Campo largo “alla francese”? Bah!
Il provincialismo, non smetterò mai di sottolinearlo, che caratterizza i nostri Demostene, li porta naturalmente a “fare proprie”, tentando ovviamente di copiarle, le esperienze politiche maturate in altri Paesi, senza tenere nel minimo conto le peculiarità degli stessi.
Così è a mio avviso per il cosiddetto “Campo largo”, concetto mutuato delle recenti elezioni “parlamentari” francesi, che hanno visto un’alleanza di tutte le forze politiche contro il Rassemblement National di Marine Le Pen, con il chiaro obiettivo di non farla vincere.
Ma forse è il caso di partire proprio della Francia per capire quanto sia arduo mettere insieme Partiti del tutto eterogenei.
Nei giorni scorsi, dopo un bel po’ di riflessione e proposte abortite, Macron ha conferito l’incarico di formare un governo di “ampia unità nazionale” a Michel Barnier, uomo di centro destra a capo di un Partito di minuscole dimensioni, per di più uscito pesantemente battuto nelle ultime consultazioni elettorali.
La sinistra è insorta (verbo orribile ma ormai di moda).
Melenchon, leader di una estrema sinistra francese paleo comunista, antisemita, filo islamica, ha parlato di “scippo” e di “elettorato tradito”, ha dichiarato che «l’elezione è stata rubata al popolo francese», e le piazze si sono riempite di manifestanti che protestavano contro il premier designato.
Diciamola tutta, Melenchon dal suo punto di vista può anche aver ragione, ma dimentica di dire che il “Nouveau Front Populaire“ (NFP) è uscito vincitore dal secondo turno delle elezioni francesi solo grazie al meccanismo “piuttosto discutibile” delle “desistenze” in quanto, su base nazionale, ha preso meno voti rispetto al Rassemblement National della Le Pen; ma questo squilibrio, è stato controbilanciato dal sistema maggioritario che ha permesso al NFP, grazie appunto alle desistenze, di conquistare la maggioranza relativa dei seggi all’Assemblea nazionale.
Riassumendo, al primo turno vince una destra definita “estrema”, al secondo una sinistra in formato “Campo largo” blocca il “mostro Le Pen; a quel punto Macron non poteva, pena la morte politica, consegnare la Francia a Forze che avevano portato il paese sull’orlo di una guerra civile solo per bloccare una moderata riforma pensionistica; così ha scelto Barnier, il più “minoritario” dei candidati premier.
Ma intanto, c’è da gestire un Paese che, fra squilli di rivolta della sinistra, e rischi di un’imminente crisi del debito pubblico, assomiglia ogni ora un po’ di più ad una pentola a pressione, con la prospettiva preoccupante che si materializzi una vera e propria “crisi di regime”.
Difficile dire come andrà a finire, ma alla luce di quanto stiamo vedendo in Francia, mi sembra di poter dire che i “Campi larghi” forse potranno far vincere le elezioni, ma non è detto che poi ciò si traduca in governabilità del Paese.
Uno potrebbe anche pensare: la Francia è la Francia, e l’Italia è l’Italia!
Non ho alcun dubbio al riguardo per un’infinità di cose, ma per quanto riguarda la politica non scommetterei che le cose siano molto diverse.
Cerco di spiegarvi perché.
Carlo Calenda, leader di Azione, afferma solennemente che non “farà mai parte del campolargo” per ragioni squisitamente ed unicamente politiche e programmatiche.
E ci sta.
Il capo del Partito populista per eccellenza, Giuseppe Conte, spara a zero contro il capo dell’altro partito personale, Matteo Renzi, per ragioni squisitamente ed unicamente politiche e programmatiche.
E ci sta.
il capo di Italia Viva, Matteo Renzi, dice che se l’agenda politica viene dettata da Travaglio e dai 5 stelle, e non dal Pd, il suo partito personale saluta la coalizione di sinistra e se ne va altrove.
E ci sta.
