come passa il tempo!).
Parafrasando, e forzando un po’, mi viene da dire “Spagna, Spagna, oltre ai campioni c’è di più….”; e quel di più è proprio la “cantera”.
Quella “cantera” che consente ai giovani talenti di passare direttamente, senza soluzione di continuità, dalle “Under” alle prime squadre, Nazionale A compresa.
Che sia un caso se l’ossatura della Roja che ha vinto a Berlino è composta da sette Campioni d’Europa Under 21 del 2109?
Come accennavo, dietro le ”Furie Rosse” c’è di più; programmazione, infrastrutture, organizzazione; sono queste le parole d’ordine all’interno del settore giovanile della Federazione Iberica.
La gerarchia delle competizioni giovanili è ben definita affinché nessun talento sfugga al radar degli osservatori federali.
Ne consegue che nel momento in cui un giovane calciatore di uno dei campionati regionali riesce a farsi notare, viene immediatamente segnalato alla Federcalcio spagnola da una capillare rete di osservatori presenti sul territorio, e dipendenti dalle stesse Federazioni regionali.
Ciò fa sì che la Federcalcio abbia a disposizione un grande database sui migliori talenti in circolazione nel Paese, divisi per ruolo, attitudine e capacità.
La “cantera” è una filiera come avrete capito; che parte dai Club che coltivano i talenti, per arrivare alla Federazione che perfeziona il processo di crescita, grazie alla partecipazione dei ragazzi alle competizioni internazionali con la maglia delle selezioni giovanili (con l’ulteriore vantaggio che questi ragazzi, pur militando in squadre diverse, anche all’estero, si conoscono bene perché hanno giocato e giocano spesso insieme nelle nazionali; ed ecco perché la Roja gioca come fosse una squadra di club).
Sono queste sinergie, questo scambio capillare e continuo di informazioni sui giovani più promettenti, che permette alla Spagna di avere nella rosa dei titolari delle “Furie Rosse” un ragazzino di 17 anni come Lamine Yamal, o un 22 enne come Nico Williams, o un 21enne come Pedri.
Poi gli spagnoli hanno avuto l’intelligenza di copiare il modello francese di Clairefontaine (accademia nazionale nata nel 1988 specializzata nell’accrescimento e nell’allenamento di giovani e promettenti calciatori francesi).
E così, dopo otto anni di lavoro ed un investimento di 46 milioni di euro, è nata la “Ciudad de Futbol de las Rosaz”, il complesso sportivo e amministrativo della Real Federaciòn Espanola de Futbol, inaugurato nel 2003 a Las Rosaz de Madrid, nell’ambito della Comunidad della Capitale iberica.
Al riguardo posso portare la mia esperienza personale, perché la Ciudad de Futbol è proprio dall’altra parte della strada in cui abita mio nipote Enrico, e molte volte sono entrato in questo “tempio del calcio”, rimanendo ogni volta stupito per l’organizzazione, e le attenzioni che vengono riservate ai giovani calciatori (divisi per classi di età, compresi veri e propri ragazzini).
Assistendo agli allenamenti, mi sono reso conto che alla Ciudad c’è un’attenzione maniacale alla perfezione del gesto atletico, ed ho visto ad esempio far ripetere ad un ragazzino anche venti volte una punizione finché riusciva a depositarla all’incrocio dei pali; ma il tutto accompagnato dai bonari consigli di uno o più allenatori e tecnici.
Visto come funziona la “cantera” non sorprende che, negli ultimi anni, praticamente il 25% dei calciatori presenti nelle rose spagnole sia cresciuto nel vivaio delle rispettive società. Si tratta della più alta percentuale tra le 5 grandi leghe europee. Giovani talenti che, non solo crescono, ma giocano ad alto livello.
Impiego vantaggioso anche sul lato economico, visto il minor ingaggio solitamente percepito, e la possibilità di esportare questi talenti al di fuori della stessa Spagna, arricchendo le casse delle società proprietarie dei cartellini.
Fondamentale anche il fatto che la penisola iberica propone realmente la possibilità ai suoi giovani migliori di disputare il massimo campionato spagnolo.
E così, negli ultimi 10 anni la media dei debuttanti per ogni squadra si è aggirata intorno ai 4 calciatori; esordienti, debuttanti, che trovano spazio per scendere in campo e mostrare di che pasta sono fatti.
E come succede per tutte le cose, fra i tanti c’è sempre chi si distingue dagli altri, e sono quelli che hanno consentito di scrivere al quotidiano El Mundo che quella di domenica a Berlino è stata la “la final de los ninos”, la finale dei bambini.
Non so se il modello spagnolo sia esportabile in Italia, ma non c’è dubbio che i nostri Club non producono quasi più risorse interne, e si affidano sempre più al mercato.
E senza quella filiera, senza i ricalzi, senza trasfusioni di sangue giovane, i risultati della nazionale Azzurra sono e saranno quelli che abbiamo visto all’Europeo.
E non c’è allenatore che tenga, per quanto possa essere un fenomeno, perché quello è il materiale umano che si ritrova, e come si dice “non puoi cavare sangue da una rapa!”.
Per concludere, lo so bene che guardare al passato è tipico dei vecchi, ma non posso non rilevare che fino a metà degli anni 90, i ragazzini, finita la scuola e/o i compiti (che a volte si tralasciavano), scendevano in strada o in piazza con un pallone, si prendevano due sassi ed usando un albero insieme a questi, si delimitava la porta, e si giocava a calcio. Ci si divertiva a fare dribbling o tunnel agli avversari.
Così nascevano i Bruno Conti, i Roberto Baggio, i Francesco Totti e gli Alex Del Piero.
Oggi, il ragazzino che vuol giocare a calcio, viene immediatamente iscritto in una scuola calcio affiliata ad un club professionistico, dove comincia una lunga trafila, partecipando a trofei inutili dove comunque conta la squadra che vince; ne consegue che gli allenatori delle giovanili insistono sulla tattica, tarpando la tecnica di ognuno di questi calciatori in erba.
Questi impareranno a stare in campo, a tenere la posizione, ad arretrare in coro, ma non impareranno mai a saltare l’avversario, ad avere quei guizzi, quell’inventiva, che a Berlino i Lamine Yamal ed i Nico Williams hanno dimostrato fare la differenza, e che differenza.
Umberto Baldo