16 Gennaio 2024 - 8.33

Dai caucus dell’Iowa è iniziata la lunga corsa delle presidenziali Usa

Ieri 15 gennaio 2024, nelle fredde pianure dell’Iowa, fra bufere di neve, temperature fino a -30 gradi, e venti anche di 89 km/ora, è iniziata la grande corsa per eleggere il Presidente degli Stati Uniti d’America.

Uno potrebbe pensare che in fondo le elezioni americane siano quasi una passeggiata; che tutto si risolva il martedì successivo al primo lunedì del mese di novembre (la data è sempre quella fin dagli albori della democrazia americana) quando i cittadini andranno alle urne per scegliere The President.

In realtà le cose stanno diversamente, ed il sistema elettorale Usa è forse uno dei più complessi al mondo.

Oggi non parleremo di tutto il processo elettorale; avremo tempo di farlo nei mesi che ci separano dal 5 novembre.

Oggi cercheremo di capire come si arriva a quel fatidico Election Day, che cade sempre in un anno bisestile. 

Per capirlo bisogna partire da alcune caratteristiche tipiche del sistema politico-istituzionale deli Stati Uniti.

In primis il carattere federale della Nazione, il che comporta che ogni singolo Stato degli Usa ha una propria struttura amministrativa-politica decentrata, e può legiferare in autonomia, anche in tema di regole elettorali.

Poi la mancanza di Partiti Nazionali (cioè federali) nel senso che anche i due Partiti tradizionali (Repubblicano e Democratico)sono organizzati  e strutturati solo a livello locale.

Per arrivare all’obbligo di registrazione per il cittadino che vuole accedere al voto.  Questa è forse la caratteristica che più differenzia gli americani da noi europei. 

Negli Usa infatti l’iscrizione alle liste elettorali non è un diritto che si acquisisce al compimento della maggiore età.    Ne consegue che ogni volta si voglia votare, bisogna iscriversi alle liste elettorali di riferimento (di solito almeno un mese prima), spesso con procedure alquanto complesse, e di norma dovendo dichiarare per quale Partito ci si iscrive (poi alle elezioni ovviamente  si vota come si  vuole).

Approfondendo la storia americana, ci si rende conto che gli Usa sono a mio avviso uno dei Paesi più “conservatori” al mondo dal punto di vista istituzionale, e molte regole, e fra queste sicuramente quelle elettorali, sono le stesse che vigevano all’epoca del Mayflower e dei primi 13 Stati.

E così, a proposito del diritto di voto, alla fine del Settecento i Padri Fondatori non pensavano certamente al voto di tutti i cittadini adulti come fondamento del governo federale americano, anche se credevano nella sovranità popolare (gli Stati Uniti, in origine, contavano meno di 5 milioni di abitanti). 

Solo verso metà Ottocento quasi tutti gli Stati concessero il diritto di voto agli uomini adulti “liberi”. Da allora, attraverso vari emendamenti alla Costituzione (che è ancora quella del 1787), la democrazia americana si è progressivamente allargata al suffragio universale, donne e “non bianchi” compresi. 

Tornando al processo elettorale (che dura quasi un anno), la prima fase, di cui ci occupiamo oggi, consiste nella selezione dei delegati alle Convenzioni Nazionali di Partito.

Per darvi una chiave di lettura, tenete sempre presente che l’elettore americano non vota “MAI” il nome del Presidente (nemmeno il 5 novembre) perché l’intero processo si basa su un sistema di “deleghe”, nel senso che il cittadino indica alle primarie la persona che lo rappresenterà nello scegliere chi correrà ufficialmente per il Partito, e con le elezioni del 5 novembre i cosiddetti “Grandi elettori” che decideranno l’inquilino della Casa Bianca.

La prima fase delle elezioni presidenziali consiste nella selezione dei delegati alle Convenzioni Nazionali di partito, che si effettua all’interno di ogni Stato, con regole e tempi diversi, per mezzo di elezioni primarie o di caucus (parola con cui gli indiani Algonchini definivano una riunione), che sono obbligatorie, e si svolgono nel periodo compreso fra gennaio e fine giugno.

La maggior parte degli Stati utilizza il sistema delle primarie “classiche” organizzate dai governi locali: i cittadini in una determinata data scelgono, inserendo una scheda nelle urne, uno dei delegati da mandare alla Convenzione Nazionale del Partito (quella che sceglie il candidato Presidente, che si svolge fra luglio e agosto).