L’unica che sembra credere ciecamente alla fattibilità del “Campo Largo” è la leader del Partito Democratico Elly Schlein (che nella classica tradizione della sinistra mostra di avere idee chiare sulle alleanze ma piuttosto vaghe, soprattutto in relazione ai costi, sulle proposte di governo).
E ci sta
Tutto questo, ovviamente, senza tenere in alcun conto (tanto nell’era dei Partiti personali cosa valgono?) degli elettorati del Pd e del M5s, che sembrano avere visioni molto distanti sulla forma che dovrebbe assumere l’alleanza con cui sfidare il centrodestra.
Tra i Democratici, probabilmente più abituati alle coalizioni, la maggioranza tiferebbe per un campo larghissimo, che vada dal Movimento 5 Stelle ad Alleanza Verdi e Sinistra, fino ai Partiti di Matteo Renzi e Carlo Calenda (quindi il modello francese).
Certo, persiste una minoranza non marginale, che sembra immaginare un futuro senza centristi e un centrosinistra più radicale, mentre pochissimi escluderebbero dalla coalizione il Movimento 5 Stelle (questa ossessione del Pd di allearsi con il M5S proprio non la capisco).
Opposta la lettura dei Pentastellati, che pare preferirebbero qualunque ipotesi a quella di trovarsi alleati strutturalmente con Italia viva e Azione.
Io sarò anche un vecchio arnese che non ha capito i “venti nuovi”, che non ha ancora realizzato del tutto che viviamo tempi in cui a decidere nei Partiti non sono i Congressi bensì un Capo affiancato da una ristretta oligarchia di “vassalli”, ma ci sono alcune cose che mi sfuggono.
Nei giorni scorsi in quel del Forum Ambrosetti a Cernobbio è andata in scena una sorta di “Caporetto del Campo largo”, nel senso che Elly Schlein, Calenda e Conte sono riusciti nella formidabile impresa di mostrare tutte le loro divisioni davanti alla platea qualificata del mondo produttivo italiano; in particolare l’inconciliabilità delle posizioni relative al conflitto in Ucraina (tre posizioni diverse).
Ma se su questioni dirimenti come la politica estera si trovano “l’un contro l’altro armati”, come caspita è possibile che si inventino dalla sera alla mattina un accordo sul candidato Presidente della Regione Liguria?
Certo si deve contrastare il “fascismo rinascente”, la “deriva illiberale”, la “torsione autoritaria”, ma viene il più che legittimo dubbio che, al di là di tutte le chiacchiere e di tutte le parole d’ordine, quando si dovesse trovare di fronte ai problemi veri, quelli del governare, il Campo Largo si paleserebbe per un mero strumento di potere, che prescinde radicalmente dalla politica e dai contenuti programmatici. Insomma un’operazione nella più pura tradizione del trasformismo tricolore.
Relativamente alla questione che forse sta più a cuore ad un liberale come me, quello del fantomatico “Centro”, ho già avuto modo di manifestare la mia delusione per i litigi fra Renzi e Calenda, anche se mi sto convincendo sempre più che la dilagante polarizzazione, anche nel sentiment popolare, rappresenti un serio ostacolo all’affermazione di un partito di centro di una certa consistenza.
Tornando al “Campo largo”, o come qualcuno lo definisce “Campo dei miracoli”, solo per fare un piccolissimo esempio, mi piacerebbe che Renzi e Calenda mi spiegassero come pensano di poter stare insieme ad un Partito come Avs, che ha fatto eleggere all’Europarlamento una sostenitrice dell’occupazione delle case come Ilaria Salis.
Concludendo, l’esempio francese da cui sono partito, mi fa propendere per l’idea che anche il Campo Largo italico si presenti attualmente come una nebulosa di intese casuali, tattiche, piene di ambiguità.
Il rischio reale per l’Italia è che alla fine resti solo uno scontro fra due culture minoritarie, una di destra ed una di sinistra, sempre più distanti dai cittadini (che non a caso vanno a votare sempre in meno).