Conti pubblici e condoni. Altro che “pace fiscale”, è disperazione
Umberto Baldo
Portando a conclusione, ammesso e non concesso che sia possibile, i ragionamenti sviluppati nei due editoriali precedenti, si arriva inevitabilmente al “condono”, che è la sublimazione delle cattive politiche economiche dei Governi.
Se ci pensate bene un condono, che è sempre la rinuncia da parte dello Stato a cespiti dovuti dai cittadini (siano essi tasse, imposte, multe, contributi, canoni erariali ecc.), viene proposto sostanzialmente per tre motivi.
Il primo è quello di fare un “piacere” (qualcuno le chiama “marchette”) a qualche categoria che il Governo ritiene vicina politicamente, facendo pagare meno del dovuto (o comunque meno degli altri cittadini a parità di reddito).
Il secondo è un’ammissione di impotenza ad incassare il dovuto da certe categorie o gruppi sociali (esempio classico è l’Iva), per cui si ripiega sul “pochi maledetti e subito”.
Il terzo è la “disperazione”, che scatta quando servono risorse per dare corso a promesse, elettorali o meno non fa differenza, per cui il condono viene visto come l’unica soluzione possibile per incassare qualcosa.
Lasciate perdere le motivazioni addotte dai Governi quando lanciano un condono (ultimamente imperversa la parola “pace fiscale”), anche se non manca mai l’affermazione categorica “questo è l’ultimo!”.
Vi dico onestamente che quando la sento mi viene da ridere, perché suona talmente falsa che Lor Signori dovrebbero avere tutti il naso lungo come Pinocchio.
Questo Governo, per bocca della Premier, ha dichiarato fin dall’inizio l’intenzione di riformare il sistema fiscale, a partire dall’approccio con i contribuenti: “il cittadino non è un suddito da vessare, ed il rapporto con lo Stato deve basarsi sulla fiducia e sulla collaborazione”.
E fin qui credo potremmo essere tutti d’accordo.
In piena linea con questa “filosofia” è stato introdotto il cosiddetto “concordato preventivo biennale”, che in estrema sintesi consente ai contribuenti (Autonomi e Partite Iva) di pattuire con lo Stato un livello di tassazione predeterminato per due anni, proteggendoli da futuri controlli fiscali.
Ma evidentemente la propensione all’evasione è talmente radicata nel “lavoro autonomo” (anche perché la possibilità di incorrere in un controllo è remotissima), che il Governo teme il flop.
Ma si sa che la “disperazione aguzza l’ingegno”.
E siccome dall’emersione di almeno una parte dell’imponibile dagli Autonomi, con il conseguente recupero di qualche miliardo di evasione, dipende la possibilità di tenere in piedi la cosiddetta “riforma fiscale” (tipo continuare a rimodulare la curva delle aliquote), nei giorni scorsi si è saputo di emendamenti al decreto Omnibus in discussione al Senato, con i quali si propone di introdurre una sorta di “ravvedimento” (altro modo di definire un condono) che consentirebbe ai lavoratori autonomi, ovviamente quelli che entro il prossimo 31 ottobre aderiranno al concordato preventivo biennale, di far emergere i maggiori redditi non dichiarati al Fisco nel quinquennio precedente, quello che va dal 2018 al 2023 (sic!).
Forse non lo sapete, ma analogamente a quanto deciso per il “concordato preventivo”, anche questo “ravvedimento” proposto prevederebbe il pagamento dei redditi “emergenti” con una flat tax legata al voto delle pagelle fiscali, gli Isa (indicatori sintetici di affidabilità).
Il che, in parole comprensibili, vuol dire che il contribuente che ha un voto elevato perché considerato “affidabile” (sic!), tra l’8 e 10, pagherebbe solo il 10 per cento. Con punteggio Isa tra 6 e 8, l’aliquota salirebbe al 12 per cento, e toccherebbe il 15 per cento per chi è sotto il voto Isa di 6.
Non so voi, ma da pensionato ex lavoratore dipendente, questa proposta mi fa uscire dai gangheri.
Ma capisco che se si cerca imponibile disperatamente, si passa sopra a ogni remora, e mi riferisco al principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Perché me la possono raccontare come vogliono, ma la verità che si intuisce è che il concordato preventivo non sembra andare benissimo, per cui si mette in campo un ulteriore tentativo per indurre le Partite Iva a mettersi una mano sul cuore e una sul portafoglio, sborsando qualcosa in più del consueto (o del nulla).
In cambio, per l’emersione del “non dichiarato”, il Governo offre agli autonomi aliquote che suonano come “provocatorie” per quei veri e propri forzati dell’Irpef che hanno la ventura di non avere la Partita Iva, e di denunciare al Fisco più di 50 mila euro.
Già perché in questa Repubblica di Pulcinella se i 35mila euro lordi sono un primo step con cui si misura la “ricchezza” di un cittadino contribuente, i 50mila segnano la linea rossa oltre la quale si diventa schifosi plutocrati della Nazione, da spennare e vessare senza pietà (con aliquote reali oltre il 50%).
Sarò forse impietoso, me per me questo tipo di approccio del Governo assomiglia ad una sorta di “accattonaggio fiscale”, che vede lo Stato rinunciare volontariamente a perseguire (anche con “ruvidezza” se servisse) milioni di contribuenti che evadono bellamente il fisco, offrendo loro una “premialità” fiscale che assomiglia tanto ad una mano tesa con la richiesta “al vostro buon cuore”.
Ecco perché ieri scrivevo: “E mi chiedo; cosa succederebbe se il Governo dicesse chiaramente agli italiani che i conti pubblici non consentono alcun nuovo impegno di spesa, ed eventuali risparmi verrebbero usati per intaccare il macigno del debito?”.
Forse non quello che i nostri Demostene immaginano e forse temono, anche se in questi anni i cittadini sono stati purtroppo da loro abituati al “panem et circenses”.
Ma vedete, per poter fare un discorso del genere agli italiani bisognerebbe essere “credibili”, bisognerebbe essere dei “politici veri”, non dei politicanti pronti a fare qualunque promessa in campagna elettorale, salvo poi rimangiarsi tutto non appena si prende coscienza della realtà dei conti pubblici.
E così si continuerà con la politica dei condoni, con la politica della “mano tesa” agli evasori, con la politica dell’accattonaggio di Stato.
E pensate che nel documento del Governo per rientrare dalla procedura di infrazione della Ue è prevista per l’ennesima volta “una maggiore diffusa ottemperanza del obblighi del fisco” (sic!) Ma ci sono o ci fanno?
Umberto Baldo