Carlo Nordio: un Ministro trevigiano nella “fossa dei leoni”
di Umberto Baldo
Chi come me ha seguito per anni il Carlo Nordio “opinionista”, che dalle colonne dei giornali commentava con proprietà di linguaggio e competenza le vicende della giustizia italiana, suggerendo soluzioni a problemi annosi, credo viva con un po’ di disagio le vicende del Carlo Nordio Ministro di Giustizia.
Eppure dal punto di vista della preparazione e del “vissuto” l’ex Magistrato trevigiano ha tutte le carte in regola per essere un Ministro all’altezza.
Non ha certo fatto il passacarte, e nel corso della sua quarantennale carriera ha seguito importanti inchieste, dalle Brigate Rosse, a Tangentopoli, al Mose.
Basti dire che da Pubblico Ministero alla procura di Venezia, a soli 35 anni smantellò la colonna veneta delle Br, ottenendo le condanne di tutti i brigatisti.
Alla metà degli anni Novanta ha poi lavorato a quella sulle cosiddette «Coop rosse», inchiesta che però terminò con l’archiviazione dei vertici del Partito Democratico della Sinistra. Vent’anni dopo, nel 2014, si è occupato degli appalti del Mose, che coinvolsero, tra gli altri, l’allora sindaco di Venezia,poi assolto, e l’ex presidente della Regione Veneto Giancarlo Galan.
Le sue idee liberali, il suo sostenere ad esempio la depenalizzazione dei reati minori, la semplificazione delle norme per velocizzare i procedimenti, la necessità di una legge sul suicidio assistito, il ritorno all’immunità parlamentare, la separazione delle carriere, lo hanno sempre portato ad essere una sorta di “cane sciolto” all’interno della grande famiglia della Magistratura italiana, e non sempre i rapporti con i suoi colleghi sono stati idilliaci.
Quindi un uomo di vasta cultura, un magistrato competente, un liberale a tutto tondo.
Cosa chiedere di meglio? Almeno dal mio punto di vista!
Nordio a mio avviso incarna l’uomo giusto al posto giusto, con tutte le caratteristiche per mettere in cantiere una vera riforma sia del codice penale (che nella sua struttura è ancora quello del Ministro di Mussolini Alfredo Rocco), sia della organizzazione della Magistratura (separazione carriere), sia del processo, che dati i tempi biblici rappresenta un danno oggettivo per il cittadino, ma anche per il Paese, dato che le imprese straniere mettono la farraginosità del nostro sistema giudiziario fra i motivi per non investire qui da noi.
Tutto questo in teoria, e io aggiungerei anche in un Paese normale; ma il nostro non è un Paese normale.
E’ un Paese in cui da sempre imperversano le divisioni, per non dire le guerre per bande, e soprattutto dove la difesa dell’esistente e delle relative rendite di posizione hanno sempre rappresentato un ostacolo insormontabile a qualsiasi vera riforma.
Non succede solo nel mondo della giustizia sia chiaro, e lo vediamo ogni giorno in qualunque settore in cui si prospetti qualche cambiamento!
Probabilmente Giorgia Meloni aveva in mente tutto questo quando ha letteralmente imposto il nome di Carlo Nordio al vertice del Ministero di Via Arenula, sfidando anche Silvio Berlusconi che quel Dicastero lo voleva a tutti i costi per un suo sodale di Partito.
E sicuramente la Premier sapeva che la strada delle riforme non sarebbe stata facile per il “suo” Guardasigilli!
Come certamente sapeva che Carlo Nordio sarebbe diventato il bersaglio ideale per attaccare ,per interposta persona, Lei ed il suo Governo.
Fino ad ora contro i Ministri della Giustizia e qualsiasi tentativo di riforma, si è applicata la tattica della guerriglia politica, mirata alla fin fine a creare problemi tali da abbreviare la vita dell’Esecutivo.
In questo facilitati di solito dal fatto che, essendo la Giustizia materia altamente specialistica, e quindi non sempre comprensibile a pieno dai cittadini, è piuttosto facile sollevare “polveroni ideologici” tali da mettere in difficoltà Ministro e Capo del Governo.
In quest’anno di grazia 2023 questa tattica sembra però offrire poche possibilità di successo a coloro che la praticano, in quanto le recenti elezioni in Lombardia e Lazio hanno dimostrato che la guerriglia politica, i tentativi di delegittimazione quotidiana, le accuse di post-fascismo, non hanno molta presa sull’elettorato, per cui il Governo Meloni è sicuramente stabile, e potrà cadere solo a causa di insanabili rotture al proprio interno, o di un cosiddetto “cigno nero” sempre possibile, ma che nessuno si augura.
Di conseguenza tutto farebbe pensare che la strada di Nordio possa proseguire senza ostacoli particolari.
Ma cosa volete, l’inesperienza di esponenti di punta della nuova maggioranza, accompagnata forse da qualche voglia di rivincita sulla sinistra, provoca qualche incidente di percorso, come quello occorso al duo Donzelli-Delmastro, il quale ultimo, essendo sottosegretario al Ministero di Giustizia, ha messo in evidente imbarazzo sia Nordio che la Meloni.
Che per cercare di offrire una copertura al dilettantesco comportamento dei due esponenti di FdI, non hanno potuto fare altro che arrampicarsi sugli specchi.
Il problema è che, quello che in qualunque Paese, ribadisco “normale”, sarebbe stato, e rimasto, un mero problema politico, pur grave ma “politico”, grazie alla tendenza della sinistra italica di “giurisdizionalizzare” un po’ tutto, si sta trasferendo nelle aule di Giustizia, a seguito dell’esposto del deputato verde Bonelli.
E’ uno dei principali mali della nostra beneamata Italia, quello che i nostri Demostene siano usi cercare soluzioni per via giudiziaria a problematiche che dovrebbero rimanere esclusivamente in ambito politico-parlamentare, con ciò perpetuando quella commistione fra Politica e Magistratura, cui da anni si cerca inutilmente di mettere un argine.
Sicuramente, e me ne dolgo, l’immagine di Nordio dopo questa vicenda, dopo questa immersione nella “fossa dei leoni”, ne esce un po’ “ammaccata”.
Non so se rimpianga la vita da pensionato, il suo scrivere sui giornali, la sua Treviso, ma Carlo Nordio è un liberale “verace”, che sicuramente sapeva che non si apprestava ad una “passeggiata di salute”, un uomo che ha una visione ben precisa di come dovrebbe funzionare la giustizia italiana, che ha l’esperienza per proporre ciò che serve, e sono fiducioso che non si farà fermare da queste prime difficoltà, ed anzi troverà maggior slancio nel suo progetto riformatore.
D’altronde si tratta di un uomo di 76 anni, che ha passato la vita nelle aule dei Tribunali, che non ha mai partecipato al “gioco delle correnti della Magistratura”, che non ha sicuramente in mente un proprio futuro politico, che da sempre sferza e stimola con le sue idee un sistema giudiziario imballato e chiuso su se stesso, che da decenni si cerca inutilmente di uniformare agli standard delle democrazie avanzate.
Se non riesce a riformare la Giustizia un Ministro con queste caratteristiche, chi altri potrà mai riuscirci?
Umberto Baldo