Come uscire vivi da Tosano (da parte di un affezionato cliente…)
di Alessandro Cammarano
Preambolo:
l’autore dell’articolo ama il “politicamente scorretto” – sempre con ironia, ben inteso – e soprattutto è un fedele cliente dei supermercati Tosano. Quindi anche quando ne parlerà in termini fantozziani lo farà con tutto l’affetto con il quale un figlio un po’ scapestrato si rivolge ai genitori.
Ciò premesso immergiamoci nel mondo tentatore di uno dei distributori alimentari più forniti di sempre e del variopinto microcosmo che frequenta i suoi supernegozi.
Non per fare i lecchini, ma la storia di Anerio Tosano è quella di molti imprenditori di successo; cinquantun anni or sono si apriva, in quel di Cerea – provincia di Verona – una botteghetta, altrimenti detta “casoìn” che nel giro di mezzo secolo è diventato un impero di quindici ipermercati concentrati esclusivamente sull’alimentare, riservati sia al dettaglio che all’ingrosso.
Praticamente impossibile non trovare ciò che si cerca, anche se talvolta il prezzo da pagare è quello dovuto allo spazio di vendita sterminato e difficilmente gestibile da chi è abituato a fare acquisti presso la botteghetta – quella che chi sa chiama “commercio di prossimità” – sotto casa.
Certo è che l’esperienza tosanesca può passare nel breve volgere di un battito di ciglia da superdivertente a terrificante; dipende dal giorno e dall’ora, dalla festività o meno del giorno scelto per la visita, dal tipo di acquisti che ci si proposti di fare a cui si devono aggiungere variabili come le condizioni atmosferiche e, da quando è iniziata la pandemia, anche le nuove disposizioni in materia di prevenzione e contrasto.
La mia prima esperienza fu con il Tosano di Alte di Montecchio Maggiore, spinto da amici di famiglia che favoleggiavano di varietà di proposte degna della “Food Hall” di Harrods dove si può comprare dal pane di Altamura al ramarro delle Molucche sciroppato, quest’ultimo anche nella versione “low fat”.
Parcheggiata l’auto mi ritrovai immerso in un’atmosfera – torniamo a ribadire la scorrettezza politica dell’articolo, prima che qualcuno si adombri e la prenda male – degna di un suk mediorientale dove ai ristoratori e proprietari di bar i quali riempiono carrelli di mastelli da dieci chili di salsa rosa e di sacchi di arachidi tostati tanto grandi da far felici intere colonie di macachi giapponesi affamati. Di solito il suddetto ristoratore è accompagnato da moglie o assistente che nel frattempo riempie il carrello con tocchi di emmenthal che sembrano foratoni da costruzione e pacchi da cinquecento wurstel.
Grande attenzione anche alle diverse culture: la carne è buonissima e il reparto “halal” – ovvero quello con le carni macellate secondo i protocolli islamici – è strafornito e fa buona compagnia al reparto ortofrutta che propone vegetali esotici così come la corsia etnica propone almeno dieci tipi di couscous.
L’unico problema è che i carrelli sono enormi e le corsie sono, per dirla elegantemente anguste; ne conseguono ingorghi degni delle strade a grande scorrimento di Città del Messico, con grumi di persone che cercano di uscire da grovigli “a stella”, “a croce uncinata” o a “serpente attorcigliato” con successive contumelie multilingue.
Tutto diverso il discorso per l’ipermercato, nuovo di trinca, aperto alla Motta di Costabissara e che è al di là del comodo, anche se si favoleggia di persone smarrite e mai più ritrovate, vista la larghezza delle corsie.
Per chi scrive e che solitamente entra con la nota scritta su un foglietto e accompagnata dalle migliori intenzioni di non comprare nulla in più di quanto programmato tutto si infrange appena entra e si trova catapultato nella famigerata corsia delle offerte, astutamente posta all’ingresso.
Impossibile non farsi tentare dalla tavoletta di cioccolata – ma non avevano fatto un fioretto? – a 0,70, e poi come resistere ad un barattolo di giardiniera da un chilo e mezzo a soli tre euro e cinquanta? Difficilissimo rinunciare a tre litri di ammorbidente cocco-vaniglia che viene via a due euro e trenta anche se il cocco lo odi e la vaniglia ti fa starnutire.
Ecco: la nota diligentemente compilata adesso può essere appallottolata e messa in tasca, tanto ormai il demone dell’acquisto selvaggio si è già impossessato di noi prendendo saldamente le regole del gioco.
Carne, latte – ovviamente in cartone da ventiquattro – pesce, ok tutto questo serviva, finiscono nel carrello insieme ad un bidone di orsetti gommosi, dodici lattine di bibite gassate che “sono in offerta, mica le vorremo lasciare, vero?”, un fusto di latte condensato del quale non sai che fare ma che costava talmente poco che non si può proprio lasciare lì e va a fare compagnia al megapacco di salatini assortiti che hai adocchiato poco più avanti.
Risultato: il budget previsto è andato a farsi benedire al quinto minuto e per uscire con le diciotto buste di spesa – dovevano essere due – si mette mano alla carta di credito.
Nel frattempo si studiano gli altri clienti. Di chi compra all’ingrosso abbiamo più o meno detto, ma non si può non parlare dei cinesi capaci di riempire dieci carrelli e di tirarseli dietro come fossero una carovana di dromedari che si snoda sulle piste carrabili del deserto di Gobi.
Fantastiche le coppie litigiose, solitamente composte da marito remissivo e da moglie virago, i cui discorsi – se di discorsi si può parlare – sono del tipo “Toni, no xè colpa mia se te si orbo e no te vedi gnaca queo che te ghè davanti” cui segue la risposta “meio orbo che rompicojoni, seto Maria?”.
Il meglio comunque avviene alle casse, dove si assiste a scene che le battaglie del Signore degli Anelli sono derubricate a scaramucce amichevoli.
La voce stentorea che dall’altoparlante annuncia “Apre cassa 21” ha il potere di trasformare immediatamente la vecchina in fila alla cassa 4 in un incrocio tra Godzilla e un serial killer. La vegliarda impenna il carrello e si lancia a fendere la folla in attesa con la foga di un reggimento di ussari all’attacco. Nell’ordine travolge una coetanea che ha la colpa di essersi distratta e di aver di conseguenza perso l’assalto, una mamma con bimbo che volano l’una su una pila di fugasse e l’altro tra i pannolini in superofferta. Non si salva neppure il cinese di cui sopra la cui carovana di carrelli viene spezzata a metà.
Tremendo anche l’anziano che tenta subdolamente di saltare la coda esibendo un incarto di prosciutto dicendo mellifluo “posso passare?”, come dire di no anche se ci sono le casse rapida che funzionano benissimo? Ad assenso ricevuto il nonnino fa una smorfia da IT e dice “Wanda! il signore gentile ci fa passare!”; a questo punto scopriamo l’inganno ma ormai è tardi: Wanda sopraggiunge con un carrello in cui c’è carne per dodici grigliate e pane per fare trecento sandwich, più vino e Aperol sufficienti per un ettolitro di spritz.
Alla fine se esce vivi, e pure soddisfatti per tutto quanto di non previsto è finito nel carrello e anche contenti perché nel frattempo la Wanda è inciampata e le è volata la dentiera nel parcheggio. Anche stavolta ce l’abbiamo fatta, la prossima chissà.
Alessandro Cammarano