Le regole non sono uguali per tutti nemmeno per quanto riguarda il diritto di voto alle primarie, che cambiano a seconda del Partito e dello Stato. Ci sono primarie “aperte”, in cui possono esprimere la propria preferenza anche persone non iscritte ai Partiti o iscritte al Partito avversario. Ci sono poi quelle “semi-chiuse”, che accolgono anche i   voti dei non iscritti al Partito, e quelle “chiuse” riservate solo agli iscritti.

In Iowa avrete letto però che si è votato non a mezzo di primarie tradizionali, bensì nei caucus, che in questo Stato vengono anche definiti “riunioni di vicinato” (se ne organizzano circa 1500).

L’Iowa è uno Stato grande metà dell’Italia ma con appena 3 milioni di abitanti, sperduto nell’America profonda delle grandi praterie, che elegge solo 40 sui 2400 delegati che alla fine sceglieranno il candidato Presidente, ma che tradizionalmente ha grande rilevanza proprio perché è il primo a votare, contribuendo ad indirizzare così il corso delle primarie (Trump ieri ha stravinto i Caucus Repubblicani).  

Alcuni Stati (oltre all’Iowa, Idaho e in Wyoming per entrambi i Partiti, e Nevada, Missouri, North Dakota, Alaska, Utah e Hawaii per il solo partito Repubblicano) conservano ancora questo sistema suggestivo ed un po’ arcaico, in quanto i caucus non sono altro che dibattiti, organizzati in luoghi pubblici o privati, durante i quali chi partecipa si schiera fisicamente nella parte della stanza che rappresenta il delegato che vuole votare. A quel punto si cerca di convincere le persone che si trovano dall’altra parte a passare dalla propria. Le regole dei caucus cambiano da Stato a Stato, le discussioni hanno una durata prestabilita (solitamente 30 minuti) ma si ripetono finché non è stato scelto il numero dei delegati previsti. 

Spero che a questo punto sia chiaro per tutti che primarie e caucus sono organizzati separatamente dai Repubblicani e dai Democratici, e d’altronde non può essere diversamente visto che sono funzionali ad indicare i delegati alle rispettive Convenzioni Nazionali dei due Partiti.

Dal punto di vista temporale, tradizionalmente le primarie negli Stati Uniti iniziano con il caucus dell’Iowa, che quest’anno è  stato appunto il 15 gennaio. Seguiranno le primarie del New Hampshire il 23 gennaio, e si proseguirà fino a 4 giugno per i Repubblicani, e fino all’8 giugno per i Democratici. 

Nel mezzo c’è il cosiddetto Super Tuesday, fissato il 5 marzo, giorno decisivo in cui si vota in 16 Stati (fra cui molti determinanti quali California, Texas, Virginia) e nel territorio delle Samoa Americane.

Come accennato, a chiudere il lungo percorso saranno le Convention finali dei Partiti, dove i delegati eletti da primarie e caucus (assieme però anche a rappresentanti del Partito) designeranno il “ticket”, ovvero il candidato alla Presidenza, unitamente a chi sarà il suo Vice in caso di vittoria. 

La Convenzione democratica si terrà a Chicago, in Illinois, dal 19 al 22 agosto, e quella Repubblicana dal 15 al 18 luglio a Milwaukee nel Wisconsin.

Ultimata all’inizio dell’estate la fase delle primarie e dei caucus, come abbiamo già anticipato, i delegati  eletti approdano quindi  alla Convenzione Nazionale del proprio Partito, ma il risultato della convention non è scontato perché, anche qui, le regole Statali non sono tutte uguali. 

Di conseguenza a secondo dello Stato da cui provengono, e delle sue leggi, alcuni delegati hanno il vincolo di mandato, ovvero sono obbligati a votare quanto scelto dalla base, mentre altri sono liberi di scegliere. 

Alle Convention poi ci sono anche i super-delegati che, scelti dai partiti, esprimono la posizione dell’establishment; ma va detto che ultimamente la presenza di questi “delegati non votati dalla base” è stata contestata. 

Per oggi mi fermo qui, con l’impegno a seguire l’andamento delle primarie e dei caucus, e di illustrarvi tempo per tempo i risultati.

Concludendo, spero di avervi chiarito che se le elezioni presidenziali Usa possono apparire semplici, con due candidati fra cui scegliere, con l’incognita solo teorica di terzi incomodi indipendenti, il processo che conduce a tanta semplicità è invece quanto di più complesso si possa immaginare.

E avremo modo di vederlo più avanti analizzando le regole che porteranno all’elezione del Presidente  dopo il voto del 5 novembre, in base alle quali non è detto che, come vorrebbe la democrazia, a vincere sia il candidato che ha riportato più voti. 

Umberto Baldo

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