Clamoroso: per la Dna non c’è mafia in Veneto!
di Alessandro Ambrosini
Spiace dire che, ancora una volta, i magistrati della Direzione nazionale antimafia hanno scoperto l’acqua calda. Anzi, nel caso del Veneto, sono lì lì per scoprirla.
Con questa affermazione non intendo fare dell’ironia da quattro soldi ma sottolineare la necessità di valutare oggettivamente, alla luce dei fatti, senza dietrologie né retropensieri, ciò che da anni sta accadendo in questa regione: l’ex famosa locomotiva del Paese oggi messa in ginocchio dal peso di una crisi economica (e sociale) devastante.
Nella relazione annuale compilata dalla Direzione nazionale antimafia – relazione dal carattere riservato ma il cui contenuto è stato diffuso in questi giorni sulla stampa – si legge che, complice proprio la drammatica congiuntura economica, in Veneto si è formato “un humus molto favorevole” all’attività mafiosa “che può inserirsi in realtà “decotte”con le quali può ripulire e reinvestire proventi illeciti”.
Se nel rapporto precedente, quello del 2012, i magistrati della Dna sottolineavano che “la criminalità mafiosa nel Veneto si guarda bene dal puntare ad un controllo capillare (e militare) del territorio, preferendo coltivare […] finalità di inserimento nel settore economico, avvalendosi dei numerosi soggetti meridionali ivi da tempo residenti, in qualche modo contigui ai clan delle terre di origine […]. La presenza “invisibile” di tali soggetti costituisce una “rete” idonea a segnalare occasioni per la partecipazione ad intraprese illecite e a fornire supporto discreto per i soggetti latitanti”, nel documento riferito al 2013 si apprende invece che “le realtà criminali” presenti nella regione “anche in forma organizzata”, non mostrano le caratteristiche tipiche dei clan mafiosi tradizionali e che in nessuna provincia è stata rilevata “la presenza di elementi vicini a ‘Ndrangheta e camorra”. Ah no?
E mentre la Regione Veneto non rinnova il Protocollo di legalità, il figlio di Riina, condannato per associazione mafiosa,annuncia: “Non torno a Corleone, Padova è ormai la mia città”.
Gli investigatori, coloro che negli ultimi anni hanno stretto un bel po’ di manette ai polsi delle cosiddette “proiezioni mafiose”, non la pensano così. “Secondo noi la mafia in Veneto c’è, le nostre indagini ci consentono di dire questo. E parla siciliano, campano e calabrese. Se poi, quando si va a processo, gli stessi soggetti arrestati vengono assolti, è facile intuire come la questioni cambi. E allora ecco che la mafia non c’è più”.
Non è quello dei rifiuti ma è l’edilizia, e questo la relazione 2013 lo ribadisce, con gli appalti e i lavori pubblici, il settore maggiormente attenzionato dall’autorità giudiziaria. E’ qui che la criminalità organizzata reinveste con successo i proventi del crimine acquistando, per mezzo di immacolati e compiacenti prestanome, immobili e quote aziendali.
A ribadire l’esistenza e l’espansione di quello che è un vero e proprio metodo sono le varie inchieste condotte di recente nel Vicentino e nel Veronese – dove, a leggere il documento, si registra una presenza definita “non appariscente ma operativa” di soggetti provenienti da aree del Paese ad altra concentrazione mafiosa e riconducibili a note famiglie criminali – , nel Veneto orientale, specialmente nella zona del litorale, e all’interno della Fincantieri di Porto Marghera (Ve), peraltro risultata parte lesa in un sistema di appalti gestito da clan palermitani.
Va detto, per completezza di informazione, che mentre la magistratura distrettuale continua ad avere serie difficoltà nel riconoscere ciò che è mafia e ciò che non lo è, nella regione il settore edile è da una decina d’anni al centro del lavoro e delle denunce soprattutto della Filca Cisl, che nel 2009 ha sottoscritto con l’associazione Libera un accordo di collaborazione e di promozione della legalità sul territorio.
Niente di nuovo sotto il sole, quindi. Nemmeno quanto la Dna premurosamente preconizza: le imprese venete sono nel mirino delle mafie e la situazione è destinata a peggiorare con la crisi economica.
Di nuovo c’è invece che la Regione Veneto, territorio che ospita diversi grandi appalti, non ha ritenuto necessario provvedere al rinnovo del Protocollo di legalità, della durata biennale, sottoscritto con le Prefetture per prevenire i tentativi d’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Il protocollo è scaduto nel gennaio di quest anno nel silenzio quasi generale. Semplice dimenticanza del governatore leghista Luca Zaia… o allergia alle regole e alle leggi?
Per i magistrati della Direzione nazionale, comunque, il vero problema del territorio, così come evidenziato nella precedente relazione annuale, resta quello della criminalità straniera. “I traffici di droga e di armi, la clonazione di carte di credito, le truffe, l’immigrazione clandestina e i furti, sono soprattutto opera di bande di stranieri”, scrivono. Soprattutto di nazionalità nigeriana, albanese e, negli ultimi tempi, anche maghrebina, attivissime sul fronte della droga. Si tratta di realtà che, sottolineano nel documento, pur non possedendo i requisiti dell’organizzazione di tipo criminale sono riuscite a ritagliarsi spazi sempre più vasti grazie al sistematico ricorso alla violenza.
Tutto ciò mentre l’amato primogenito di Totò Riina, Giuseppe Salvatore, che dal 2011 ha scontato a Padova una misura di prevenzione scaduta proprio ieri, ha fatto sapere di non volersene andare. «Resterò a Padova, non ho motivo per andarmene» ha spiegato il giovane, condannato per associazione mafiosa, a Il Mattino di Padova. «Se in futuro – ha aggiunto – dovessi ricevere delle offerte di lavoro che comportino la necessità di spostarmi altrove le valuterò, ma ormai è questa la mia città”.
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